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Il gioco delle parti Commento di Angelo Pezzana
Gerusalemme - Lo ha dichiarato lo Shin Bet (la sicurezza interna di Israele), non c’è Abu Mazen a dirigere l’ondata di violenze che sta colpendo Israele, non solo in Giudea e Samaria, ma nel cuore stesso della capitale e in tutto il paese. Anche Netanyahu non accusa più Abu Mazen di essere il regista di una sollevazione che poteva essergli sfuggita di mano. Conviene a entrambe le parti, è questo il ragionamento. A Israele, che così smorza il piano di Hamas di portare la rivolta direttamente dentro e contro Gerusalemme, dividendo Anp e Hamas, se quest’ultima dovesse prenderne le redini, la delegittimazione di Abu Mazen sarebbe definitiva. Per questo le dichiarazioni sono simili.
Non è un verdetto di innocenza per l’Autorità palestinese, anche senza il nome di Abu Mazen in prima fila, c’è la leadership palestinese, come attestato dai servizi di intelligence israeliani, ma un capo alla guida delle truppe non c’è, e questo è già un risultato. Chi ha incitato alla violenza sono principalmente i gruppi estremisti, con base a Gaza ma anche a Ramallah, con l’aiuto – non va dimenticato – dello stesso Abu Mazen con l’intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, quando ha dichiarato la fine degli Accordi di pace di Oslo, attaccando con toni di estrema violenza il governo israeliano, accusandolo di volersi impadronire della Spianata delle Moschee per poi distruggerle. Un piano del tutto inventato, che però ha gettato benzina nelle menti già infiammate di una generazione palestinese giovane, che non aspettava altro, un segnale che annunciasse l’apertura della caccia all’ebreo. Abu Mazen, pessimo stratega politico, ha capito che sarebbe diventato lui stesso vittima di un terrorismo che avrebbe minato le fragili basi della sua autorità. Per sopravvivere ad Hamas deve rendersi conto che sono altre le armi da mettere in campo. Finché non dimostrerà nei fatti questa volontà, continuerà a ingannare la sua gente.
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