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Tramonto libico Autori famosi come Sami Michael o esordienti come Carolina Delburgo hanno raccontato la tragedia della cacciata degli ebrei dai loro paesi d’origine, Egitto, Libia, Iraq in pagine di forte impatto emotivo. Grazie a quei romanzi o mémoire abbiamo preso coscienza di una realtà storica poco conosciuta: l’esodo forzato di comunità ebraiche fiorenti, disgregatesi a seguito di persecuzioni e discriminazioni messe in atto nei paesi arabi dopo la nascita dello Stato d’Israele e dopo la Guerra dei Sei Giorni. Un dramma privato e sociale al contempo le cui conseguenze sono arrivate sino ad oggi. In un tempo smarrito di spreco di parole ci sono libri “custodia” che hanno il compito di tramandare la memoria che “…come una goccia d’olio buttata nell’acqua, può scomparire per un istante ma poi se ne torna su, galleggia come uno sguardo su ciò che è stato”. Fra queste opere imperdibili si colloca “Tramonto libico” un mémoire che, attraverso una storia intima, racconta con toni pacati ma efficaci le vicende degli ebrei di Libia. Partendo dal 1967, l’anno della Guerra dei Sei Giorni che farà riesplodere la rabbia araba con nuovi episodi di sangue, Raphael Luzon inizia il racconto delle vicende che hanno portato la sua famiglia a fuggire da Bengasi, la città dove era nato nel 1954 e dove aveva frequentato dai preti la prestigiosa scuola La Salle. Pagina dopo pagina i ricordi dell’autore si snodano offrendoci squarci della vita quotidiana a Bengasi, tratteggiando con delicatezza personaggi solo in apparenza secondari come Zeinab, la domestica “lenta ma efficiente” che piange quando capisce di non poter più tornare ad accudire quella famiglia di ebrei. La paura e lo sconcerto dinanzi alla crescente violenza araba dopo la vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni si mescolano all’incertezza su un futuro “immerso in una nebbia nera” che coglie le famiglie ebree al momento di lasciare la Libia. Luzon racconta con emozione l’arrivo a Roma, le difficoltà dei genitori ad ambientarsi in una nuova città, il rapporto conflittuale con i giovani ebrei romani che vedono in lui uno straniero, i successi scolastici, il dolore straziante per la perdita di Fiammetta, la giovane sposa che prima di morire gli strappa la promessa di crescere la figlioletta in Israele. E ancora, la scelta a lungo meditata di fare alyah e infine, dopo anni e un nuovo matrimonio, la decisione di emigrare in Inghilterra dove prenderà avvio il suo impegno politico per riallacciare i rapporti tra l’ebraismo libico e lo stato libico. Un impegno per il quale rischierà la vita tornando in Libia sia durante il regime di Gheddafi, sia nel luglio del 2012 quando sarà arrestato con l’accusa di essere un agente del Mossad dalle milizie islamiche al potere in quei mesi. Lasciamo al lettore il piacere di addentrarsi nella trama di “Tramonto libico” un libro dallo stile elegante e scorrevole, pervaso di struggente nostalgia, denso di avvenimenti e di notizie storiche che fanno da scenario ad una vita - quella di Raphael Luzon - vissuta nella costante ricerca della giustizia, nel legame saldo con la fede e le tradizioni ebraiche e con una speranza, mai sopita, nella bontà dell’essere umano che lo hanno spinto “ a cercare il bene a tutti i costi, a voler unire le differenze, perseguire la pace tra le persone, le religioni, i popoli”. Condivido il consiglio di Roberto Saviano nella prefazione di soffermarsi ancora un po’ su questo libro al termine della lettura e di rileggerne alcune parti con rispetto perché, in un’epoca così drammatica per la Libia e per molti paesi arabi, l’atteggiamento costruttivo di Luzon volto alla riconciliazione e al dialogo fra i popoli può essere un esempio per intraprendere un cammino di pace e di accoglienza di cui mai come in questi tempi avvertiamo la necessità.
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