La città deserta di Gerusalemme
Commento di Michael Sierra
Gerusalemme, il Muro occidentale
Una settimana fa ho avuto il piacere di incontrare una giornalista italiana inviata speciale in Israele. Era giovedi sera ed ero, come mia abitudine, ancora in uffico nel centro di Tel Aviv, la città che non dorme mai, città oggi di grattacieli che 100 anni fa era un villaggio con non più di quattro case. "Voglio parlare con te, sei giovane e mi interessa molto quello che hai da dire" mi ha detto la giornalista contattandomi telefonicamente. "Incontriamoci nella città deserta di Gerusalemme" ha poi aggiunto finendo così la chiamata. Città deserta? Gerusalemme? Per un attimo non capivo cosa intendesse. Si sarà sbagliata e avrà pensato alla Tel Aviv di una volta? Io sono nato e cresciuto a Gerusalemme, mi piace tantissimo ma per il silenzio e la bellezza del deserto devo andare al deserto di Giuda, non proprio casa mia che sta fra l'orto botanico e fra la "valle della croce" piena di alberi.
Ripensandoci, però, mi è venuta un'idea. Una come quelle che vengono quando si riflette da soli in silenzio, per esempio nel deserto. L'idea era che si trattasse di un modo per descrivere la vita a Gerusalemme a causa degli ultimi atti di terrorismo. Non sapendo tanto in quale deserto dovessi incontrarla a Gerusalemme le ho detto di incontrarmi nella strada centrale di Ben Yehuda. Il nome della strada è simile al deserto di Giuda e negozi di creme del Mar Morto e di souvenir dal deserto non mancano, ho pensato.
Nonostante ci fosse meno gente per strada a causa della situazione, arrivando a Ben Yehuda incontrarla non è stato affato facile. La strada era affollata dal pubblico lì presente 24 ore su 24 e che si moltiplica il giovedi sera. A Gerusalemme si è aperto proprio in questi giorni anche il Convegno Internazione sullo Spazio (IAC), cui hanno partecipato 2000 persone da 60 paesi del mondo di 300 organizzazioni diverse. Come se non bastasse la gente, tre gruppi in ricordo di tre persone diverse si sono trovati a caso e hanno formato un cerchio spontaneo in cui suonavano la chitarra e la gente cantava e ballava. Si cantavano canzoni belle e serene come "Od iavò shalom alenu" (verrà la pace su di noi) e "Am Israel chai" ma non era tanto silenzioso come nel deserto…
Giovani di Gerusalemme cantano a Ben Yehuda
Questa esperienza mi ha fatto riflettere sulle ragioni per cui nonostante gli ultimi atti di terrorismo (chiamati ingiustamente dai media "La terza intifada") la gente continua a uscire. Non c'è "un deserto"? Su questa domanda ho trovato due risposte. Una che riguarda l'aspetto pratico e una che riguarda l'aspetto ideologico. Per quanto riguarda l'aspetto pratico: hanno aumentato le forze di sicurezza – quindi non c'è motivo di non uscire. Molto semplice. Per quanto riguarda invece l'aspetto ideologico ho trovato una risposta interessante da un rav che stimo molto: ”Amici al di là del mare, non chiedetemi se è il caso venire in Israele in questi giorni... io qui ci vivo. La questione non cammina sul senso del coraggio, cammina sul filo della coscienza democratica, come quando chiedono ai napoletani o ai palermitani se non sia pericoloso vivere a stretto contatto con camorra e mafia. Abbiate pazienza, scegliete da soli se vincesse Hamas che mondo sarebbe", scrive. L'opinione del rav è la stessa di tanti altri israeliani e di associazzioni con cui sono pienamente d'accordo. Il messaggio è chiaro: non ci si può arrendere al terrorismo. Chi fa attentati non li fa solo per uccidere gente ma anche per terrorizzare ed è proprio questo il significato di terrorismo. Arrenderci vale a dire non uscire la sera, non visitare Gerusalemme, fermare la vita e quindi creare un deserto.
Ma noi abitanti di Gerusalemme non abbiamo fermato la vita, anzi! Abbiamo creato nuovi eventi. Un esempio: una pagina facebook con centinaia di like è stata creata con il nome: "Eatifada" e lo scopo è semplice: incoraggiare la gente a mangiare in bar e ristoranti all'aperto. Anche il comune di Gerusalemme insieme al gruppo "Hitorerut" ha dato vita a nuovi trend: fare selfie con hashtag "succede adesso a Gerusalemme" (l'inizio di ogni notizia su un attentato), "EnjoyJerusalem", e tante altre iniziative. Accorgendomi di come è difficile definire Gerusalemme "città deserta", ho pensato di andare a vedere com'è la situazione più a sud, nel vero deserto: nel Negev e nei villaggi circostanti, dove, prima della fondazione dello stato, c'era soltanto... un deserto, appunto. Oggi si tratta di posti minacciati dai razzi di Hamas e di altri movimenti nella Stricia di Gaza che creano una situazione insopportabile. Ho scoperto che nel Negev, in quei giorni, si è tenuto uno dei più grandi festival musicali, il festival "Indinegev". Un festival della durata di una settimana,con più di 8800 partecipanti. Anche lì quindi non c'è tanto silenzio, ho pensato, e forse dovrò andare a cercare il silenzio in un altro deserto, fuori da Israele, anche se in questo caso, forse, sarebbe più facile andare all'assemblea generale dell'ONU.
Sono infine arrivato ad alcune conclusioni: è più facile morire di disidratazione o per il caldo di Gerusalemme che non per un accoltellamento; Gerusalemme non è deserta come la vorrebbero i terroristi. C'è solo una cosa che ho trovato in comune fra Gerusalemme e il deserto, un fenomeno che esiste nel deserto e a quanto pare anche a Gerusalemme. Mi spiego, in Israele ci sono atti di terrorismo, il modo però in cui fanno vedere i media internazionali la situazione è diverso da come la vedrebbe un osservatore che non si accontenta degli schermi, si avvicina e guarda in prima persona. Bisonga venire in Israle per affrontare la realtà e capire com'è veramente la sensazione per strada e qual è la situazione. Altrimenti si crea un'immagine diversa da quella reale, un semplice miraggio, una Fata morgana, proprio come... nel deserto.
Michael Sierra vive a Gerusalemme e sta svolgendo il servizio militare. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con Informazione Corretta.