Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/11/2015, a pag. 1-23, con il titolo "Interlocutore indispensabile su Siria e profughi", il commento di Stefano Stefanini.
Scrive Stefanini: "La vittoria di Erdogan, alleato occidentale pur se talvolta eccentrico, promette una misura di continuità e affidabilità: in tempi di crisi, di per sé una buona notizia". Non si capisce di quale buona notizia possa trattarsi, dal momento che il partito di Erdogan è islamista. Quanto alla definizione del "nuovo sultano" come "eccentrico", è quantomeno singolare, riferita a un personaggio che appoggia il terrorismo dei Fratelli musulmani e che ha portato un Paese mai pienamente democratico, eppure connotato da caratteri di laicità, all'islamismo. Ma il direttore della Stampa legge quel che scrivono dalla Turchia Molinari e Ottaviani ?
Ecco l'articolo:
Recep Tayyip Erdogan
Tayyip Erdogan torna sulla cresta dell’onda. Solo sei mesi fa sembrava che l’Akp, il suo partito, stesse perdendo presa sull’elettorato turco; la battuta d’arresto comprometteva la scommessa del Presidente di cambiare la Turchia con la forza del voto. L’opposizione, che fonde l’anima secolare e kemalista del Chp con quella curda dell’Hdp, non è stata capace di fare una maggioranza di governo. Rimpiangerà amaramente di non essere riuscita ad approfittare del primo passo falso di Erdogan.
Il voto di ieri ha dato ragione al Presidente. Sulla soglia del 50% dei suffragi, l’Akp può governare da solo ma non può cambiare la Costituzione turca. Erdogan non ha fatto mistero di voler rafforzare i poteri presidenziali, che già esercita con un autoritarismo sconosciuto ai suoi predecessori. L’obiettivo è ora a portata di mano. La maggioranza assoluta parlamentare – se confermata dai conteggi finali - gli potrebbe consentire anche di accentuare l’identità islamica della Turchia, solidificando la rottura con l’impronta laica, dettata dal padre della Turchia moderna, Kemal Atatürk.
Del resto, Erdogan e l’Akp hanno già abilmente rivisitato la storia: il centenario di Gallipoli è stato celebrato come una vittoria ottomana nel segno della fede sulle potenze occidentali che cercavano d’impadronirsi degli Stretti. Nulla di questo nella precedente storiografia.
Il voto di ieri sembra fare di Erdogan l’uomo indispensabile per la Turchia. È una conferma democratica: viene dalle urne, sia pure in un clima di divisioni forti e tensioni dell’opinione pubblica. Resta da vedere quanto indispensabilità e democrazia siano alla lunga compatibili. Ed è questo un nodo che si porrà per la Turchia, come per altri, a cominciare dalla non lontana Russia.
Sulla scena internazionale la stabilità fa solitamente premio. La diplomazia ama la prevedibilità, non i cambiamenti. La Turchia è un Paese cruciale per gli equilibri regionali: membro della Nato, in prima linea con Isis e con la Siria, terra che accoglie circa due milioni di rifugiati siriani e fa da transito al crescente flusso di quanti di loro mirano all’Europa. La vittoria di Erdogan, alleato occidentale pur se talvolta eccentrico, promette una misura di continuità e affidabilità: in tempi di crisi, di per sé una buona notizia.
In questi ultimi anni la politica estera di Erdogan e del primo ministro Davutoglu non può vantare grossi successi. La visione neo-ottomana si è rivelata un’illusione. La strategia del «niente problemi con i vicini» vede oggi la Turchia ai ferri corti con la Siria e in un rapporto teso con l’Iran, mentre il fallimento delle primavere arabe ne ha spento il richiamo come modello di democrazia per i Paesi arabi dell’arco mediterraneo. Gli strappi con Israele, solo in parte rimarginati, pesano sugli equilibri regionali. Ma si sa, il vicinato non è mai stato dei più facili: la crisi siriana l’ha trasformato in un campo minato. La Turchia si è presa qualche libertà diplomatica, ma per la sicurezza Ankara rimane fermamente ancorata all’Alleanza Atlantica. L’ha confermato, proprio in nella recente intervista alla Stampa, il Segretario Generale della Nato, Stoltemberg. Quando il gioco si fa pesante, anche il figliol prodigo torna all’ovile.
Il dialogo con l’Unione Europea, di cui la Turchia resta Paese candidato, non è mai stato né semplice né scorrevole. Le responsabilità sono reciproche. I recenti strappi autoritari del Presidente turco, da ultimo sui mezzi d’informazione, non aiutano. Toccando la libertà d’informazione, Erdogan rischia d’avventurarsi su un terreno pericoloso: non tanto per i rapporti con l’Ue quanto per il futuro della Turchia.
Oggi però la crisi dei rifugiati, al primo posto delle preoccupazioni europee, fa di Ankara un interlocutore essenziale. La collaborazione turca è semplicemente indispensabile. Proprio Erdogan è reduce da un complesso accordo con l’Unione: per Bruxelles è meglio avere ad Ankara un Presidente turco rafforzato nel suo potere dal voto di domenica che non un Erdogan in difficoltà nel governare.
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