Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/10/2015, a pag. 9, con il titolo "Zainetti anti-coltelli e spray: l'autodifesa di Gerusalemme", l'analisi di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Un terrorista palestinese in azione
Sulla Solomon Yoel Moshe Street, proprio dietro Zion Square, è la fila di clienti davanti al negozio Lemetayel Odafim a suggerire come gli abitanti di Gerusalemme reagiscono all’Intifada dei coltelli che ieri ha colpito a Pisgat Zeev quando due palestinesi hanno attaccato a distanza di pochi minuti ferendo gravemente un bambino di 13 anni in bici e due giovani, di 16 e 20 anni. Dagli scaffali Efrat, 34 anni, acquista tre zainetti: uno per lei, gli altri per i figli. Cheli, 44 anni, fa incetta di bombolette di spray accecante «perché in famiglia siamo 6». In bella vista ci sono gli altri oggetti per l’autodifesa più richiesti: i tirapugni. David Gottlieb, manager del negozio noto per vendere zaini di ogni dimensione, parla di «acquisti isterici» con lo spray accecante «più richiesto in assoluto».
Spray urticante e tirapugni
A spiegare cosa sta avvenendo è Efraim, 38 anni di Mevasseret, sposato con tre figli: «Siamo alle prese con un’ondata di terrore, ogni arabo che incontriamo può attaccarci, servono rimedi e contromisure per limitare il più possibile i rischi». Se le vendite di spray al peperoncino sono aumentate del 500 per cento a Gerusalemme - al mercato di Machané Yehuda è in ogni angolo - è perché si tratta dell’oggetto più facile da portare e usare per allontanare un aggressore improvviso.
«Ma il problema è che quasi sempre il terrorista arriva alle spalle» osserva Dany, veterano della Marina, e dunque «bisogna proteggersi in qualche maniera la schiena». È questa la genesi del boom di zaini. In pochi giorni si sono moltiplicati nelle strade. Dalla centrale Ben Yehuda a Yafo Street fino a Emek Refaim e Talpiot: è aumentato a vista d’occhio il numero di uomini e donne, adulti e ragazzi, che li indossano perché in caso di aggressione proteggono la schiena.
Per renderli più solidi c’è chi vi mette dentro taglieri da cucina, chi preferisce i libri e chi invece opta per il laptop «anche perché portarselo dietro è sempre comodo» dice Cheli, 19 anni, maestra d’asilo a Nahlaot. Sulle radio come sui social network ci si scambia consigli sulle prevenzioni e le discussioni fanno emergere la preoccupazione delle mamme di bambini piccoli di essere «obiettivi probabili» perché spingere un passeggino significa guardare avanti, essere distratti, e dunque vulnerabili. Questa è stata la dinamica dell’attacco di Muhannad Shafeq Halabi, 19 anni, a Nehamia Lavi (ucciso) e Aharon Banita (ferita gravemente), aggrediti nella Città Vecchia mentre andavano al Muro Occidentale spingendo il passeggino con il figlio di 2 anni.
Chi vive muovendosi in auto, come tassisti e autisti di bus, porta con sé piccoli bastoni, manganelli o tubi di acciaio preparandosi a un confronto frontale o alla necessità di soccorrere un israeliano aggredito. Poi ci sono le armi. L’appello del sindaco Nir Barkat a «chiunque abbia il porto d’armi» affinché «esca armato» spiega la proliferazione di pistole alla cintura. Anche chi la portava sotto la camicia ora la mostra, perché è una forma di deterrenza. Tornano le guardie a ristoranti e luoghi pubblici: durante la Seconda Intifada erano ovunque, poi il numero è sceso e ora torna ad imporsi. Il ministero dell’Economia ha varato una circolare ad hoc per consentirgli di lavorare 14 ore al giorno.
Sono queste contromisure, personali e collettive, che vedono ancora una volta i cittadini protagonisti di una difesa civile che affianca quella militare sin dalla creazione dello Stato nel 1948. La cui motivazione si ritrova nelle parole di Moshe Yaalon, ministro della Difesa: «Prevarremo sui terroristi perché non abbiamo un altro posto dove andare».
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