Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/11/2015, a pag. 5, con il titolo "La fortezza Sharm el-Sheik nei mirino dei clan alleati dell'Isis", il commento di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Affiliati allo Stato islamico nel Sinai
La pista del terrorismo per il disastro aereo russo nel Sinai porta a Sharm el-Sheikh, da dove l’aereo siberiano è decollato, con il conseguente sospetto di infiltrazioni jihadiste nelle locali tribù beduine. Che si sia trattato di un kamikaze salito a bordo con dell’esplosivo oppure di una bomba imbarcata evadendo i controlli, l’ipotesi-attentato parte dall’aeroporto della più nota località turistica del Sinai dove gran parte del personale - dagli autisti ai camerieri, dalle guide ai guardiani - viene dalle tribù beduine Muszeina, Suwalha e Gebeleya che vivono nelle regioni meridionali della penisola desertica.
Guerriglia jihadista
Dall’inizio della guerriglia jihadista di Beyt al Maqqdis nel 2013 - il gruppo che lo scorso anno ha aderito allo Stato Islamico - queste tribù «sono state le più calme e collaborative con il governo del Cairo» spiega Yossi Melman, esperto israeliano di anti-terrorismo, «grazie alla capacità degli egiziani di sommare minacce, punizioni e corruzione economica». Il turismo di Sharm è stato la loro maggiore fonte di guadagno. Al contrario, Isis è più aggressivo nel Nord Sinai dove alcuni elementi delle grandi tribù Tarabin e Sawarka hanno accettato di allearsi con i gruppi jihadisti, offrendo collaborazione in cambio di danaro e della gestione di traffici illeciti con la Striscia di Gaza.
Nel Nord Sinai la penetrazione di Isis nelle tribù ha portato a spaccature dentro clan e famiglie, con i leader Tarabin firmatari di una lista di «richieste» al Cairo: chiedendo liberazione di detenuti ed aiuti economici per non dover cedere alla seduzione degli jihadisti. Da qui l’ipotesi che Isis sia riuscita a sfruttare elementi delle tribù del Nord per infiltrarsi in quelle del Sud - alcuni clan dei Tarabin confinano con i Gebeleya, pochi chilometri a Nord di Ain Khudra sul Mar Rosso - e dunque riuscire a operare a Sharm el-Sheik, violando una delle ultime roccaforti dell’industria turistica egiziana.
Nel 2014 il turismo è stato la fonte dell’11,3 per cento del pil egiziano grazie soprattutto a Sharm el-Sheik per via del fatto che gli stranieri dalla rivoluzione del 2011 hanno sempre più limitato i viaggi lungo il Nilo ed alle Piramidi, salvando però i resort sul Mar Rosso considerati al riparo da sanguinosi attentati. Se la scorsa primavera il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi scelse proprio Sharm per ospitare il summit economico internazionale sul rilancio della crescita è perché l’eccezione del Sud Sinai ha avuto finora un alto valore strategico per il governo.
Riuscire a violare Sharm può dunque consentire a Isis di infierire un duro colpo a ciò che resta del turismo internazionale in Egitto: e farlo colpendo un obiettivo russo raddoppia l’impatto, ai danni di Vladimir Putin regista dell’intervento militare in Siria che ha per obiettivo proprio i gruppi jihadisti. Tutto ciò spiega la prudenza del Cairo e Mosca nelle indagini sulla tragedia nel Sinai che investono il reticolo di relazioni claniche e famigliari fra una dozzina di maggiori tribù beduine che sommano circa 80 mila anime.
Il controterrorismo
Il capo di stato maggiore egiziano, Hisham Al-Halabi, definisce il conflitto nella penisola «una guerra di intelligence» perché ciò che più conta è riuscire a disegnare la mappa delle complicità tribali che consente ai jihadisti di muoversi impunemente, ricevere rifornimenti e continuare a operare: finora comprendeva solo le regioni a Nord, con l’epicentro a Sheik Zweid, adesso gli interrogativi investono quelle a Sud, che popolano lo strategico angolo di territorio fra il Mar Rosso ed il Canale di Suez. Nel tentativo di consolidare la cooperazione con le tribù l’esercito egiziano ha preso in esame la proposta del capo clan Al-Sawarka Shaykh Ibrahim al-Manei di creare una milizia locale filo-governativa, da affiancare alle truppe con compiti di controguerriglia: è un’opzione che il presidente Al-Sisi potrebbe fare propria se l’emergenza-beduini dovesse arrivare a Sud.
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