Il Presidente Sissi di fronte alle elezioni
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
http://www.jpost.com/Middle-East/Show-time-for-President-Sisi-426257
In Egitto sono in corso le elezioni parlamentari, un momento difficile e impegnativo. Metà elettorato voterà il 18 e 19 ottobre, l’altra metà il mese successivo, il 22 e 23 novembre.
I risultati si conosceranno il 2 dicembre.
Avendo concluso il terzo e ultimo livello del programma presentato nel 2013, il Presidente Sissi lascerà i propri poteri legislativi assunti dopo lo scioglimento del Parlamento.
La posta in gioco è molto alta, il presidente egiziano si augura che la “Casa dei Rappresentanti”- è questo il nuovo nome del parlamento- non ostacoli i suoi sforzi nel portare il paese verso progresso e stabilità.
Prima di ogni altra cosa deve garantire elezioni trasparenti, sufficientemente corrette per evitare le critiche dei paesi occidentali, ma anche evitare spaccature provocate da terroristi e islamisti.
È anche importante che ottenga una maggioranza liberale, in grado di isolare gli estremisti islamici. Secondo la nuova costituzione approvata con il referendum, i partiti politici di impostazione religiosa non possono candidarsi.
Il partito “Libertà e Giustizia” dei Fratrelli Musulmani, che ebbe il 47% dei voti nelle elezioni del 2011, non potrà presentarsi perché la Fratellanza è stata dichiarata fuorilegge. Sfortunatamente, il movimento non ha mai reso pubblico l’elenco dei candidati e qualcuno fra loro riuscirà a presentarsi in qualche lista come “indipendente”.
Vi è poi il partito del movimento salafita, Al Nour, che ebbe il 25% dei voti nel 2011.
È discutibile se abbia o no una base religiosa, ma ha potuto presentarsi grazie al deciso sostegno di Abdel al Sisi.
La reale influenza degli islamisti nel nuovo parlamento si potrà così valutare. Si sono registrati 70 partiti, che verranno giudicati dalla Corte Suprema se vi saranno violazioni della costituzione. Si ritiene comunque che il vero motivo sia il timore del governo per la mancanza di omogenità del blocco liberale, che dovrebbe garantire una maggioranza stabile.
Negli ultimi mesi, un certo numero di partiti è uscito dalla coalizione, sciogliendosi, spesso per mancanza di una tradizione liberale, e, più spesso, per rivalità personali più che ideologiche.
Alcuni, ancora in gara, sono piccoli partiti, come “Egitto”, “Per Amore dell’Egitto”, “Egitto Chiama” e “ Alleanza e Indipendenza del Fronte Egiziano”. In quest’ultimo sembra siano inclusi sostenitori del disciolto partito di Mubarak, il fuorilegge NPD, mentre “Per Amore dell’Egitto” sembra essere sostenuto dallo stesso regime.
Questa situazione non deve sorprendere. La mancanza di una formazione politica forte è dovuta alla nuova legge elettorale, che stabilisce come dei 596 seggi della Casa dei Rappresentanti, 448, ovvero il 75%, devono essere attribuiti a candidati indipendenti, solo 120 andranno ai partiti politici, quello che raccoglierà più voti otterrà tutti i seggi in ogni circoscrizione. I restanti 28 seggi sarà il governo ad assegnarli, e andranno a Copti, donne e altre minoranze non rappresentate ufficialmente.
Ci sono ancora due ostacoli sulla strada delle elezioni. L’impatto dovuto al sabotaggio del voto da parte della Fratellanza e dalle altre organizzazioni jihadiste; non meno importante il fattore astensione. Negli ultimi tre anni gli egiziani sono stati chiamati alle urne sette volte.
I programmi dei partiti non sono a sufficienza chiari, per cui molti ritengono inutile il loro voto. La costituzione ha delegato al parlamento poteri più estesi di prima, per cui il governo punta le proprie speranze sugli indipendenti e appoggia quei candidati che si ritiene approveranno le riforme iniziate dal presidente.
Sissi ne uscirebbe allora apertamente vincitore.
Si può presumere che l’Egitto non diventerà all’improvviso una democrazia parlamentare. D’altra parte, ciò di cui il paese ha bisogno oggi è un regime presidenziale forte, per affrontare problemi vitali, dalle continue rivolte nel Sinai agli sporadici attacchi terroristici, per far fronte alle sfide economiche.
Che poi lo capisca l’Occidente è un’altra storia.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta