Francia 2005: rivolte e apartheid etnica
Analisi di Manfred Gerstenfeld
(Traduzione di Angelo Pezzana)
Dieci anni fa, alla fine del 2005, , esplosero in Francia molte rivolte.
Due giovani di Clichy sous Bois, un sobborgo di Parigi, rimasero fulminati dopo essersi avvicinati a un trasformatore di elettricità. I loro amici dissero che la responsabilità era della polizia li stava inseguendo. Da questo fatto si sviluppò una rivolta che durò tre settimane, nelle quali le autorità persero per diversi giorni il controllo della situazione.
Più di novemila auto vennero date alle fiamme, furono incendiati kindergarten, scuole, negozi, biblioteche e un cinema, vennero attaccati diciotto edifici religiosi, tre moschee e due sinagoghe. Malgrado anche in Inghilterra ci siano state sommosse violente nel 2011 e in Europa occidentale ci siano state altre rivolte nell’ultimo decennio, nessuna raggiunse l'intensità di quelle francesi del 2005.
Dieci anni dopo, conviene fare un esame di quel che avvenne, anche perché va al di là della stessa società francese e della sua popolazione ebraica, in quanto include in parte il mondo islamico e l’attuale terrorismo palestinese.
Uno degli analisti più acuti è stato il filosofo ebreo Alain Finkielkraut, che in una intervista su Haaretz ha dichiarato: “ In Francia si vorrebbe ridurre queste rivolte a una dimensione soltanto sociale, una ribellione dei giovani delle periferie contro la società, le repressioni che subiscono, la mancanza di lavoro. Il problema però sta nel fatto che quei giovani sono neri o arabi, dall’identità musulmana. In Francia ci sono anche altri immigrati in condizioni difficili - cinesi, vietnamiti, portoghesi- che però non partecipano alle sommosse. Se ne deduce che si tratta di una rivolta di stampo religioso-etnico. I saccheggiatori non chiedono più scuole, più asili nido.. più autobus.. invece li bruciano “.
Finkielkraut ha poi fatto nella stessa intervista affermazioni ancora più decise, che gli sono costate dure critiche, tanto che ha dovuto scusarsi per alcuni commenti. Alcuni mesi dopo le rivolte, Léon Sann, capo della commissione etica in un ospedale, scrisse un rapporto dettagliato sulla diffusione sproporzionata degli atti criminali fra queste minoranze di giovani che vivono nelle periferie. Ha esibito statistiche raccolte durante diversi anni, che hanno dimostrato, con i numeri, come questi attacchi contro edifici, trasporti, scuole e ospedali vengano commessi per il 60/70 % da questi giovani delinquenti.
Le violenze dell’autunno 2005 hanno dimostrato con chiarezza come gli attacchi, la maggior parte ad opera di musulmani contro istituzioni ebraiche, erano di fatto un preludio dell’obiettivo più grande: la società francese.
Con l’eccezione delle sinagoghe di Pierefitte e Garges les Gonesse, l’obiettivo non erano in modo specifico le istituzioni ebraiche. Al punto che le autorità francesi avevano avvisto le comunità ebraiche che non era possibile garantirne la sicurezza.
Dopo le rivolte, le autorità francesi annunciarono che sarebbero state prese delle misure per promuovere l’integrazione delle minoranze, ma questa decisione ha continuato a presentare forti problematiche. La parola francese banlieue per 'periferie' ha assunto un significato peggiorativo, essendo caratterizzate da povertà, criminalità e disoccupazione fra la popolazione musulmana, un isolamento dal resto dei cittadini francesi.
Suscitò una vasta eco sui media una sfortunata visita dello scorso mese dei funzionari olandesi al sobborgo di Parigi Saint Denis per analizzare lo sviluppo dell’estremismo, infatti vennero attaccati da gruppi di teppisti. Furono aggrediti e picchiati, uno fu ferito alla testa, vennero derubati e costretti alla fuga.
Alla vigilia del massacro di Charlie Hebdo e dell’Hyper Casher nel gennaio 2015, il Primo Ministro francese Manuel Valls, riferendosi alle minoranze nei ghetti, disse che “ vivono in una sorta di apartheid sociale e etnica”, che separa questi quartieri dal resto della Francia. Come spesso succede, il primo segnale dei problemi che investono questi luoghi è dato dai residenti ebrei. Il sentimento che prevale nelle comunità ebraiche è che non ci sia futuro per gli ebrei consapevoli di quano accade, una situazione fortemente peggiorata negli ultimi dieci anni, e che è stata origine all’aumento dell’emigrazione ebraica. Diversi ebrei sono stati assassinati, sempre da musulmani, mentre nove sinagoghe nell’estate 2014 sono state assalite da teppisti islamici.
Tutto questo dimostra quanto la Francia non sia in grado di garantire la sicurezza, visto lo sviluppo nel 2015 delle rivolte. Eppure, coloro che hanno fallito nel mantenere l’ordine a casa propria, ora alzano la voce su come Israele dovrebbe comportarsi.
Nel marzo di quest’anno la Francia voleva portare una risoluzione sul conflitto israelo-palestinese al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. In ottobre ha proposto la presenza di militari internazionali sul Monte del Tempio, mentre sarebbe più utile inviare truppe straniere in alcune aree sotto ‘apartheid’ in Francia.
L’elemento devastante presente nelle rivolte francesi, così ben identificato da Finkelkraut, è diventato sempre più visibile in molti settori del mondo musulmano. Le sue componenti sono spesso più culturali che socio-economiche. E’ anche presente in modo evidente da molti decenni nella società palestinese, i cui leader sono di gran lunga più interessati alla distruzione di Israele che costruire la loro società.
Lo scopo delle attuali attività terroristiche, applaudite e glorificate dai leader palestinesi, mirano a peggiorare le relazioni fra israeliani come fra arabi palestinesi e ebrei.
Queste azioni portano alla scomparsa dei posti di lavoro per i palestinesi. I lavoratori arabi nei quartieri ebraici si sentono adesso minacciati, mentre non succedeva prima della ripresa del terrorismo palestinese.
La cultura alla quale appartengono i terroristi francesi e palestinesi e gli odiatori in genere è la stessa che sta causando tanti disastri in tutto il mondo. Una cultura distruttiva, spesso intrisa di religiosità, presente in maniera pesante e violenta nel mondo musulmano, la stessa che genererà grandi problemi nel prossimo futuro.
Manfred Gerstenfeld è stato presidente per 12 anni del Consiglio di Amministrazione del Jerusalem Center for Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta. E' appena uscito il suo nuovo libro "The war of a million cuts" (in inglese). E' una analisi di come ebrei e Israele sono delegittimati e come farvi fronte.