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La Stampa Rassegna Stampa
05.11.2015 E' lo Stato islamico che ha abbattuto l'aereo russo sul Sinai
Tre servizi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 05 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La Cia: è stata una bomba dell'Isis - La Cia: l'Airbus abbattuto dall'Isis, Londra ferma i voli da Sharm - Così le guerre in Medio Oriente chiudono i corridoi del turismo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/11/2015, a pag. 1-3, con i titoli "La Cia: è stata una bomba dell'Isis", "La Cia: l'Airbus abbattuto dall'Isis, Londra ferma i voli da Sharm", "Così le guerre in Medio Oriente chiudono i corridoi del turismo", tre servizi di Maurizio Molinari.

Ecco gli articoli:

Immagine correlata
Maurizio Molinari

 "La Cia: è stata una bomba dell'Isis"

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I rottami dell'airbus colpito

Il primo aereo civile distrutto dal Califfo della Jihad porta con sé il timore che lo Stato Islamico (Isis) si sia impossessato dei miniesplosivi ad alto potenziale di Ibrahim al-Asiri, l’ingegnere di Al Qaeda in Yemen. A 17 mesi dalla proclamazione del Califfato, Abu Bakr al-Baghdadi cambia strategia: affianca il fronte dell’aria a quello terrestre per sorprendere il nemico che più di altri vuole colpire, Vladimir Putin, artefice dell’intervento in Siria. Sulla carta Isis e Al Qaeda sono in competizione, ma proprio la guerra in Siria, i recenti appelli di Ayman al-Zawahiri - successore di Osama bin Laden - all’«unità dei jihadisti contro Usa e Russia e la decomposizione dello Yemen consentono di ipotizzare che il terrorista saudita più ricercato del Pianeta sia passato - da solo o con degli allievi - al servizio del Califfato. Al-Asiri, classe 1982, è l’uomo che ha confezionato le microbombe con cui Al Qaeda ha sfiorato per due volte devastanti attentati aerei: nel 2009 è lui ad aver confezionato la sostanza al plastico che il kamikaze nigeriano porta dentro le mutande sul volo Northwest Airlines 253 senza riuscire a farla esplodere sul cielo di Detroit nella notte di Natale e l’anno seguente sono due microbombe da 300 grammi, sempre al plastico, inviate su altrettanti aerei cargo dallo Yemen agli Stati Uniti ad essere scoperte all’ultimo minuto.

L’idea dei microesplosivi viene da Anwar al-Awlaki, l’ex imam del New Mexico divenuto leader di Al Qaeda in Yemen e anch’egli eliminato dai droni Usa, che la sperimenta affidando ad Abdullah al-Asiri - fratello di Ibrahim - un ordigno nascosto nel retto anale con cui nel 2009 tenta di eliminare Mohammed bin Nayef, allora capo della sicurezza saudita e oggi principe ereditario del regno. Le microbombe sono l’impronta di Al Qaeda da quando lo «Shoe-Bomber» Richard Colvin Reid nel dicembre 2001 tenta di darsi fuoco alle scarpe sul volo Parigi-Miami ma Al-Asiri le porta a un livello di sofisticazione tale da obbligare gli Stati Uniti e Israele - i Paesi più a rischio - a posizionare negli aeroporti i particolari «body scanner» che vedono sotto i vestiti, nelle cavità corporee, cercando micro-sostanze capaci di essere combinate e fatte esplodere, sommando competenze chimiche e vocazione al martirio jihadista.

Niente body scanner
Uno degli allarmi dell’intelligence Usa, nel 2013, riguarda i seni al silicone perché in un documento di Al Qaeda vi si fa riferimento come possibile «vettore di esplosivo» praticamente impossibile da scoprire per l’antiterrorismo.
I «body scanner» negli scali dell’Europa continentale esistono, ma vengono usati raramente, nel mondo arabo sono assenti e anche Sharm el-Sheikh ne è sprovvisto. Da qui il timore dell’intelligence Usa e britannica che Al-Asiri, o un suo discepolo, finito nei ranghi del Califfato, abbia messo il proprio «know how» a disposizione di uno «shahid jihadista», riuscendo a far disintegrare il volo russo sul Sinai assieme ai suoi 224 passeggeri. Per punire l’intervento russo in Siria.

È l’ipotesi che l’intelligence occidentale teme di più ma non è l’unica perché a ben vedere ve ne sono altre: dal precedente del 2004, quando i jihadisti ceceni hanno fatto esplodere due jet in una notte, alla bomba di Lockerbie che non si è mai trovata. L’aereo della Pan Am esplose nel 1988 sui cieli scozzesi a causa di un ordigno nascosto in una valigia - spedita da Malta -, ma quasi 30 anni di indagini non hanno consentito di arrivare a una certezza assoluta in merito. Tanto che appena dieci giorni fa Londra ha inviato una task force di investigatori in Libia per «cercare nuovi elementi di prova» su quanto avvenne allora in Scozia. O forse perché già si aveva sentore della scelta del Califfo di portare il terrore nei cieli.

 "La Cia: l'Airbus abbattuto dall'Isis, Londra ferma i voli da Sharm"

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«È stata una bomba di Isis»: Londra e Washington alzano il velo sulla matrice terroristica del disastro aereo del Sinai nel giorno in cui lo Stato Islamico, con una seconda rivendicazione, afferma di non voler rivelare come sono riusciti a compiere l’attentato.

Il comunicato britannico
Il primo passo arriva da Downing Street e coincide con l’arrivo a Londra di Abdel Fattal Al Sisi. Il premier britannico, David Cameron, anticipa per telefono al presidente egiziano, il contenuto del comunicato che mette nero su bianco le conclusioni tratte dagli investigatori all’opera sul disastro dell’aereo russo costato la vita a 224 persone. «Alla luce delle informazioni raccolte riteniamo che l’aereo sia stato abbattuto da un ordigno esplosivo - afferma Downing Street - sebbene non possiamo affermarlo con assoluta certezza». Le «informazioni» a cui Londra fa riferimento sono quelle che trapelano da Mosca: la tv «Russia Today» trasmette l’audio di un medico egiziano che, dopo aver esaminato alcune salme di passeggeri, afferma «portano i segni di un’esplosione a bordo» e la tv Cnn, citando fonti russe, aggiunge «sono state trovate parti di acciaio dentro alcuni corpi». Il fatto che la coda sia stata trovata a 5 km dal resto dell’aereo è il terzo tassello che suggerisce la pista della bomba: nell’aereo c’era un ordigno, è esploso 23 minuti dopo il decollo, tranciando la coda e innescando il disastro improvviso. Si spiega così anche il fatto che «le comunicazioni registrate nelle scatole nere non aiutano - come dicono i portavoce egiziani - perché si interrompono bruscamente a 4 minuti dal disastro».

La conferma americana
Sebbene Al Sisi continui ad affermare che «nel Sinai è tutto controllo» Cameron trae le conclusioni: è stata una bomba e bisogna appurare in fretta le sue caratteristiche per scongiurare nuovi attentati. È la stessa conclusione dell’intelligence Usa che aggiunge: «È stata Isis a mettere la bomba». Si tratta dunque del primo attacco del Califfo ad un aereo di linea. I jihadisti dello Stato Islamico (Isis) postano online una seconda rivendicazione, con un video in cui quattro di loro hanno il volto scoperto e uno parla in russo minacciando Putin: «Sei un maiale, invaderemo il tuo Paese, uccideremo la tua gente».

La provocazione jihadista
Nella rivendicazione i jihadisti si fanno beffa degli inquirenti: «Gli autori siamo noi ma non è questo il momento per dirvi come si siamo riusciti». «Sono riusciti a bucare la sicurezza dell’aeroporto di Sharm» osserva Robert Baer, ex capostazione Cia in Medio Oriente. Qusto è il motivo per cui Cameron invia a Sharm 18 investigatori per «rendere sicuri i voli in partenza». Sospendendo ogni decollo verso la Gran Bretagna fino a nuovo ordine. Ci sono almeno 2000 inglesi a Sharm, Cameron teme per loro. Intelligence inglese, Usa e russa sono impegnate in una lotta contro il tempo per scoprire tipologia e percorso della bomba. Riuscirci può aiutare a prevenire altri attentati. Poiché gli ultimi tentativi di far esplodere aerei sono stati di «Al Qaeda in Yemen» usando microesplosivi ad alto potenziale un’ipotesi è che Isis se ne sia impossessato, riuscendo ad ingannare i metal detector di Sharm. La riunione di Cameron con il comitato «Cobra» - il vertice dell’antiterroriso - dà la misura della minaccia globale che viene da Sharm. In attesa delle contromosse di Putin, primo bersaglio della sfida dei terroristi.

"Così le guerre in Medio Oriente chiudono i corridoi del turismo"

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Terroristi dello Stato islamico nel Sinai

La decisione di Londra di sospendere con effetto immediato tutti i voli da Sharm el-Sheikh conferma che il Sinai è «zona proibita» per le grandi compagnie aree a causa del rischio di attentati terroristici, con bombe o missili. Le «zone proibite» compongono una mappa dell’«alto rischio» per i voli commerciali aggiornata in tempo reale dall’Ente federale Usa per l’aviazione civile.

Le aree a rischio
Si tratta di una cartina del Grande Medio Oriente, dall’Afghanistan alla Libia, che include «aree rosse» e «aree gialle»: nelle prime viaggi, sorvoli e soste sono del tutto vietati, nelle seconde sono fortemente sconsigliati. Da Est verso Ovest sono «gialli» i territori dell’Afghanistan teatro della guerriglia dei taleban, dell’Iran a causa dei rapporti ancora in bilico con l’Occidente, di Siria e Yemen per le guerre civili, del Kenya per le minacce dei jihadisti somali e del Congo per le violenze che ne infestano gran parte della superficie.
Sorvolare queste «aree gialle» comporta particolari rischi e accorgimenti che solo alcune compagnie accettano di assumersi: ad esempio sui cieli della Siria volano gli aerei delle compagnie giordane e libanesi che collegano Amman e Beirut.

Nel caso delle «aree rosse» invece il divieto è assoluto per la convinzione degli Stati Uniti che vi operino gruppi terroristici in possesso di missili terra-aria tipo Stinger o Sa-7 capaci di abbattere un aereo in fase di decollo o atterraggio. Si tratta dunque di «cieli proibiti» per il traffico commerciale e civile: lo sono sulla Somalia degli shabaab jihadisti fedeli al Califfo dello Stato Islamico, sulla Libia in preda alla guerra fra fazioni armate che hanno svaligiato gli arsenali di Gheddafi dove si trovavano almeno 5000 missili a spalla, sull’Etiopia settentrionale teatro della guerra mai del tutto sopita con l’Eritrea, sull’Ucraina dell’Est e sulla Crimea dove si combattono nazionalisti e filo-russi, sull’Iraq controllato in vaste regioni dai jihadisti di Isis (ma con l’eccezione del Kurdistan, a Nord, considerato sicuro) e sul Sinai egiziano ora divenuto off-limits. In concreto ciò significa che le rotte ancora considerate sicure attraverso il Medio Oriente hanno spazi ben definiti: passano sopra gli Emirati del Golfo, l’Arabia Saudita, la Giordania, il Libano, Israele e il territorio egiziano ad Ovest del Canale di Suez.

Nuove Cooperazioni
È una nuova mappa del traffico aereo nata per l’impatto dei conflitti locali e dell’estensione dei territori controllati da gruppi jihadisti. Ed è interessante notare come questo nuovo assetto dei cieli regionali vede generare conseguenze opposte ovvero la tendenza a cooperare come finora non è avvenuto. Un esempio a tale riguardo viene dal volo della Royal Jordanian che martedì era partito da Dubai diretto ad Amman ma, a causa di una tempesta di sabbia, è stato dirottato su Tel Aviv.

Gli aerei di linea giordani atterrano regolarmente al «Ben Gurion» ma questa volta il volo aveva a bordo passeggeri arabi cittadini di Paesi ancora in guerra con lo Stato Ebraico. L’aereo è atterrato, il personale del «Ben Gurion» ha portato dolci ai passeggeri a bordo e il tutto si è concluso con uno scambio - informale - di messaggi fra autorità israeliane, giordane ed emiratine. D’altra parte da alcuni mesi è stata rivelata l’esistenza di un volo «privato» che decolla ogni settimana dal «Ben Gurion» verso una misteriosa capitale del Golfo: non figura su nessun registro ma è affollato di uomini d’affari che fanno la spola fra Tel Aviv e i diversi Emirati. Così cambiano i cieli del Medio Oriente in tempo di guerra: le rotte agibili si restringono, le zone «proibite» si estendono e nei corridoi «sicuri» avvengono senza troppo clamore una buona dose di fatti insoliti.

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