Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 28/10/2015, a pag. 12, con il titolo "Medio Oriente, quando il passato è un alibi", la lettera dell'estremista anti-Israele Jason Cardone e la risposta di Furio Colombo.
Furio Colombo
Un imam palestinese incita ad accoltellare ebrei
CARO FURIO COLOMBO, la continua negazione dei diritti dei palestinesi va di pari passo con i continui richiami altrove alla "memoria", o meglio l'emergente culto della vittimizzazione gerarchizzata che certe comunità pretendono anche come un diritto. In questi giorni gente priva di ogni speranza per il futuro muore e, sì, uccide per disperazione. II fatto che lei preferisce parlare di altre vittime del passato e di "un delitto italiano" suona a me come una triste strumentalizzazione della storia, per evitare di parlare di certi altri delitti del presente che sono sotto gli occhi di tutti.
Jason Cardone
C'È UN ROVESCIAMENTO, in questa lettera. L'autore fa esattamente ciò che mi rimprovera di fare. Se il tema è la tragedia di Gerusalemme in questi giorni (chiunque può essere attaccato a coltellate o abbattuto da un'auto in corsa per una disperata vendetta di eventi che stanno accadendo ai nostri giorní). L'autore della lettera può accusarmi di non avere simpatizzato per le coltellate di queste ore, ma non di avere scritto, 15 anni fa, la legge sul "Giorno della Memoria della Shoah". Allora ricordavo la necessità e, secondo me (per fortuna, secondo tanti) la necessità di non dimenticarne il senso, la progettazione e la immensa, scrupolosa esecuzione dello sterminio di un popolo.
Adesso, nell'occasione in cui sono intervenuto in questa pagina, l'ho fatto per parlare della spaventosa intifada dei coltelli e del brutto momento di un popolo palestinese privo di leader, usato a volontà da altri movimenti e Paesi contro lsraele. Accoltellare per la strada a caso è "un gesto di disperazione" (sua definizione) che appare feroce e inutile e che certamente include o includerà fra le vittime i cittadini di Gerusalemme che vogliono la pace e la convivenza pacifica fra i due Stati. Jason Cardone (che forse firma la sua lettera con uno pseudonimo) avrà visto la marcia di arabi e israeliani insieme per le strade di Gerusalemme, dietro un grande striscione di pace.
Ma l'argomentazione del nostro interlocutore è due volte assurda. Vi è, secondo lui, una particolare e intenzionale malevolenza che segna il ricordo della grande tragedia del passato di un popolo, come la Shoah, che ha coinvolto non solo gli ebrei come vittime ma tutti gli europei come ambigui e passivi o indifferenti testimoni, e molti di essi come carnefici. A meno che non sia motivato da una persuasione fascista (la parola è un'ipotesi, non un'accusa), l'affermazione è priva di senso.
Come può la memoria senza fine di un grande e quasi riuscito tentativo di sterminio, essere interpretato come una divagazione, parlare di ieri per non parlare di oggi? I discorsi sulla Palestina non cominciano tutti, sempre, con l'evocazione della nascita di Israele (che implica riconquista, cancellazione, vendetta)? Come non vede l'autore della lettera che, parlando di "delitto italiano" intendo ricordare le responsabilità gravi del mio Paese (la maggior parte degli ebrei italiani sono stati arrestati o denunciati da italiani dietro compenso di lire 5.000) e non sto usando un argomento "altro'; visto che le conseguenze durano ancora.
Il fatto è che se interventi come questi fossero motivati da amore e solidarietà per la Palestina, invece che da odio per Israele (i due sentimenti non sono reciproci) porterebbero un po' più di luce invece che il buio delle "coltellate per disperazione".
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