Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/10/2015, a pag. 30, con il titolo "Negazionismo: un reato contro la democrazia", il commento di Donatella Di Cesare.
Pubblichiamo l'intervento di Donatella Di Cesare per dovere di informazione. Ci chiediamo, però, quale credibilità abbia una studiosa che è stata a lungo vicepresidente della Fondazione Martin Heidegger, il cui antisemitismo filonazista è definitivamente appurato dall'uscita dei "Quaderni neri".
Chi, nella redazione del Corriere, ha scelto il titolo non ha probabilmente neppure letto il pezzo.
Di Cesare conclude: " Qual è allora il confine tra opinione e comportamento, dove termina l’esposizione di un’idea e comincia invece l’incitamento concreto all’odio? Su questi interrogativi, ancora inesplorati, occorre una riflessione più approfondita." Interrogativi 'inesplorati' ?occorre una' riflessione più approfondita' ? Mentre lei era vice presidente della Fondazione Heidegger, erano in molti a interrogarsi, forse non lei, occupata a onorare la memoria del filosofo nazista, come d'altra parte le toccava per la carica che rivestiva.
Per questo scriviamo che la Di Cesare non ha credibilità, visti in precedenti.
Ecco l'articolo:
Donatella Di Cesare
«Negare l’esistenza delle camere a gas è un reato o una opinione?». Gli studenti e i ricercatori del Cest (Centro per l’eccellenza e gli studi transdisciplinari) hanno discusso a lungo, lo scorso anno accademico, intorno alla questione complessa che solleva il fenomeno, sempre più diffuso, del negazionismo. Gli iscritti all’associazione, soprattutto storici e studiosi di filosofia provenienti da diverse università — da Alberto Martinengo a Tommaso Portaluri — hanno deciso di promuovere il primo di una serie di dibattiti, che si terrà a Milano presso la Fondazione Corriere della Sera (con la partecipazione dell’Università Statale e di Judaica), domani, 15 ottobre, alle 17.
L’intento è duplice: per un verso presentare i risultati della loro riflessione, per l’altro coinvolgere l’opinione pubblica in un confronto aperto su un tema che tocca direttamente sia la ricerca che la formazione. In Italia il negazionismo non è ancora riconosciuto come reato. La legge è stata approvata al Senato lo scorso 11 febbraio 2015 ed è in discussione alla Camera. Con una Decisione Quadro del 28 novembre 2008 l’Unione Europea ha chiesto agli Stati membri di contrastare penalmente la negazione. Il negazionismo è già reato in Austria, Belgio, Germania, Portogallo, Francia, Spagna, Svezia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Ungheria, Liechtenstein, Lussemburgo e Svizzera. I Paesi Bassi hanno incluso il negazionismo nella categoria dei crimini di odio.
La libertà di espressione, protetta dall’articolo 21 della Costituzione, è indispensabile in una società democratica. Ma altrettanto indispensabile è la difesa della dignità umana e la lotta contro ogni discriminazione. Si tratta, dunque, di trovare il giusto equilibrio fra diritti fondamentali che finiscono talvolta per collidere. Non sembra più accettabile invocare la libertà di espressione, come valore assoluto, per difendere chi nega che la Shoah abbia avuto luogo, chi accusa addirittura le vittime di aver «inventato» il «mito» delle «camere a gas», chi vuole diffondere l’idea che gli ebrei siano «falsari». I negazionisti non possono essere legittimati come ricercatori, perché, al contrario, il loro fine ultimo è destabilizzare la società democratica.
In una sentenza, molto significativa, emessa nel 2003 contro Roger Garaudy, autore francese che ha inaugurato il negazionismo islamico, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato: «Contestare la veridicità di fatti storici accertati, quali l’Olocausto, che non sono oggetto di dispute tra gli storici, non può essere in nessun modo ritenuto un lavoro assimilabile alla ricerca della verità storica. I negazionisti perseguono un evidente obiettivo razzista, xenofobo, antisemita: riabilitare il regime nazionalsocialista e accusare le vittime di falsificare la storia. Questo crimine contro l’umanità è una delle forme più sottili di diffamazione razzista e incitazione all’odio».
Il fenomeno assume aspetti tanto più inquietanti nell’ambito della formazione. Non si tratta dei casi, relativamente esigui, di docenti che negano la Shoah, quanto della enorme circolazione di propaganda negazionista nel Web, lo spazio pubblico più frequentato dalle giovani generazioni. Qui i problemi si moltiplicano. La novità del negazionismo più recente sta non già nei contenuti, bensì nelle modalità di diffusione. Mentre sfugge a ogni criterio di dibattito scientifico e democratico, e oltrepassa i confini nazionali, il nuovo negazionismo spaccia per reale ciò che è virtuale, contrabbanda per verità nascosta la più turpe falsificazione. Qual è allora il confine tra opinione e comportamento, dove termina l’esposizione di un’idea e comincia invece l’incitamento concreto all’odio? Su questi interrogativi, ancora inesplorati, occorre una riflessione più approfondita.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante