Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/10/2015, a pag. 45, con il titolo "Effimera pace del 1938, storia col senno di poi", la lettera di Gabriele Ugolini e la risposta di Sergio Romano.
Quel poco di senso del pudore di cui Sergio Romano ancora dispone gli impedisce di giungere a criticare Churchill, dopo essersi dilungato nelle lodi verso quei politici "pacifisti" a forza che hanno permesso, con la loro cecità, lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Ricordiamo invece le parole profetiche di Winston Churchill dopo i vergognosi Accordi di Monaco del 1938: "Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avremo anche la guerra".
Ecco lettera e risposta:
Sergio Romano
Vedo che lei è sempre e comunque a favore dello status quo. Lo sarebbe stato anche a Monaco con Hitler?
Gabriele Ugolini
gabriele.ugolini@ugolinipartners.com
Caro Ugolini,
Alla vigilia dell’incontro di Monaco molti italiani lasciarono le grandi città per cercare riparo là dove la prospettiva dei bombardamenti sembrava meno probabile. Questo sentimento d’insicurezza, diffuso in altri Paesi europei, spiega l’entusiasmo con cui i leader dell’incontro quadripartito furono accolti dalle loro opinioni pubbliche dopo la fine della conferenza. Se avessi plaudito al patto di Monaco, quindi, sarei stato in buona compagnia. Piuttosto che porre impossibili quesiti ipotetici dovremmo piuttosto chiederci perché l’obiettivo delle due grandi democrazie fosse quello di evitare la guerra, anche a costo di molte concessioni. In primo luogo, i governi della Francia e della Gran Bretagna sapevano che le loro forze armate non erano pronte ad affrontare un conflitto.
La Francia aveva costruito la linea Maginot: 440 chilometri di fortilizi e sbarramenti che avrebbero dovuto bloccare qualsiasi tentativo d’invasione, ma erano indice della miopia conservatrice con cui lo stato maggiore francese immaginava la guerra del futuro. In secondo luogo, esisteva nell’Europa occidentale un diffuso pacifismo a cui la classe politica, nel 1938, non poteva voltare le spalle. Per fare la guerra, Hitler non aveva bisogno di chiedere il parere dei suoi sudditi. Per trascinare il proprio Paese in un conflitto, il premier britannico Neville Chamberlain e il presidente del Consiglio francese Édouard Daladier dovevano dimostrare ai loro connazionali che la guerra era ormai inevitabile. In terzo luogo, si era ormai diffuso, anche in Francia, il sentimento che le condizioni imposte alla Germania con il trattato di pace del 1919 fossero sproporzionatamente punitive. Non era stato giusto regalare alla Cecoslovacchia un territorio, il Sudetenland, abitato da tre milioni di tedeschi. Non era stato prudente concedere alla Polonia un corridoio, nel mezzo della Prussia, per consentirle di accedere al porto di Danzica.
Winston Churchill, Neville Chamberlain
Furono queste, caro Ugolini, le ragioni per cui Francia e Gran Bretagna si dimostrarono disponibili a un accordo. Oggi va di moda sostenere che i loro leader furono ciechi e pavidi. Ma non dovremmo dimenticare che la loro accondiscendenza, nel 1938, rispondeva ai desideri delle loro pubbliche opinioni e servì a rivelare la vera natura della politica hitleriana. Quando è fatta col senno di poi la storia è quasi sempre parziale e imprecisa.
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