Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/10/2015, a pag. 12, con il titolo "Netanyahu inciampa nell'Olocausto. Gli Usa: ora basta frasi incendiarie", la cronaca di Maurizio Molinari; a pag. 1-25, con il titolo "Così Netanyahu manipola la storia", il commento di Gian Enrico Rusconi; dal CORRIERE della SERA, a pag. 28, con il titolo "Netanyahu non ha capito il significato di Auschwitz", il commento di Donatella Di Cesare; dal FATTO QUOTIDIANO, a pag. 13, con il titolo "Pochi studi, tanta rabbia: il Muftì che adorava Hitler", il commento di Tiziana Della Rocca.
Seguono gli articoli, quelli di Rusconi e Di Cesare preceduti da un nostro commento.
A destra: il Gran Muftì di Gerusalemme passa in rassegna la divisione SS da lui stesso organizzata, responsabile dello sterminio degli ebrei in Bosnia
A questo link il commento di IC: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=60040
LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Netanyahu inciampa nell'Olocausto. Gli Usa: ora basta frasi incendiarie"
Maurizio Molinari
Benjamin Netanyahu
Reduce da una settimana di errori e difficoltà, il premier israeliano Benjamin Netanyahu sceglie il basso profilo nell’incontro a Berlino con John Kerry, che al termine si dice «cautamente ottimista» sulla possibilità di mediare con i palestinesi di Abu Mazen «un accordo per porre fine alle violenze»
L’indebolimento politico di Netanyahu nasce da quanto è avvenuto in Israele negli ultimi giorni: l’ala destra della coalizione di governo ha obbligato il premier alla marcia indietro sul posizionamento di una barriera per separare alcuni quartieri arabi ed ebraici di Gerusalemme, e poi è stato il premier a commettere l’errore di attribuire al Gran Mufti Al-Husseini la decisione dello sterminio degli ebrei da parte di Hitler, ritrovandosi isolato come mai avvenuto nella sua lunga carriera. Perfino il vicepremier Silvan Shalom, parlando alla radio Kol Israel da Parigi, ha mostrato esitazioni nel sostenerlo sulla rilettura della genesi della Shoah.
In lizza Benny Gantz
«In una nazione politicamente vivace come Israele - osserva Ori Katzir, ex portavoce del premier Ehud Barak - ciò significa accendere i riflettori sui possibili successori di Netanyahu come Gilad Erdan e Nir Barkat a destra oppure gli ex generali Benny Gantz e Gabi Ashkenazi a sinistra». Per la Casa Bianca di Barack Obama l’indebolimento interno di Netanyahu è una carta politica da giocare. Per questo il portavoce della Casa Bianca Eric Schultz mette l’accento sullo scivolone del premier sulla Shoah rimproverandogli una «retorica delle provocazioni che non giova al contenimento delle violenze».
Nei briefing del mattino a Berlino con i suoi collaboratori l’atmosfera attorno a Netanyahu era pesante e ciò spiega perché il premier nel bilaterale con il Segretario di Stato John Kerry abbia scelto un basso profilo. Anche nelle dichiarazioni alla stampa, ha rimproverato al presidente palestinese Abu Mazen di «dire bugie che innescano le violenze» ma senza ripetere gli aspri attacchi precedenti. In tale cornice, Kerry si dice «cautamente ottimista» sulla possibilità di «smorzare le tensioni e individuare una via d’uscita» dall’«Intifada dei coltelli».
Il nodo dei luoghi santi
Il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, definisce «approfondito e costruttivo» l’incontro fra Kerry e Netanyahu perché sono stati esaminati nel concreto possibili passi avanti per «rafforzare e migliorare» lo status quo del luogo santo di Gerusalemme che i musulmani chiamano «Haram el-Sharif» - conosciuto come Spianata delle moschee - e gli ebrei Monte del Tempio. «Kerry e Netanyahu hanno discusso misure che Israele potrebbe adottare per mantenere lo status quo che gli consente di gestire la sicurezza ma include la proibizione delle preghiere di non musulmani» afferma una nota. Di queste «misure» parlerà Kerry domani ad Amman con il re giordano Abdallah ed Abu Mazen - anch’egli indebolito dall’errore di aver accusato Israele di aver ucciso un bambino palestinese ancora vivo - per arrivare a una «posizione comune sullo status quo» al fine di innescare una nuova dinamica regionale.
IL FATTO QUOTIDIANO - Tiziana Della Rocca: "Pochi studi, tanta rabbia: il Muftì che adorava Hitler"
Il Gran Muftì di Gerusalemme passa in rassegna la divisione SS "Handzar", responsabile del genocidio degli ebrei in Bosnia.
Che il Gran Mufti sarebbe diventato un poco di buono fu chiaro fin dagli esordi. Erede della più potente famiglia di Gerusalemme, invece di mettere tale fortuna al servizio di un'intelligente convivenza tra arabi e ebrei, si assegnò il triste compito di portare l'inferno in Medioriente. I suoi esordi furono poco promettenti: spedito dai suoi all'università del Cairo per concepire qualche brillante idea, neppure si sforzò di dare un solo esame. Tornato a casa, non approfondì i testi sacri della sua religione; le meraviglie della Creazione, così spesso ritratte nel Corano, non lo appassionavano per nulla, non la creazione gli interessava quanto la distruzione. Dichiarava di voler annientare e bruciare gli ebrei, e così facendo portò alla rovina e alla morte anche i palestinesi, e ben sapeva che questo sarebbe accaduto.
CON IL SUO AMICO HITLER - che prossimo alla morte spiegò a chiare lettere come dopo gli ebrei, anche i cristiani sarebbero diventati un suo bersaglio, nonché quei tedeschi traditori che avevano commesso l'imperdonabile peccato di non avere vinto la guerra - il Mufti spartì il piacere dello sterminio. Dopo le parole di Netanyahu ci si può chiedere chi fu il più antisemita: Hitler o il Mufti? A sua discolpa il Gran Mufti potrebbe chiamare l'invasione ebraica, anche se a un certo punto lui partecipò allo sterminio degli armeni che ebrei non erano; ma erano pur sempre gente inerme. Impossibile scegliere tra chi architettò lo stermino e chi lo appoggiò. Quel che è certo e che i due si vollero assai bene. Mentre Hitler dopo aver sterminato milioni di ebrei si sarebbe suicidato, grazie agli accomodamenti internazionali sempre assai lesti a tutelare i propri interessi, il Muftì assai scaltro, se la cavò con un brillante esilio in quel di Beirut. Questo suo privilegio, l'averla scampata, e bella per di più, sicuramente avrà fatto arrabbiare il bellicoso Netanyahu: non è mai piacevole sapere che un criminale odiatore di ebrei, è andato in giro per il mondo a spassarsela; anche se è morto anni fa il suo spettro aleggia ancora minaccioso e non dà pace a Israele. Donde l'ira del premier israeliano e la nomina di Mufti a mostro di primo grado, mettendo un po' nell'ombra Hitler. È un'ipotesi, sicuramente più accettabile di chi pensa che Netanyahu possa davvero credere che il Muftì abbia suggerito a Hitler la soluzione finale. Altro è il pensiero di Netanyahu, assai più bruciante: è un attacco d'ira per la sopravvivenza del Mufti non solo al tempo nei lussuriosi giardini del Libano ma oggi nel cuore degli arabi, in particolare quello di Hamas e dintorni, Teheran per dirne uno.
CERTO, CHE I PALESTINESI eleggano a esempio da imitare un Muftì che ha appoggiato Hitler... Questo pare essere il vero spettro di cui Netanyahu è preda e che con ogni forza cerca di allontanare, di far scomparire, con le sue azioni, spettro che da tempo gli brucia l'anima, già ustionata dalla morte cruenta di un fratello e dal ricordo delle tante guerre combattute da Israele. E basta dunque con questa inutile querelle, si sa, lo sa anche Netanyahu che non c'era bisogno che il Mufti nel 41' andasse da Hitler e lo spingesse ad accelerare l'eliminazione degli ebrei, Hitler sapeva bene cosa voleva e da tempo, non si stava di certo attardando a realizzarlo, al contrario stava mettendo a punto la sua macchina di distruzione così da renderla più efficace. Ridicolo solo immaginare il Muftì che sprona Hitler a esser più cattivo con gli ebrei e che gli dà lezioni di sterminio. Certo vengono i brividi a pensare a queste loro conversazioni a Berlino, mentre inglesi e americani dicevano di intervenire per salvare il mondo da questa barbarie senza fermare la soluzione finale.
LA STAMPA - Gian Enrico Rusconi: "Così Netanyahu manipola la storia"
Rusconi coglie l'occasione della gaffe di Netanyahu - grazie alla quale, tuttavia, si comincia a discutere della figura criminale del Gran Muftì di Gerusalemme - per sostenere che il Primo Ministro di Israele "manipola la storia". Eppure la partecipazione volenterosa del Gran Muftì alla distruzione degli ebrei europei è un dato di fatto inoppugnabile. La polemica dunque è pretestuosa: come ben sanno i lettori di IC, ogni occasione è buona per criminalizzare Israele.
Ecco il pezzo:
Gian Enrico Rusconi
La storia si manipola quando si strumentalizzano intenzionalmente momenti, aspetti, passaggi problematici della vicenda storica - a fini politici. In questo caso, il premier israeliano ha attribuito al Gran Muftì di Gerusalemme Amin al Husseini la responsabilità d’aver convinto Hitler a sterminare gli ebrei anziché procedere al loro trasferimento fuori dalla Germania.
Netanyahu fa questa affermazione in un momento di estrema conflittualità tra ebrei e palestinesi, mettendo insieme tre elementi: l’esistenza negli ambienti nazisti di una alternativa allo sterminio; la presunta indecisione di Hitler su come intendere e attuare la «soluzione finale» e il filonazismo e l’antisemitismo radicale del Muftì.
E’ opportuno fare chiarezza su questi punti per ristabilire la verità nella sua complessità, anche a beneficio di una politica che deve agire oggi con memoria vigile in un contesto molto diverso.
Un punto però è fuori discussione. Lo ha espresso con chiarezza il portavoce della cancelliera Angela Merkel: «Noi tedeschi conosciamo molto bene la storia della pazzia razzista criminale dei nazionasocialisti che ha condotto alla catastrofe di civiltà della Shoah. Non vedo alcuna ragione per cambiare in qualche modo il quadro storico. Conosciamo la responsabilità originaria tedesca per questo crimine contro l’umanità».
Anche Netanyahu la pensa così, ma nel suo discorso dà rilievo ad un dettaglio che implicitamente modifica il quadro storico: l’esistenza di un progetto diverso per colpire gli ebrei. Un progetto che sarebbe stato scartato per intervento del Muftì di Gerusalemme.
Qui Netanyahu fa confusione. Esisteva in effetti un’ipotesi alternativa allo sterminio con il trasferimento degli ebrei in Madagascar. Al ministero degli Esteri e anche in alcuni uffici d’emigrazione delle Ss si parlava di trasportare milioni di ebrei in quell’isola. Ma non c’era alcun progetto di fattibilità. Non si può escludere che fosse un’opera di disinformazione. Ma ottenne successo, dal momento che molti tedeschi ne erano convinti – anche quando vedevano intere famiglie ebree caricate sui vagoni ferroviari.
Ma è altrettanto certo che il colloquio tra il Muftì e Hitler cui si riferisce Netanyahu ha avuto luogo – 28 novembre 1941 – quando l’operazione che aveva di mira lo sterminio era già iniziata. Abbiamo testimonianze dirette di gerarchi e ufficiali in contatto con Hitler. Il 31 luglio 1941 Goering diede esplicitamente ordine al capo del Servizio di Sicurezza Reinhard Heydrich di «procedere alla soluzione finale del problema ebraico».
L’espressione «soluzione finale» è diventata per noi un termine-chiave inequivoco, ma non possiamo ignorare la sua ambiguità letterale. Qui si apre il capitolo del linguaggio dissimulatore e ingannatore che è parte essenziale della comunicazione nazista. Sono innumerevoli le parole apparentemente tecniche o neutre (emigrazione, pulizia, trattamento speciale, cambiamento di residenza) che nascondevano brutali realtà criminali.
Tornando all’incontro tra Hitler e il Muftì, questi (secondo Netanyahu ) avrebbe detto «Se cacciate via gli ebrei, verranno tutti in Palestina». «Allora che cosa devo fare di loro?» – avrebbe chiesto Hitler. «Bruciateli» – fu la risposta. Secondo il premier israeliano, il Muftì avrebbe anche accusato gli ebrei di voler distruggere la moschea sul Monte del Tempio .
Inutile dire come quest’ultima osservazione da parte del premier israeliano accentui ancora più esplicitamente il nesso che vuole proporre come autoevidente tra quegli eventi passati e il presente. Innescando un corto-circuito inaccettabile e pericoloso. La drammatica situazione di oggi in Israele richiede una intelligenza storica e politica ben più matura.
CORRIERE della SERA - Donetella Di Cesare: "Netanyahu non ha capito il significato di Auschwitz"
Da quale pulpito Donatella Di Cesare si scaglia contro Netanyahu? Da quello di studiosa di Martin Heidegger e ex vicepresidente della Fondazione che porta il nome del filosofo nazista? Con quale faccia tosta Di Cesare si esprime sulla vicenda?
Ancora una volta, siamo di fronte alla mera strumentalizzazione delle parole di Netanyahu.
Ecco il pezzo:
Donatella Di Cesare
In un momento così grave per il proprio Paese un leader politico dovrebbe anzitutto pesare le parole. E dovrebbe guardarsi dal fare un uso strumentale della storia a fini politici. Non solo Israele, ma tutto il mondo ebraico della diaspora, è oggi costernato e non potrà facilmente dimenticare l’intervento di Netanyahu che parlando al XXXVI Congresso sionista di Gerusalemme ha di fatto ridotto e sminuito le responsabilità di Adolf Hitler, fin quasi alla negazione. Non si tratta solo di un falso storico. Al-Husseini, il Gran Muftì, è stato un seguace, non certo l’ispiratore del Führer — come emerge con chiarezza dall’intervista sul Corriere della Sera di Dino Messina allo storico Mauro Canali. Agghiaccianti sono le parole di Netanyahu per almeno due motivi. Il primo riguarda il crimine della Shoah. Le ricerche condotte negli ultimi anni mostrano che sin dall’inizio i nazisti non pensavano a una espulsione miravano invece allo sterminio degli ebrei d’Europa. Temevano la «nazione ebraica». Basterebbe leggere Mein Kampf.
Ma c’è di più: ormai è sempre più chiaro che il nazismo hitleriano è stato il primo rimodellamento biopolitico del pianeta. Sta qui la sua peculiarità — anche rispetto ad altri genocidi. In questo progetto politico non era previsto più nessun luogo per gli ebrei. Con le sue parole Netanyahu mostra di non aver compreso, o di non voler comprendere, che cosa ha significato Auschwitz. E non basterà chiedere scusa ai sopravvissuti, ai parenti delle vittime, e a tutti gli ebrei costernati oggi dopo questa patetica, importuna e deplorevole boutade del premier. Il secondo motivo riguarda l’abuso della Shoah in un discorso pubblico per acquisire consensi. È forse proprio questo che offende e irrita di più. Perché ci si poteva attendere da altri un disinvolto e bieco cinismo, che pure ogni giorno si tenta di contrastare. Non certo dal primo ministro dello Stato di Israele.
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