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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Questo non è il momento per discussioni accademiche su etica e morale 08/11/2015
 Questo non è il momento per discussioni accademiche su etica e morale
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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Oggi in Israele si discute animatamente su una questione esplosiva: se sia opportuno consentire ai civili di farsi giustizia da soli  se si trovano di fronte a un terrorista che ha appena pugnalato un ebreo. Non v’è dubbio che sia legittimo uccidere un terrorista prima che abbia attaccato una persona se questo è l'unico modo per impedirgli di attuare i suoi piani. Il dilemma è se sia lecito uccidere un terrorista dopo che ha già accoltellato qualcuno. Anche qui non c'è nessun problema ad ucciderlo se lui continua ad essere in preda alla furia omicida,  tutti sono d’accordo che deve essere eliminato immediatamente. Il problema sorge quando un terrorista viene neutralizzato, quando è sdraiato a terra, forse ferito o ammanettato ed è incapace di alzarsi e continuare a colpire altre persone. Si può attaccarlo fisicamente provocandone anche la morte e agire legalmente, o ha diritto, una volta neutralizzato, alla protezione contro un verdetto immediato, alle cure mediche e ad un processo equo per determinare la sua punizione?

 La risposta alla domanda dipende dal punto di vista della persona a cui viene rivolta. In altri termini: il dibattito deve essere basato su deduzioni ottenute dallo studio dei sistemi giuridici e morali israeliani, che riflettono un Paese governato dalla legge, dove anche un criminale ha diritto ad un giusto processo, oppure la discussione dovrebbe basarsi sul fatto che gli assassini non seguono le norme del sistema giuridico israeliano, non accettano gli standard morali di Israele, ma vorrebbero distruggerli insieme con l’intero Stato, e quindi non c’è alcuna ragione logica che il sistema li protegga.  In altre parole, il dibattito sulla questione del “linciaggio”, ci si dovrebbe ispirare ai principi giuridici che guidano la società israeliana, o dovremmo invece affrontare la questione dal punto di vista dell’aggressore, della sua società e delle norme in base che lui osserva?
Non dimentichiamoci che, mentre ne stiamo discutendo, altre domande, ancora più urgenti, non danno tregua agli israeliani: come si potrebbe impedire l'attacco successivo e come si potrebbe dissuadere il prossimo terrorista dall’accoltellare ebrei, persino persone molto anziane, con l’intenzione di ucciderli.

 Molti israeliani di sinistra usano argomenti giuridici e morali che derivano esclusivamente dall’esperienza israeliana moderna, liberale e laica. Questa è la posizione sostenuta in un articolo di Haaretz (3 novembre 2015) dal professor Moshe Negbi, docente dell’Università di Gerusalemme ed esperto legale per il programma radiofonico La Voce di Israele . Il titolo del suo intervento “La cultura del linciaggio dell’estrema destra”, è sufficiente per conoscerne il pensiero. Secondo il suo punto di vista (o quello del redattore della radio), colpire un terrorista non è una reazione emotiva ad un incidente in cui è stato appena pugnalato un ebreo, ma appartiene ad un “modello culturale”, indica qualcosa di genetico, impresso nel DNA degli estremisti di destra, che guida ogni loro passo. A suo parere, gli estremisti di destra sono persone la cui cultura è tutta imperniata sul linciaggio, sono persone che passano il loro tempo alla ricerca di qualcuno da linciare. Negbi li definisce “una massa incontrollata”, le cui “mire criminali” si sono infiltrate nelle aule del governo e nell’establishment della sicurezza, offrendo una “prova inattaccabile della crescente bestialità di Israele”. “Il sangue palestinese non è l’unico sangue che può essere versato, così lo è il sangue di chiunque tenti di fermare la degenerazione di Israele da uno Stato di diritto a uno Stato che si dedica al linciaggio senza diritto”, afferma il professor Negbi .

Prosegue citando quei giudici e quegli accademici che avevano scritto critiche feroci sui soldati dell’IDF e delle forze di sicurezza che avevano agito illegalmente nell’espletamento delle loro missioni  e che hanno ricevuto sanzioni penali.
Opinioni analoghe sono state espresse dall’emittente radiofonica Reshet Bet, con il commento di Adi Meiri nel suo programma “Sono tutte chiacchiere”, andato in onda il 3 novembre scorso. Il problema di tutti questi intellettuali e giornalisti, è che analizzano la questione degli accoltellamenti attraverso le lenti colorate di rosa della moderna cultura liberale israeliana. Una cultura che insiste sul fatto che ogni cittadino e ogni membro delle forze di sicurezza è obbligato a esercitare l’autocontrollo, la moderazione e il principio di proporzionalità, anche se questo significa non proteggere personalmente se stesso e gli altri da un criminale intento ad aggredire per uccidere.

Guardano l’accoltellatore terrorista e assassino, come se fosse un membro della società civile che ha, purtroppo, deviato dalla retta via, ma che ha diritto a tutta la protezione che la legge offre a qualsiasi criminale, nel momento in cui cessa di essere un immediato e palpabile pericolo per gli altri. Ciò che motiva Negbi, Meiri e i loro amici è la filosofia morale per cui noi ebrei israeliani siamo vincolati da un codice etico che ci proibisce di agire violentemente contro qualcuno che presenta un pericolo sicuro perchè immediato, anche se, meno di un minuto prima,  ha accoltellato con l’intenzione di uccidere.

Questo approccio moralistico si ritrova nel diritto israeliano e in varie sentenze. Il principio che sta alla base, è che noi non agiamo come i nostri nemici - noi non scendiamo al loro livello - perché noi siamo migliori di loro. Non è una dimostrazione di arroganza ? Un altro dettaglio “minore” degno di nota è che i nostri dilemmi legali e morali non impressionano i nostri nemici, nemmeno un po’; semplicemente approfittano del fatto che permettiamo loro di muoversi liberamente senza controlli in mezzo a noi, consentendogli in qualsiasi momento di estrarre coltelli affilati dalle loro tasche e di massacrarci.

Secondo la valutazione dei nostri nemici, gli ebrei non hanno assolutamente alcun diritto di vivere su questa terra, nemmeno a Tel Aviv, in quanto sono loro i conquistatori dello Stato Islamico della Palestina che appartiene solo ai musulmani. Noi non abbiamo alcun diritto d’indipendenza o sovranità, perché gli ebrei sono obbligati a vivere sotto la Sharia, la legge islamica, come dhimmi sottomessi . Se ci proteggiamo da soli, stiamo infrangendo le leggi della protezione islamica e meritiamo di essere massacrati.

L’accoltellatore tipo sa che, se catturato, sarà messo in prigione dove potrà studiare per  ottenere poi un titolo accademico, nel giro di pochi anni sarà scambiato con un soldato israeliano o con un cittadino rapito per lo stesso scopo - quello di liberare terroristi assassini. Mentre è in prigione la sua famiglia riceverà generose somme di denaro da parte dell’Autorità Palestinese (la cui fonte di finanziamento è il contribuente americano e europeo). Questo si somma al grande onore di cui la sua famiglia potrà godere, che venga ucciso oppure no. Se viene ucciso, avrà una scuola che prenderà il suo nome, dove i bambini potranno studiare la sua “eredità”, oppure una strada intitolata a lui o addirittura un’organizzazione che diffonderà nel mondo lo spirito del jihad contro Israele.

 L'accoltellatore è motivato dalle stesse preoccupazioni che hanno spinto Haj Amin al Husseini, il Gran Mufti di Gerusalemme, a prendere parte alla distruzione degli ebrei europei nel 1940. Un musulmano che si propone di pugnalare ebrei, sa che una ricompensa lo attenderà comunque in Paradiso, sia che venga ucciso prima, durante o dopo il suo atto criminale. Peggio ancora, le nostre preoccupazioni morali che non gli interessano affatto, saranno per lui la protezione dalla rabbia di coloro che lo circondavano sulla scena del crimine. Si affida alla legge israeliana e alla polizia di Israele che è costretta a proteggerlo dalla vendetta della folla, ed è sicuro che sopravvivrà per colpire altri ebrei, dopo che sarà liberato a seguito di uno scambio di prigionieri.

È così che funziona la morale israeliana, contro Israele e i suoi cittadini, paralizzandone la deterrenza e incoraggiando i terroristi a colpirci. Gli accoltellatori si trovano in una situazione in cui hanno tutto da guadagnare, in quanto in Israele la legge e la morale concedono loro l’impunità immediata.
Chi dà costantemente lezioni di moralità, in realtà si comporta in modo immorale, incoraggiando il terrore e l’omicidio. E’ interessante vedere un professore di diritto incoraggiare palesemente il terrorismo. Israele a così le mani legate, rendendo più difficile rispondere efficacemente.

Invece ogni terrorista che prende un coltello per pugnalare un ebreo dovrebbe sapere che non tornerà più vivo a casa, che sarà ucciso o dal personale di sicurezza o dalle persone che hanno assistito alle sue azioni. È giunta l’ ora che i musulmani sappiano che il sangue degli ebrei non è più una cosa di poco conto. Israele non ha scelta, deve rinnovare la sua capacità di scoraggiare i terroristi. Sia la sinistra che la destra devono ricordare che questo è il Medio Oriente. La pace in questa regione non è nelle mani di coloro che seguono incrollabilmente i costumi, le leggi e l’etica occidentali.
Solo chi riesce a convincere i propri nemici – anche per il loro bene - di essere invincibile e che quindi farebbero meglio a lasciarlo stare, ha la possibilità di raggiungere la pace.

Chi non lo capisce o non vuole capirlo, è tagliato fuori dalla realtà. Gli suggerisco di svegliarsi e collegare i punti del puzzle , per il suo bene, prima che il coltello da macellaio gli separi la testa dal corpo; e non sto cercando di fargli paura.
Nel caso dovesse trovarsi sotto attacco, gli sarà d’aiuto l’essersi comportato da persona morale ?

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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