Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano di ottobre 2015, a pag. 9, con il titolo "Se anche la filosofia sdogana l'antisemitismo. Come scoprirne le ambiguità?", l'analisi di Angelo Pezzana.
Angelo Pezzana
Martin Heidegger
Prima o poi doveva succedere, mi riferisco allo sdoganamento dell’anti-semitismo. Per troppi anni il veleno, trasformato in anti-sionismo, era circolato liberamente, l’ebreo tout-court veniva sostituito dall’ebreo israeliano, parafulmine dell’odio antico che non ha mai smesso di rigenerarsi. Ma non bastava, bisognava cancellare le tracce, smontare l’impalcatura che finora era rimasta in piedi, a sorreggere una condanna che doveva,poteva, essere trasformata in assoluzione. I mezzi non dovevano essere grossolani, i crimini millenari commessi nel suo nome andavano offuscati con intelligenza, per arrivare a una loro eliminazione, rendendoli sufficientemente accettabili. Impresa non facile, il prossimo lo si può ingannare, ma fino a un certo punto. Occorrevano tecniche nuove, raffinate, meglio se convincenti perché poco comprensibili.
A chi affidare il compito ? Non alla politica, poco credibile, non agli storici, troppo facile smontarne le tesi. La filosofia, ecco la strada maestra da percorrere, un linguaggio spesso troppo alto per essere compreso, una fonte comunque autorevole proprio perché difficile da contrastare. La ricetta è semplice, si cerca un antisemita importante, un filosofo appunto, e attraverso l’analisi dei suoi testi lo si sbianchetta ben bene fino a rendere evanescente tutta l’impalcatura del pensiero. Chi meglio di Martin Heidegger, il filosofo di Hitler ? Uscito indenne dal processo di Norimberga grazie alla testimonianza di Hannah Arendt, ha mantenuto intatta la sua immagine sino all’ultimo dei suoi giorni, godendo della indiscussa fame di “filosofo tra i più importanti del ‘900”.
Donatella Di Cesare, Peter Trawney
Antisemita ? Un’accusa che pochi hanno sollevato. In Italia le sue opere venivano divulgate nel dopo guerra da Gianni Vattimo, salito negli ultimi tempi alle cronache per il violento anti-sionismo e il fanatico odio contro Israele, ma la cosa riguardava più le cronache politiche che non la cultura con la C maiuscola. Poi sono usciti in Germania i “Quaderni neri”, il diario inedito nel quale Heidegger annotava il suo ‘pensiero’ antisemita. Saltato il coperchio della pentola che conteneva i veleni, per alcuni filosofi la posizione si fatta delicata, molto delicata. Non per Vattimo, ovviamente, al di là del bene e del male. Ma per due suoi esegeti la situazione si è fatta difficile. Donatella Di Cesare, vice-presidente della Fondazione titolata a Martin Heidegger per onorarne la memoria – già questa una posizione che presupponeva una condivisione del pensiero del filosofo nazista – e Peter Trawney, curatore tedesco dell’opera omnia delle opere. Come hanno reagito ?
Gianni Vattimo
Dopo lunga riflessione la Di Cesare ha dato le dimissioni da vice presidente, il tedesco ha cercato di giustificare il suo interesse verso Heidegger usando la stessa tecnica della collega italiana: sminuirne il contenuto antisemita, con frasi e aggettivi che avrebbero obbligato i più a consultare un dizionario per afferrarne il significato. La Di Cesare ha definito l’antisemitismo di Heidegger “metafisico”, Trawney gli ha attribuito una “dimensione onto-storica”, accostandogli una non meglio specificata “giustizia ermeneutica”. La discussione è così rimasta ai piani alti della filosofia, le polemiche si sono spente, Heidegger ha continuato ad essere “uno dei più importanti filosofi del ‘900”. Con in più lo sdoganamento dell’antisemitismo, che non è più quell’odio irrazionale che avevamo sempre creduto fosse, ma qualcosa di “metafisico”, su cui discutere e ,perché no, comprendere nelle sue molteplicità. La storia ha ceduto il passo alla filosofia. Heidegger può riposare in pace. E’ giusto ?
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