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La Stampa Rassegna Stampa
02.11.2015 Elezioni in Turchia: vince Erdogan l'islamista, la folla lo acclama al grido 'Allahu Akbar'
Due servizi di Maurizio Molinari, Marta Ottaviani intervista la deputata curda Huda Kaya

Testata: La Stampa
Data: 02 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari - Marta Ottaviani
Titolo: «Erdogan ritrova la maggioranza, esplode la rabbia dei curdi - Il Sultano riprende la sua corsa, riforma presidenziale e via Assad - 'La nostra gente non arrivava ai seggi, hanno fatto di tutto per fermare i curdi'»

Riprendaimo dalla STAMPA di oggi, 02/11/2015, a pag. 1-3, con il titolo "Erdogan ritrova la maggioranza, esplode la rabbia dei curdi" e "Il Sultano riprende la sua corsa, riforma presidenziale e via Assad", due servizi di Maurizio Molinari; con il titolo "La nostra gente non arrivava ai seggi, hanno fatto di tutto per fermare i curdi", l'intervista di Marta Ottaviani alla deputata dell'Hdp (il partito curdo) Huda Kaya.

Ecco gli articoli:

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Recep Tayyip Erdogan, il Sultano

Maurizio Molinari:  "Erdogan ritrova la maggioranza, esplode la rabbia dei curdi"

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Maurizio Molinari

«Elhamdulillah», Allah sia lodato. E’ l’unica parola del twitter con cui il premier Ahmet Davutoglu dichiara vittoria nelle elezioni turche che assegnano al partito Akp la maggioranza assoluta, schiudendo al presidente Recep Tayyp Erdogan un orizzonte da Sultano. Davutoglu scrive il twitter islamico da Konya, il suo distretto nell’Anatolia Centrale, da dove parla di «giorno di vittoria e modestia». Per poi andare a rendere omaggio alla tomba di Mevlana Jalaladdin Rumi.
È il teologo sufi del XIII secolo la cui influenza si estende dall’Egeo all’Asia Centrale disegnando i confini dell’area a cui Erdogan intende rivolgersi.

L’Anatolia in soccorso
Parole, gesti e simboli del vincitore del voto descrivono la genesi di un risultato a sorpresa che nasce dall’Anatolia, la regione più remota e islamica del Paese, dove un’affluenza record alle urne - ha toccato l’87 per cento a livello nazionale - ha coinciso con un significativo spostamento di voti verso l’Akp da parte di chi cinque mesi fa aveva preferito i curdi di Hdp e i nazionalisti. Con oltre il 99 per cento dei voti scrutinati, il partito islamico di Davutoglu, fondato da Erdogan, raccoglie il 49,4 per cento delle preferenze con un balzo di 9 punti rispetto a giugno che gli consente di arrivare a 316 seggi, ben oltre i 276 della maggioranza assoluta.

Curdi in calo
I curdi dell’Hdp, la sorpresa delle urne in giugno, vengono ridimensionati ad un 10,7 per cento che gli consente a malapena di superare lo sbarramento e i nazionalisti subiscono un altrettanto netta sconfitta, fermandosi all’11,7 per cento. Se queste due sacche di elettori si sono trasformate da punto di debolezza al motivo del riscatto dell’Akp è perché «ha vinto la paura» spiega Suat Kiniklioglu, direttore del Centro di comunicazioni strategiche di Ankara, puntando l’indice sul «massiccio ricorso ai temi della sicurezza» da parte del tandem Erdogan-Davutoglu dopo lo smacco subito: l’offensiva militare contro i guerriglieri curdi in Turchia, Siria e Iraq, ha riportato l’emergenza all’ordine del giorno spingendo i nazionalisti a preferire l’Akp e molti curdi moderati ad abbandonare il nuovo partito, più volte accusato dal governo di «complicità» con gli attentati del Pkk.

Gli eredi di Atatürk
I repubblicani del Chp, eredi di Atatürk, sono la seconda forza politica con il 25,4 per cento, ma pagano la scelta di non aver creato la coalizione con Erdogan e sono i primi a riconoscerne la vittoria: «Non serve nessun accordo per governare, faranno da soli». La folla di sostenitori di Erdogan ad Ankara e i fuochi d’artificio sui quartieri asiatici di Istanbul sono le immagini di un risultato inatteso - i sondaggi davano l’Akp in difficoltà - e stridono con quanto avviene a Diyarbakir, maggiore centro curdo del Sud-Est, dove è battaglia.

Una guerriglia che continua nella notte, nutrendosi dei sospetti di brogli governativi che si rincorrono sui social network con testimonianze su «voti contati in fretta» e misteriose «auto bianche senza targa» davanti a più seggi in distretti decisivi. Mardin, il quartiere curdo di Nusaybin, è scosso da una potente esplosione. Gli sconfitti ammettono lo smacco, imputandolo alla «strategia della paura». Figen Yuksekdag, co-presidente dell’Hdp, parla di «cinque mesi abnormi alle nostre spalle» con «tensioni estreme». Selahattim Demirtas, l’altro co-presidente, è più netto: «Non abbiamo fatto campagna elettorale ma solo tentato di proteggere la nostra gente» dopo l’attacco terroristico ad Ankara del 10 ottobre che, con i suoi oltre cento morti, ha creato il clima che ha giovato al successo della ricetta «stabilità per la sicurezza» di Erdogan.

Maurizio Molinari: "Il Sultano riprende la sua corsa, riforma presidenziale e via Assad"

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Sostenitori di Erdogan gridano "Allahu Akbar"

Turbanti rossi a Piyalepasa, grida di «Allah hu-Akbar» a Saffiet Cebi e 5 ore di raid no-stop dentro il territorio siriano: è quanto avviene fra il Bosforo e Kilis a descrivere la genesi di una vittoria che proietta Recep Tayyp Erdogan nell’ambizioso ruolo di Sultano del Medio Oriente.

A Piyalepasa c’è il seggio nella scuola dove il presidente turco ha studiato e davanti all’entrata sostano tre uomini barbuti - fra i 24 e i 50 anni - con turbanti biancorossi e lunghe jalabye nere. Si identificano con i Fratelli musulmani, non hanno dubbi sul fatto che Erdogan «governerà per sempre», credono nella «vittoria netta» che più tardi si materializzerà e identificano la «missione» del nuovo governo dell’Akp con «l’intervento in Siria per difendere i musulmani e rovesciare il tiranno Assad». «Erdogan è l’unico che si batte per l’Islam in Siria» afferma uno di loro, esternando un palpabile orgoglio.
Se i seguaci dei Fratelli Musulmani vedono nella vittoria nelle urne un orizzonte di guerra quando Erdogan va a votare nel proprio seggio, nella scuola di Saffiet Cebi del distretto asiatico di Kisikli, ad accoglierlo ci sono donne velate che lanciano dolci sulla folla gridando «Allah hu-Akbar», Dio è grande. Le guardie del corpo del presidente distribuiscono piccoli regali ai bambini sulla strada adiacente e quando Erdogan esce dal seggio interpreta così il significato del voto per rinnovare il Parlamento: «È divenuto evidente quanto è importante la stabilità per la nostra nazione». La «stabilità» a cui si riferisce è descritta dalle decisioni che il premier Ahmet Davutoglu ha adottato negli ultimi cinque mesi per rovesciare il risultato elettorale che lo privò della maggioranza assoluta: interventi militari in Siria e Iraq contro curdi e Isis, massicce misure di sicurezza nel Sud-Est per sradicare il Pkk e più richiami all’Islam nella vita pubblica nazionale.

Islam e sicurezza interna
La sovrapposizione fra una politica interna nel segno dell’Islam e una politica di sicurezza regionale muscolosa è la formula di «stabilità» attorno a cui Erdogan punta a costruire per la Turchia un ruolo di leadership in un Medio Oriente segnato dall’implosione degli Stati arabi. Ecco perché, a meno di 22 ore dall’apertura dei seggi, l’aviazione militare ha compiuto uno dei raid più massicci in Siria: nelle regioni oltreconfine attorno a Kilis i jet di Ankara hanno colpito senza interruzione dalle 9 alle 13 del mattino di sabato bersagliando tanto le postazioni dello Stato Islamico che della guerriglia curda, con un bilancio di almeno «cinquanta terroristi uccisi».

Ad avvalorare l’impressione che Erdogan abbia voluto far capire ai propri nemici in Siria cosa sta per avvenire c’è il fatto che i jet turchi in questa occasione hanno operato d’intesa con «forze turkmene sul terreno» ovvero con milizie etniche espressione diretta degli interessi di Ankara. È uno scenario che vede Erdogan, oramai libero da preoccupazioni politiche domestiche, proiettarsi in due direzioni: sul fronte interno verso la riforma presidenziale destinata ad assegnargli vasti poteri politico-istituzionali e sul fronte esterno verso un maggiore interventismo nelle crisi arabe. Puntando anzitutto a rovesciare Assad in tempi brevi.

In rotta di collisione
È la «strategia del Sultano», come qualcuno già la definisce a Washington, che però è portatrice di grattacapi in Occidente. A spiegarlo è Bruce Riedel, ex consigliere d’intelligence del presidente Barack Obama, secondo il quale «il risultato elettorale complica di molto l’impegno della coalizione internazionale perché Erdogan ha puntato su politiche e sentimenti anti-curdi» mentre l’amministrazione Usa ha deciso di armare proprio i guerriglieri curdi siriani per accrescere la pressione militare contro il regime di Assad. Già ai ferri corti con Putin proprio sulla Siria, l’onnipotente Erdogan segue una rotta di collisione anche con gli interessi di Washington. Come si addice ai veri Sultani.

Marta Ottaviani:  "La nostra gente non arrivava ai seggi, hanno fatto di tutto per fermare i curdi"

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Marta Ottaviani

Un risultato inaspettato, la Turchia che rischia un punto di non ritorno, una lotta pacifica che va avanti, nonostante la sorpresa e la delusione. Huda Kaya, deputata dell’Hdp, il partito curdo, rieletta ieri a Istanbul commenta a caldo il risultato elettorale. Sul quale, secondo lei, pesa più di una nube.

Onorevole Kaya, lo spoglio è quasi finito. Qual è il suo primo commento del voto?
«Direi che sono come minimo sorpresa e mi sembra strano. I sondaggi di cui eravamo in possesso a livello del partito e condotti da società di ricerca importanti, dicevano che avremmo preso, nel peggiore dei casi il 13 per cento, ma che potevamo arrivare anche al 15-16. Invece siamo appena sotto il 10 e abbiamo anche rischiato di rimanere fuori dal Parlamento. C’è qualcosa che non torna».

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Huda Kaya


Vuole dire che ci sono stati dei brogli?
«Ci sono cose che andranno chiarite. Temevamo già dalla vigilia che ci sarebbero state delle zone d’ombra ma questo risultato è veramente al di là di ogni immaginazione. Di certo si sa che molte persone nell’Est del Paese, dove tradizionalmente il partito curdo è molto forte, non sono riuscite non dico a votare, ma nemmeno ad andare ai seggi. Le scorse elezioni erano andate in maniera diversa, in queste sono arrivate più segnalazioni».

Avete rischiato di rimanere fuori dal Parlamento, i vostri voti nel Sud-Est del Paese se li è presi l’Akp, il bilancio politico vostro come Hdp cosa dice?
«Guardi, onestamente per la campagna elettorale che abbiamo scelto di fare, proprio per questo motivo, non riesco a credere che abbiamo perso tutti questi consensi. Abbiamo rinunciato ai comizi in primo luogo per motivi di sicurezza. Abbiamo scelto piccoli incontri in circoli, case private, associazioni. Si è trattato di una campagna elettorale di minore impatto, ma che ci ha fatto veramente capire quale fosse il polso della situazione e quante persone fossero serenamente disposte a votarci».

Che cosa succede adesso in Parlamento?
«Per noi non succede proprio niente. Continuiamo con la nostra attività politica, abbiamo un programma da rispettare e milioni di lettori che ci hanno votato».

Su cosa vi concentrerete?
«Sui diritti, assolutamente. Questo Paese ha bisogno di una ventata di pace e di diritti».

Cosa si aspetta dal presidente Erdogan e dal futuro partito?

«Non sono molto ottimista se devo dire. Recep Tayyip Erdogan ha come unico obiettivo quello del sistema presidenziale forte e non si fermerà finché non lo avrà ottenuto. Il suo partito è in Parlamento per garantirglielo».

Che cosa vorreste voi?
«Per prima cosa una legge elettorale diversa, che consenta ad altri partiti di entrare in parlamento, ma anche in questo frangente, l’Akp è al potere da anni nel Paese e non ha mai fatto nulla per cambiarla».

Siete preoccupati per la deriva conservatrice del Paese?
«Personalmente sono molto più preoccupata per la crescente mancanza di democrazia. Io sono religiosa e porto il velo. Ma in Turchia non solo la religione è entrata nella politica, si sta imponendo la volontà di uno a tutta la nazione».

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