Uno scontro non solo personale
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Benjamin Netanyahu, Barack Obama
Cari amici,
come sapete bene, oggi Netanyahu viene ricevuto da Obama alla Casa Bianca. E' il diciottesimo incontro ufficiale, se non sbaglio; il copione è piuttosto chiaro, sia l'antipatia fra i due che l'improbabilità di cambiamenti politici sono evidenti, ma ancora l'incontro suscita attesa e interesse e merita di essere commentato. Vale la pena di farlo rimanendo solo sul piano politico, senza fare pettegolezzi ed è quel che mi sforzerò di fare.
I due non si vedono da oltre un anno e sono entrambi indeboliti rispetto al passato. A Netanyahu non è riuscito di far cancellare il disastroso accordo con l'Iran, anche se ha ottenuto su questo la maggioranza parlamentare e anche nei sondaggi; ma il sistema politico americano, essendo una “monarchia repubblicana” rende difficilissimo sconfiggere una decisione presidenziale in politica estera. A Obama non è riuscito il tentativo di defenestrare Netanyahu alle elezioni in favore di una coalizione di sinistra più malleabile e più omogenea alla sua visione del mondo. Questa è una sconfitta certamente più grave, perché l'America è immensamente più grande e potente di Israele e anche perché sondaggi e opinionisti “autorevoli” davano la vittoria di Obama (pardon, di Herzog e Livni) per scontata. Obama ha rinviato l'incontro con Netanyahu per molti mesi, rifiutandosi di incontrarlo durante le sue visite precedenti negli Stati Uniti, con l'intenzione evidente di costringerlo ad ammettere la sua sconfitta sull'Iran. Ma appare abbastanza chiaro oggi che l'America non ha vinto con l'Iran Deal; l'aggressività iraniana non è stata assolutamente ridimensionata e non si è allentato il suo odio non solo per Israele, ma per gli Usa. Gli ayatollah hanno approfittato con destrezza dell'ossessione ideologica e della vanagloria di Obama per ottenere la fine dell'embargo, che avverrà prossimamente e la loro riammissione nel grande gioco internazionale, ma non si sono affatto mostrati grati a chi si è speso tanto per loro. Il vincitore dell'accordo è chiaramente Putin, il quale dovrà vedersela a sua volta con lo Stato Islamico. Quel che è certo è che la guerra non si è affatto allontanata dal Medio Oriente, anzi rischia di estendersi in un confronto globale.
Si sa che Netanyahu è venuto a Washington con la richiesta di un aumento sostanziale dei finanziamenti militari americani (che sono peraltro spesi negli Usa o in ricerca e sviluppo congiunti, quindi sono un ottimo affare per l'economia e la difesa degli Stati Uniti). Si sa anche che Obama aveva fatto promesse in questo senso ma oggi non le onorerà con un impegno formale, dunque l'incontro sarà inutile da questo punto di vista. E' chiaro anche alla Casa Bianca che la possibilità di concludere una pace fra Israele e Autorità Palestinese è fuori dalle possibilità politiche attuali (http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/No-two-state-solution-during-Obama-presidency-White-House-assesses-432227) e che dunque una richiesta di trattative sarebbe poco conclusiva. Haaretz ha scritto che Netanyahu porterebbe a Obama un pacchetto di misure di buona volontà nei confronti dell'AP, comprese riduzioni dei check points e permessi di costruzione in zona C (http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.684737), ma a parte la scarsa credibilità generale della fonte, non si capisce in cambio di che cosa Netanyahu potrebbe fare offerte del genere in piena ondata di “terrorismo popolare”. Anche perché questa visita cade a un anno dalle prossime elezioni americane e anche se Obama poi resterà in carica per un altro paio di mesi, è chiaro che la parola torna in mano ai candidati e agli elettori, che hanno gradito molto poco la politica estera dell'amministrazione, e ancora meno la gradiscono ora quando il suo velleitarismo ideologico (per essere gentili) si mostra con tutti i pericoli che ne conseguono. In altri termini Obama è già una “lame duck” (anatra zoppa, come si dice nel gergo politico americano dei presidenti che stanno perdendo il loro potere): con un Congresso in mano ai Repubblicani, con il suo stesso partito che deve staccarsi dai suoi fallimenti e lo sostiene sempre meno.
Vi sarà comunque di nuovo uno scontro fra l'ideologismo di Obama e il realismo di Netanyahu. Anche se è evidente oggi che la politica di “buttare sotto un tram” i leader filo-occidentali e soprattutto Israele seguita da questa amministrazione non ha dato l'esito sperato di conquistare le simpatie del mondo arabo islamico, Obama continua a pensare che l'America non debba esercitare la sua potenza, che debba chiedere scusa, che i suoi nemici abbiano ragione e gli Usa e i suoi alleati torto, che bisogna ritirarsi eccetera eccetera. E dunque che Israele è un ingombro, una contraddizione, un impiccio, una disgrazia; perché ritirarsi dal Medio Oriente non può, e non ha la minima intenzione di smettere di difendersi. E' questa la radice della contraddizione fra l'America terzomondista e nemica di s stessa che Obama interpreta (e che purtroppo ha gettato radici profonde nel mondo politico e intellettuale americano) e Israele. C'è la convinzione tacita ma evidente che se Israele non ci fosse o fosse un piccolo territorio disarmato e sottoposto alla protezione americana, le cose andrebbero molto meglio. Netanyahu naturalmente non la pensa così. Ma, alla faccia degli imbecilli della sinistra europea e anche israeliana che contrappongono i buoni abitanti della costa ai cattivi coloni di destra, questa politica inaccettabile e distruttiva non è mai stata propria di nessun governo israeliano (neanche di Rabin, semmai di qualche suo collaboratore vicino a Peres) e non può esserlo, perché porterebbe alla distruzione dello stato e del popolo ebraico. E dunque lo scontro fra Israele e l'America di Obama (non tutta l'America, ma neanche solo lui, piuttosto la cultura politica che è emersa dagli anni Sessanta e dal rifiuto della guerra del Vietnam non solo di quelle del Golfo) è inevitabile. Oggi ne andrà in scena un piccolo episodio, ma salvo che nelle prossime elezioni prevalga l'altra America, quella fiera di sé, delle sue realizzazioni e della sua libertà, è uno scontro destinato a ripetersi, chiunque governi Israele.
Ugo Volli