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Ugo Volli
Cartoline
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La follia del terrorismo popolare 02/11/2015
La follia del terrorismo popolare
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: una differenza fondamentale nella guerra tra terroristi palestinesi e Israele

Cari amici,

la violenza del “terrorismo popolare” in Israele continua: un accoltellamento lì, una sassaiola che magari ferisce dei bambini (https://twitter.com/afagerbakke/status/660501571764142080) qui, un investimento con l'automobile là... ormai è passato un mese e il ritmo ogni tanto cala, ogni tanto aumenta, ma sostanzialmente resta uguale. Sono i giornali semmai che ne parlano di meno: sono diventati banali, oltretutto è evidente che si tratta di aggressioni dei “palestinesi” che dovrebbero essere i buoni contro gli ebrei israeliani che dovrebbero essere i cattivi e dunque è meglio non parlarne troppo, non dar troppo peso a episodi che provano che sono i bravi palestinisti a scatenare la violenza. E questa può essere anche una buona cosa, mostrare che sul piano del richiamo internazionale il terrorismo popolare, come si usa chiamarlo, non paga.

Però pensateci, c'è qualcosa di folle e di malato in questa storia: un ragazzo (di solito sono ragazzi) esce di casa una mattina (di solito sono case abbastanza belle, non certo catapecchie da disperati), saluta la famiglia (di solito sembrano famiglie normali medio borghesi, nelle foto delle interviste si vede spesso un grande schermo televisivo, un salotto, madri e parenti vestiti in maniera tradizionale). Inforca la sua moto (si sono viste delle belle moto in mano a questi terroristi) o una macchina o si muove a piedi... e arrivato in uno dei posti canonici (la porta dei Leoni alla Città Vecchia di Gerusalemme, una fermata d'autobus fuori da uno dei villaggi del Gush Etzion, l'incrocio di Tapuah sulla statale 60, i quartieri ebraici a nord della capitale che confinano con villaggi arabi inclusi nel municipio di Gerusalemme, una stazione di autobus di una città israeliana) tira fuori dalla tasca un coltello e cerca di ammazzare qualcuno, un militare, un adolescente, un vecchio rabbino. Di solito non ci riesce, nonostante l'abbondanza di istruzioni diramate dai palestinisti su dove colpire per ammazzare sicuramente gli ebrei (http://nypost.com/2015/10/17/terrorists-post-videos-teaching-palestinians-how-to-stab-a-jew/) e produce solo ferite più o meno gravi; ma dato che Israele è un paese piccolo e affollato, c'è sempre qualcuno attorno che accorre e se è nell'esercito, nelle forze dell'ordine o comunque armato gli spara.

Accade più spesso che l'attentatore muoia piuttosto che le sue vittime. Ma è ridicolo parlare di sproporzione di mezzi, o di eccesso di legittima difesa, come fanno i palestinisti e certe organizzazioni “benefiche” tipicamente antisraeliane, per la semplice ragione che se non lo si fermasse sparando l'attentatore con ogni probabilità continuerebbe a infierire sulle sue vittime fino ad ucciderle. Anzi, di fatto, ogni volta che per qualche ragione non c'è nessuno a sparare, i terroristi hanno sempre continuato il lavoro di coltello fino a completare l'omicidio. E chiunque dica che la polizia non dovrebbe sparare ma catturare l'assassino (a mani nude? Con un duello rusticano a coltellate) evidentemente non sa di quel che parla. Comunque la storia è quella di un ragazzo che esce di casa con lo scopo di ammazzare e la quasi certezza che sarà ucciso lui o ferito gravemente o quantomeno catturato.

Se quel che ho capito è anche vagamente realistico, c'è qualche cosa di follemente irrazionale nell'atteggiamento di questi ragazzi. Che senso può avere cercare di ammazzare uno sconosciuto, che individualmente non ti ha fatto niente e che magari è perfino favorevole alla tua causa (o almeno alla “pace”, purtroppo non c'è molta differenza: http://elderofziyon.blogspot.it/2015/11/the-new-york-times-and-murder-of-jewish.html), come è accaduto con qualcuna delle vittime? Che senso ha andare ad ammazzare qualcuno sapendo che probabilmente non lo ucciderai (e anche se lo uccidessi non cambierebbe nulla nei rapporti di forza fra le due parti, non c'è nessuna battaglia, le forze militari di Israele non saranno certo logorate da questa forma di terrorismo) ma con la quasi certezza che morirai, o almeno sarai gravemente ferito e poi processato e imprigionato per anni? Perché produrre lutto e dolore nella tua famiglia e in quella degli sconosciuti che cercherai di sgozzare? A che serve questa liturgia di morte? Non ha nessun senso, se non la disperazione (politica, non personale) di qualcuno che abbia constatato il fallimento del palestinismo, un movimento in crisi profonda, senza prospettive, che nel momento in cui emerge la guerra di tutti contro tutti non interessa più a nessuno, forse neanche alla massa degli arabi di quelle parti, certo non alle masse del mondo arabo (http://www.timesofisrael.com/losing-palestine/). Ma questo fallimento può indurre ad appoggiare il microterrorismo Muhammed Abbas, magari con la solita complicità antisemita dell'Unione Europea (http://www.focusonisrael.org/2015/10/31/unione-europea-abu-mazen-mogherini/) e magari qualcuno dei suoi sodali (per esempio il buffo Erekat che forse gli succederà); può portare al suicidio omicida un giovane di vent'anni che ha la vita davanti.

E invece no, questa follia prosegue. La ragione è che per contorti che siano i contatti, per indiretta che sia la manipolazione, il ragazzo che esce per ammazzare ed essere ammazzato è telecomandato da chi ha interesse a usarlo (http://jcpa.org/article/the-hidden-hand-behind-the-palestinian-terror-wave/): e si muove soprattutto sulla base di un calcolo sbagliato, di un immenso errore culturale che i suoi burattinai (magari gli insegnanti delle scuole pagate dall'agenzia Unrwa della Nazioni unite, magari chi dirige la sua moschea, certamente chi comanda per l'Autorità Palestinese il suo villaggio) gli ha inculcato.

L'idea è quella che ha esposto a suo tempo l'ayatollah Khomeini: “distruggere Israele e comunque, con l'aiuto di Allah non concedere un solo giorno di pace al regime sionista”. In altri termini, gli assassini sono indotti a pensare che se “i sionisti” o, come dicono loro, “gli ebrei” saranno sottoposti a un grado sufficiente di violenza, essi si scoraggeranno, spariranno, “torneranno in Europa” o magari si lasceranno sgozzare perché - nella concezione razzista dell'Islam - sono un popolo vile. Quest'idea di non lasciare in pace, di tormentare, di “non normalizzare” Israele, di non permettergli di vivere in pace è la linea dominante che spiega le azioni non solo di questi terroristi più o meno solitari, ma di tutta l'azione dell'Autorità Palestinese e di Hamas. Non c'è certamente, o almeno non ancora e speriamo forse mai l'ingegneria genocida della pianificazione nazista dei campi di sterminio, c'è invece il fantasma irrazionale, vagamente magico che gli ebrei, se sufficientemente molestati, spariranno da sé, lasciando libero campo agli arabi (che naturalmente non per questo cesseranno di combattersi fra loro, come fanno in tutto il Medio Oriente).

Mi permetto di sottoporvi ancora una citazione in merito, tratta come la precedente da un articolo di Sergio Della Pergola: “I mezzi utilizzati nella seconda intifada non possono essere utilizzati in qualunque sollevazione futura, ma le persone sono innovative nella creazione di nuovi mezzi. Abbiamo bisogno di una intifada di bassa scala che non paralizzi la vita sociale, ma mantenga l'occupazione e i coloni in uno stato di tensione e di insicurezza, mentre gli scontri dovrebbero essere distribuiti in tutte le regioni.” Parole, si può ben dire, profetiche o piuttosto programmatiche dello “scrittore e analista politico palestinese Ahmed Rafiq Awad”. Qualcosa del genere si trova del resto negli editoriali dei giornali palestinisti raccolti in questo articolo, che parlano tutti di una sollevazione “saggia”, che deve calcolare attentamente il suo sviluppo: http://www.terrorism-info.org.il/Data/articles/Art_20898/E_188_15_716764056.pdf. Insomma i palestinisti sanno quel che fanno, a differenza dei giovani che tentano l'omicidio.

Si tratta di un progetto razionale nella scelta dei “mezzi” (che è un eufemismo per dire armi, strumenti di morte, modi di far fuori gli ebrei). Ma totalmente infondato e irrealistico nei fini, perché ormai è dimostrato da quasi un secolo che gli israeliani non sono disposti a suicidarsi né ad andarsene, che sono in Eretz Israel per restarci: la maggior parte di loro, del resto, non solo è nata nel paese, ma è figlia di altri israeliani nati lì. Le radici israeliane nella terra sono profonde e solide, molto più di quelle arabe. Come hanno fallito prima, stanno fallendo anche questa volta. E a costo di lutti e di rovine umane terribili, nella maggior parte a carico del loro stesso popolo.

Immagine correlata
Ugo Volli


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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