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La Stampa Rassegna Stampa
03.11.2015 Turchia: Erdogan pensa all'offensiva in Siria
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 03 novembre 2015
Pagina: 6
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Erdogan, dopo il trionfo l'offensiva in Siria: 'Via i terroristi curdi'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/11/2015, a pag. 6, con il titolo "Erdogan, dopo il trionfo l'offensiva in Siria: 'Via i terroristi curdi' ", il commento di Maurizio Molinari.

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Recep Tayyip Erdogan

Davanti alla bottega dell’antiquario Salabi il capannello di commercianti del Gran Bazaar adopera il termine «Buyuk Usta» per indicare il vincitore delle elezioni e sue ambizioni. Il «Gran Leader» è Recep Tayyp Erdogan, capo dello Stato e guida indiscussa dell’Akp premiato con la maggioranza assoluta, che all’indomani del trionfo nelle urne si affretta a far conoscere, ad amici ed avversari, le proprie intenzioni: creare con la forza della legge una «nuova Turchia» per archiviare il «modello costituzionale dei militari golpisti» e con la forza delle armi delle aree cuscinetto oltre i propri confini ai danni dei curdi, a cominciare dalla Siria.

Possibili alleati
Per riassumere tale programma Asli Aydintasbas, analista per il «Council on Foreign Relations» europeo, parla di «leadership modellata sull’esempio di Vladimir Putin». La riforma istituzionale è il tema portante del discorso della vittoria del premier Ahmet Davutoglu: indica la necessità di «cambiare la Costituzione del 1980» per «rendere impossibili i complotti di baroni dei media, capi terroristi ed ingegneri sociali» al fine di consolidare l’«unità della nazione contro ogni polarizzazione, conflitto e tensione» assegnando maggiori poteri al presidente, fino a farlo assomigliare a una sorta di Sultano contemporaneo ovvero una versione ottomana dei super-poteri di Putin in Russia.

Sulla carta l’Akp, pur con i suoi 315 deputati, non dispone dei numeri per approvare tale riforma ma Davutoglu si mostra convinto della possibilità di trovare il quorum mancante. Magari tendendo la mani ai kemalisti, eredi politici del fondatore Ataturk, ed anche ai nazionalisti, usciti talmente indeboliti dalle elezioni da aver bisogno di una qualsiasi ribalta per sperare di sopravvivere. L’offensiva di Davutoglu in Parlamento è solo all’inizio ma i toni epici danno la misura delle intenzioni politiche: «L’attuale camicia istituzionale è troppo stretta per questa nazione, dobbiamo impedire alla burocrazia di ostacolare lo Stato» dando vita ad una nuova «Repubblica turca», destinata ad essere più islamica e autocratica di quella odierna. Come si è già visto in una campagna elettorale segnata «caratterizzata da ingiustizie e paura, a un livello piuttosto elevato», come ha stigmatizzato ieri l’Osce.

Potenza regionale
Sul fronte militare le similitudini con Putin sono ancora più evidenti perché Erdogan preannuncia un’escalation contro i nemici lungo le proprie frontiere. «Il voto è un messaggio contro il Pkk - dice riferendosi al Partito dei lavoratori curdi - la violenza ed il terrore non ci piegano». Le operazioni militari in atto nel Sud della Turchia contro il Pkk e le accuse ai curdi siriani del Pyg di «essere alleati ai terroristi» si accompagnano a un’offensiva aerea in Siria tesa a unificare i campi di battaglia sugli opposti lati del confine. «Se il Pyg reagirà attaccando i turchi - osserva una fonte diplomatica europea ad Ankara - Erdogan avrà la scusa per l’intervento di terra anti-curdo in Siria».
È un orizzonte di maggiore presenza militare dentro il mondo arabo che spiega l’enfasi del governo dell’Akp nell’indicare chi si è affrettato a recapitare le congratulazioni per il risultato elettorale: anzitutto Khaled Mashaal, leader di Hamas all’estero, poi i leader dei Fratelli Musulmani egiziani, quindi il capo del partito islamico tunisino «Ennahda» Rached Ghannouchi, e infine oltre una dozzina di gruppi ribelli siriani che parlano di «sviluppo importante per l’intera regione».

Ribelli siriani con lui
Si tratta di alcune delle unità combattenti che più incalzano il regime di Bashar Assad: dalla divisione «Sultan Murad» al «Fronte di Damasco», dall’«Esercito dei Mujaheddin» all’«Esercito dell’Islam». È la mappa della nascente coalizione arabo-sunnita che si riconosce in Erdogan e prevede un rafforzamento degli interventi strategici di Ankara, dalla Siria alla Striscia di Gaza fino alla Libia.

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