Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/10/2015, a pag. 10, con i titoli "Attacchi in serie a Gerusalemme, tre israeliani morti e venti feriti" e "Nel quartiere dei lunghi coltelli da dove partono gli attentatori", due servizi di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Ecco gli articoli:
"Attacchi in serie a Gerusalemme, tre israeliani morti e venti feriti"
La scena dopo l'attentato su un autobus ieri a Gerusalemme
Quattro attentati palestinesi nell’arco di 90 minuti causano 3 morti e oltre 20 feriti israeliani, portando le forze di sicurezza ad ipotizzare l’esistenza di «un coordinamento degli attacchi» per la prima volta da quando quest’ondata di violenze è iniziata.
Terrore nel bus
Tutto inizia quando Baha Alian e Bilan Ranem salgono sull’autobus 78 in una fermata di Arnon HaNaziv, a Gerusalemme Sud. Sembrano passeggeri come gli altri ma uno di loro grida «Allahu-Akbar» e inizia a sparare. L’altro colpisce con il coltello. Il piano è impossessarsi del bus ma l’autista lo impedisce provocando lo scontro con un’auto. I terroristi bloccano le porte per non far uscire nessuno: colpiscono, uccidendo 2 passeggeri e ferendone altri 16. Gli agenti uccidono un terrorista e feriscono l’altro sparando da fuori, attraverso i vetri.
A neanche 10 minuti di distanza il secondo attacco, sulla strada Malchei Yisrael, quando Alaa Abu Jamal guida l’auto di servizio - è un dipendente della compagnia Bezeq - contro dei passati. Li investe, si ferma, scende e li accoltella causando una vittima e cinque feriti prima di essere abbattuto da un passante. Il doppio attentato di Gerusalemme è preceduto e seguito da altrettanti attacchi a Raanana, a Nord di Tel Aviv. L’ultimo della giornata è a Kyriat Atta, vicino a Ikea. Gli elementi raccolti dalla polizia suggeriscono «l’esistenza di una possibile regia» e la sicurezza blocca per ore le strade per Gerusalemme, temendo nuovi attacchi. Il governo vara contromisure drastiche nella città: polizia ed esercito «in profondità» nei quartieri arabi, da cui sono partiti l’80 per cento degli attacchi finora compiuti in tutta Israele, e posti di controllo nelle strade di accesso «per fermare i sospetti».
La pista di Hamas
A fine giornata fonti della sicurezza ipotizzano un «ruolo di Hamas» suggerendo che «gli attacchi potrebbero continuare nelle prossima settimane» perché la campagna di violenze, iniziata in forma spontanea, «non è più opera di lupi solitari». Il premier Benjamin Netanyahu chiama in causa il presidente palestinese Abu Mazen: «Basta dire bugie, affermi di voler fermare il terrore ma in realtà lo fomenti diffondendo veleno che alimenta l’odio». In particolare l’accusa è a Nabil Abu Rudeineh, portavoce palestinese, che «ha glorificato il bambino palestinese di 13 anni che lunedì ha accoltellato un coetaneo ebreo in bicicletta».
Assalti da Gaza e Siria
Ad avvalorare la pista di Hamas c’è quanto avviene al confine con Gaza dove gli assalti di folla al confine continuano per il terzo giorno di seguito e 30 palestinesi riescono a penetrare in Israele prima di essere respinti. Avi Dichter, ex capo del controspionaggio, parla di «vulnus nella sicurezza» chiedendo «rimedi immediati» con la creazione di una zona cuscinetto. Si spara anche sul Golan: cadono colpi di mortaio siriani sul lato israeliano e Tzahal reagisce bersagliando due basi di Assad.
"Nel quartiere dei lunghi coltelli da dove partono gli attentatori"
Jabel Mukaber, un focolaio di terrorismo
Scuole dove si insegna il curriculum giordano, moschee nelle quali gli imam predicano il «dovere di difendere Al Aqsa» e undici famiglie beduine divise da liti ataviche che superano solo nella comune avversione a Israele: benvenuti a Jabel Mukaber, il quartiere arabo di Gerusalemme Est da dove provengono i tre terroristi autori degli attentati commessi ieri dentro la città.
Alaa Abu Jamal era un impiegato della compagnia telefonica israeliana Bezeq, cugino dei terroristi Ghassan e Uday Abu Jamal che nel novembre 2014 diedero l’assalto alla sinagoga di Har Nof uccidendo quattro rabbini, due dei quali decapitati a colpi di machete. Agli Abu Jamal appartiene anche Bilal Ranem, rimasto gravemente ferito nell’assalto all’autobus di linea nel quartiere ebraico di Arnon HaNaziv.
L’islam tradizionalista
Gli Abu Jamal sono uno dei clan della tribù Jaabif e vivono in un’area coperta di case biancastre ad Al-Sawahira Ovest, ovvero l’area di Jabel Mukaber sotto sovranità israeliana, attaccata proprio ad Arnon HaNaziv. «È una delle zone più aspre, difficili di Gerusalemme Est - spiega Ramadan Dabash, capo del consiglio del confinante quartiere di Zu Bacher - perché le famiglie praticano un islam tradizionalista, fotografare una donna in strada è proibito, sono in genere molto poveri e, trattandosi di beduini, sono assai combattivi». A saperne qualcosa è Gil Shechter, che con moglie e quattro figli vive nella casa di Arnon HaNaziv con le finestre sull’entrata di Jabel Mukaber. «Nell’arco di tre giorni ci hanno tirato contro 17 bottiglie molotov - racconta - sempre di notte, colpiscono a gruppi di tre con il volto bendato mentre altri, dietro ai negozi, gestiscono il rifornimento di questo tipo di munizioni». Gil, immigrato da Anchorage in Alaska, vive in una casa annerita dalle fiamme ma assicura di «non temere i terroristi perché sono cresciuto fronteggiando gli orsi». Il confine invisibile che gli passa sotto casa ora è presidiato da polizia e guardia di frontiera.
È una zona ad alto rischio per gli stessi agenti: quattro di loro mentre pattugliavano in borghese alcune strade interne sono stati identificati come «spie», bersagliati con le molotov e tre sono ancora in ospedale, con l’80 per cento del corpo ricoperto da ustioni. «La gente di Jabel Mukaber combatte non per vincere ma per fede - aggiunge il "mukhtar" Zair Hamadan, capo delle famiglie di Zur Bacher - perché si considerano i difensori della moschea santa di Al Aqsa aggredita dagli ebrei che vogliono violarla, offenderla».
Le rassicurazioni del governo israeliano sul rispetto dello status quo della Spianata delle Moschee, risalente al 1967 e sancito dall’accordo di pace del 1994 con la Giordania, vengono liquidate come «volgari bugie» dalle famiglie del Jabel, inclusa la tribù dei Tawisat a cui apparteneva Baha Alian, rimasto ucciso nell’assalto al bus.
Nel tentativo di gettare un ponte con il quartiere che genera terroristi il sindaco Nir Barkat ha affidato a Liron Deri, responsabile del Distretto Sud, il compito di chiedere alle 11 famiglie «quali infrastrutture realizzare per migliorare la vita dei residenti». Ma Deri si è trovato davanti a un’opposizione irremovibile: «Non vogliono niente da Israele, anche perché sono divise da profonde rivalità interne». Fra i pochi progetti realizzati ci sono una strada asfaltata, che raggiunge le case degli Abu Jamal della strage di Har Nof, e alcune scuole dove però si insegna solo il curriculum di studi giordano-palestinese, senza riferimenti allo Stato ebraico. In fondo ad Al-Sawahira Ovest c’è la barriera che separa Israele dai territori dell’Autorità nazionale palestinese dove risiede l’altra metà degli abitanti del Jabel, con cui l’interazione è continua.
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