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Bet Magazine Rassegna Stampa
19.10.2015 E' tempo di risvegliarci
L'intervento di rav Giuseppe Laras su presente e futuro degli ebrei in Italia

Testata: Bet Magazine
Data: 19 ottobre 2015
Pagina: 10
Autore: Giuseppe Laras
Titolo: «E' tempo di risvegliarci»

Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di M9ilano di ottobre 2015, a pag. 10-11, con il titolo "E' tempo di risvegliarci", l'intervento di rav Giuseppe Laras.

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rav Giuseppe Laras

Questa lettera è stata indirizzata via mail a tutti i Rabbanim italiani, agli ebrei d’Italia e agli ebrei italiani di Erez Israel, gli italkim. Inoltre anche ai Consigli e ai Presidenti di tutte le Comunità ebraiche d’Italia e dell’UCEI.

Un nuovo anno è appena iniziato e desidero inviarvi una mia riflessione su alcune tematiche generali che ci coinvolgono. La teshuvah, che da pochi giorni siamo stati chiamati a vivere, è un ritorno di noi verso noi stessi e verso il nostro Popolo, un ritorno alla Torah e alla Terra di Israele. La nostra Golah italiana, dopo un cammino glorioso e faticoso che ha attraversato i secoli e i millenni, è destinata a subire delle trasformazioni rilevanti. L’acuirsi di tale fenomeno l’avremmo distintamente colto già alcuni decenni fa, se le nostre Comunità non avessero ricevuto un significativo apporto di migliaia di nostri correligionari provenienti dai Paesi islamici da cui fuggivano. Oggi in Israele vivono molte migliaia di ebrei italiani e l’alyah dall’Italia in questi ultimi tempi è la più numerosa e massiccia dagli anni della Seconda Guerra Mondiale. Quest’ultimo dato esprime un evidente disagio sofferto da molti di noi. Ed esprime anche una scelta ben precisa. Entrambe queste realtà vanno assunte e prese sul serio. In tale situazione, la domanda pressante riguarda il come consegnare al futuro l’ebraismo italiano.

L’auspicio è che ciascuno di noi prenda seriamente e fattivamente in mano il futuro – e non il passato! – degli ebrei di Italia, in Italia e in Israele. Al riguardo, devo ricordare chiaramente che il presente, il passato e, specialmente, il futuro degli ebrei, checché alcuni di noi possano dirne, risiede in primo luogo nella Torah. E in Italia abbiamo molto da lavorare al riguardo. L’Europa in cui viviamo sta cambiando radicalmente e rapidamente. Le sue demografie religiose – e dunque, di riflesso, le sue democrazie- sono soggette a una svolta epocale, per cui progressivamente nulla sarà più uguale a prima. Ben inteso: questo sta accadendo già da alcuni decenni, prima –cioè- dell’ultima drammatica ondata migratoria. La cultura europea è affetta da molti mali.

Dal “pensiero debole” si è giunti al “non-pensiero”, sino all’opinione irrilevante e al tweet. E la forma di espressione di un pensiero almeno in parte tradisce e veicola qualcosa del pensiero stesso. La sterilità politica e culturale è ben sintetizzata dalla decrescita demografica: aleggia cioè un inafferrabile cupio dissolvi negli europei. Emotivismo, buonismo, pacifismo, terzomondismo, edonismo, individualismo, egocentrismo, relativismo e ignoranza sono agenti virali aggressivi e insidiosi che da alcune decadi intorpidiscono, fiaccano e fanno deperire cultura, morale, società, religione e politica in Europa. L’Islàm politico, ampiamente radicato, è, quindi, in un certo senso, una sorta di nemesi della cultura europea. Fortunatamente esiste uno scarto tra Europa e Occidente; nel concetto di Occidente c’è e sempre ci sarà, in quanto fondante, spazio necessario, anche se talora con tensioni, per Israele.

Non c’è nulla di più occidentale dell’ebraismo e, oggi, anche dello Stato di Israele. I nostri occhi e i nostri cuori sono afflitti per le masse umane che vediamo quotidianamente giungere, con carichi tremendi di dolore e di disperazione, in Europa. Noi tutti, in quanto cittadini e in quanto ebrei, abbiamo il preciso dovere civico, umano, morale e religioso, di dimostrare loro solidarietà, fratellanza e accoglienza, di aiutare queste persone e di superare l’indurimento dei cuori. Al contempo, ed è una contraddizione dolorosa e lacerante, pur dovendo fare tutto questo, non possiamo essere ingenui. Ciascuno di noi sa perfettamente che le masse islamiche del vicino Oriente sono da decenni afflitte dall’odio antiebraico, sia esso di antica matrice legata alla dhimmitudine degli ebrei in terra di Islàm sia esso quello “geneticamente modificato” antisionista, rinvigorito e onnipervasivo.

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L’insegnamento base che viene diffuso è che tutti i mali delle società arabe e dell’Islàm siano scaturiti dagli ebrei e da Israele. Questa “dottrina” è ormai ampiamente dilagante in Europa e sta, anno dopo anno, alimentando un odio antisemita “di ritorno” nella coscienza di molti “bravi” europei. Sono fenomeni che constatiamo ogni giorno, come spesso, grazie a Dio, possiamo constatare segnali di solidarietà, in particolare da alcuni carissimi amici cristiani (ma anche questi cristiani sono oggi, in seno alle loro comunità, una minoranza tanto preziosa e qualificatissima – moralmente e culturalmente- quanto abbastanza limitata. Io sono enormemente grato a queste persone). Talvolta, ma purtroppo si tratta ancora di casi molto rari e isolati, anche da parte di alcuni musulmani. Sottolineo che l’Islàm radicale e politico, pur essendo da decenni e a più livelli dilagante e diffuso tra milioni di musulmani, non coincide, esaurendolo, con l’Islàm. Ovviamente –ma è bene ricordarlo!-, esistono milioni di ottime e degne persone tra i musulmani, persone che meritano tutto il nostro rispetto, la nostra vicinanza e la nostra amicizia e stima, persone integre e rette con cui dobbiamo dialogare.

Probabilmente soltanto noi ebrei possiamo capire come queste ultime possano sentirsi impotenti, svilite, ferite e assediate, quando genericamente e collettivamente identificate come “terroristi e assassini”. E come noi chiediamo giustamente e con forza che ci venga restituita e riconosciuta la nostra umanità e che cessi la demonizzazione e la calunnia su Israele (il riconoscimento al diritto all’esistenza e alla sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi abitanti), parimenti dobbiamo aiutare a tutelare la dignità e l’onorabilità di queste persone. In questo modo, forse, si riuscirà, come è giusto e necessario, a restituire l’ebraismo e lo Stato di Israele anche all’Oriente. Come singoli anche noi non siamo sempre irreprensibili, né Israele, in quanto realtà statuale, è esente da errori, talvolta anche gravi –purtroppo, come qualsiasi altro Stato-. La demonizzazione, la riduzione a radice di tutti i mali, la metafoc U ra medicale che vede in Israele e negli ebrei “cancro” e “contagio”, sono però versioni nuove di discorsi antisemiti vecchi e ben conosciuti.

L’Islàm politico purtroppo ha fatto di tutto ciò –e da decenni- uno dei suoi principali cavalli di battaglia ideologici, come pure un cavallo di Troia nelle coscienze –già malate o molto deboli- di alcuni europei affetti da sensi di colpa collettivi o da sentimenti antisemiti mai sopiti. Le modificazioni demografiche a cui stiamo assistendo, che nel futuro saranno sempre più rilevanti, proiettano dunque su di noi spettri i cui veleni mortiferi sono già dilagati in altri Paesi di Europa, Francia e Belgio in primis. Si potrebbe anche utilmente indirizzare l’analisi sulle insidiose politiche –ahimè “democratiche”- di boicottaggio e sul discredito morale e culturale crescente nei confronti degli israeliani e degli ebrei. In questo senso, all’ebraismo europeo probabilmente verranno chiesti con sempre maggior odiosa insistenza certificati di moralità, insinuati nuovi screening sulla “doppia fedeltà” o “doppia identità” degli ebrei europei, pretese prese di distanza radicali da Israele e dagli Israeliani. La storia ci insegna in maniera inequivocabile che gli antisemiti non distinguono tra ebreo assimilato o religioso, tra ebreo della diaspora o israeliano.

Tutto questo in una generale rarefazione della presenza ebraica in Europa. E noi sappiamo che il peggiore antisemitismo è quello che si sviluppa e si alimenta in assenza degli ebrei. Per dirla con le parole di Raymond Aron: “Il fenomeno decisivo è quello rappresentato dalle forme di odio astratto, l’odio per qualcosa che non si conosce e sul quale vengono proiettate tutte le riserve di odio che gli uomini sembrano possedere nel fondo di loro stessi”. Quanto ho appena scritto, sia in relazione all’ebraismo italiano –in Italia e in Israele- sia sulle sorti dell’Europa (ove la situazione del nostro Paese è, grazie a Dio, generalmente migliore rispetto alla media, pur essendo esposta a inevitabili criticità) è una panoramica su ciò che sappiamo e che spesso non ci diciamo. Possono sempre intervenire cambiamenti che ci sorprenderanno positivamente. Paradossalmente, magari, potranno venire proprio dall’Islàm europeo.

È una speranza, anche se il senso di realtà, considerando la situazione francese e belga, a fronte di decenni di integrazione e coesistenza dei musulmani colà residenti, fa indebolire le speranze, che –almeno in partedobbiamo comunque alimentare dentro di noi. La migliore speranza per il nostro futuro restiamo tuttavia noi stessi, assieme al nostro impegno verso il Popolo cui apparteniamo. Gli avvicendamenti alla guida dell’ebraismo italiano non possono più essere un fatto da snobbare, da cui disinteressarsi o da considerarsi banale e neutro, bensì un’enorme ed epocale scommessa. E questi temi dovrebbero essere quanto prima discussi e dibattuti, specialmente al fine di eleggere o nominare le persone che ci rappresenteranno e guideranno. Urge un nuovo corso, vitale e fecondo, per l’ebraismo italiano e le sue Istituzioni. In occasione di questo nuovo anno 5776 che nasce, desidero augurare a ciascuno di voi e alle vostre famiglie di vivere un futuro prossimo di serenità, tranquillità d’animo, intime soddisfazioni e gioie - familiari e pubbliche-, nel quadro di una ritrovata vita di Shemirath Mitzvòth e di Talmùd Torah. Come è scritto nella Torah: “E sceglierai la vita!”. Tachel Shanah uvirkhotea! Che inizi l’anno nuovo con le sue benedizioni!

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