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La Stampa Rassegna Stampa
15.11.2015 L'ideologia religiosa del Califfato
Analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 15 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «Il caos è la nuova missione dei combattenti»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/11/2015, a pag.3/6/7, con il titolo " Il caos è la nuova missione dei combattenti " l'analisi di Domenico Quirico.

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Domenico Quirico

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Nella sera di Parigi, in Europa: ecco, improvviso e annientatore come una folgore, fa la sua apparizione il nuovo terrorista della generazione di Abu Bakr, califfo nero, quello che combatte la terza guerra mondiale in cui l’islam dovrebbe trionfare. È il figlio della guerra totalitaria islamica che ha reso la morte un mestiere e i soldati del califfato lavoratori a cottimo della morte, rodati dalla quotidianità sanguinaria. I devoti al fucile mitragliatore, forza del «vero credente». A qualcuno era già accaduto di incontrarli in Siria, in Iraq, in Libia. Ma era la loro identità, brandelli di parole, minuscoli come i brevi colpi di arma da fuoco che usano per uccidere lasciandosi dietro un festone di corpi allungati o appallottolati. Il jihad come modo di vivere e di stare al mondo, un dovere militare forse più che un dovere religioso: la chance, in fondo, la carta da giocare.
In attesa che le scuole del califfato licenzino e mandino in trincea i bambini addestrati alla morte che dovranno prolungare, generazione dopo generazione, la ricostruzione del califfato universale fino a quando l’ultimo miscredente avrà ceduto, questi sono sopravvissuti agli anni della mischia siriana, veterani della Libia, la legione del Sahel, dell’Afghanistan, della Cecenia crudele, i reggimenti arruolati nell’islam europeo. La loro vita non dà spazio a sentimenti, alla venerazione neppure della propria grandezza omicida. Ogni sofisticazione dell’atto viene calpestata e triturata, ogni delicatezza incenerita dalla brutalità di ciò che compiono. Non sono più i terroristi dello sceicco Osama, borghesi musulmani con un doppio tenebroso, o postini di trappole esplosive, di artigianali congegni infernali da depositare in metro, ferrovie, luoghi pubblici: uomini a doppio, triplo fondo, animati dal desiderio perduto di appartenere, disposti alla comunione che anche il delitto regala, un divenire autodidatta di asociali. Questi no. Sono già il frutto terribile della Grande Semplificazione. Non reclute frettolose, prodotti del Tempo islamista. Terrore e fratellanza. Fratellanzaterrore. Calore infetto, felicità della comunità trovata, finalmente. Un tempo dilatato, quasi immobile come quello della guerra. Amnesia? Lavaggio del cervello?
Strumenti antichi
Usano tutti i mezzi antichi, ma sono in grado di connetterli l’uno all’altro, ricomporli in una strategia complessiva, trasformare l’atto singolo in attacco militare, incursione sanguinaria. Scuola della guerra santa e accademia del crimine; l’uso del kalashnikov, le tecniche del corpo a corpo, l’arte di sgozzare secondo le regole e le esplosioni a distanza, certo. Ma anche l’arte della informazione e della disinformazione. L’infiltrazione in zone «infedeli». Il terrorista-guerriero di Abu Bakr è un recipiente in continua evoluzione, di tutto ciò che è stato fatto pensato e realizzato prima di lui. È anche l’erede di tutti i desideri che hanno spinto gli altri, animati da una energia inarrestabile e dalle tetre ingiunzioni che li muovono, verso obbiettivi di morte. Data e subita. Ricapitolano la storia del terrorismo: la bomba artigianale, l’uomo che si fa lui stesso ordigno, la presa di ostaggi, l’assalto con il kalashnikov in pugno. Tutto questo ha un sapore di morte e nel fondo dell’angoscia, emerge il trionfo di chi ha eluso strane leggi, ferocie nascoste. Ogni atto, ogni gesto di questo nuovo combattente può essere un delitto, e portare come punizione la morte, ogni istinto lo sprofonda ancor più nel fondo.
Nessuna alternativa
Se il califfato totalitario ha gradi attrattive per lui fino a spingerlo a uccidere, ciò avviene perché ha prodotto la guerra, perché sente che essa è l’unica forza al mondo capace di generare il grande caos, forse uno stato finale di caos, oppure uno stato di trionfo islamico nel quale i combattenti che vivono per trascendere le proprie limitazioni in orge di auto affermazioni, calpesteranno il mondo. Dice la dottrina: il martirio è valido solo se è stato, insieme, ardentemente desiderato e disperatamente scongiurato, non bisogna pretendere di essere gli autori di una decisione che spetta solo a Dio. Eppure… «Dio mio, perché tardi ad accogliermi?».
Scontro necessario
La società in cui questa generazione totalitaria è alla ricerca continua, non si può attuare se non nella guerra. La guerra è la relazione con gli altri esseri umani che le è più naturale. La colloca nella giusta, appassionata relazione dell’odio e dell’amore con i suoi simili, e gli permette di sperimentare il senso della propria esistenza al più alto grado possibile di intensità. Nel jihad è in grado di far la parte del diavolo e nello stesso tempo sentire che combatte contro il diavolo, gli apostati, i tiepidi gli infedeli. Un capo del jihad siriano quando gli dissi che per me la guerra era terribile, replicò con una terribile risata, più minacciosa che allegra, rabbiosa: «Questo per me, per noi è un fatto senza alcun significato. Augurarsi di fare a meno della guerra sarebbe esattamente come desiderare di fare a meno di donne che partoriscano bambini. Anche questo è terribile, ogni cosa vivente è terribile… Dio è volere e il volere ama dio. Il mio dio è un dio dei forti….». Negli uomini prodotto delle «basi-nere», dei kolchoz integralisti in territorio nemico, in questi fourieristi assassini, è stata distrutta per sempre l’idea che si debba scegliere tra bene e male, ogni volta. Non si ha diritto ad avere ancora una memoria, il passato è peccato, la memoria vergogna. Sono stati trascinati, una generazione intera di combattenti, in una dannazione fisica e morale, col costringerli ad essere veramente malvagi e col travolgerli in azioni totalmente empie.

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