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La Stampa Rassegna Stampa
12.10.2015 Coltelli, missili e adesso anche esplosivi: le violenze palestinesi e gli attentati non si placano
Cronaca e analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 12 ottobre 2015
Pagina: 5
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Madre e figlia uccise in un raid a Gaza. L'ira di Hamas: colpite ovunque Israele»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/10/2015, a pag. 5, con il titolo "Madre e figlia uccise in un raid a Gaza. L'ira di Hamas: colpite ovunque Israele", cronaca e analisi di Maurizio Molinari.

Come al solito, gli articoli dei quotidiani tradiscono sia la realtà dei fatti, sia il contenuto di molti pezzi, come questo di Maurizio Molinari. A leggere il titolo, sembra che il raid israeliano (che, tra l'altro, ha colpito una struttura militare di Hamas, la morte di due persone è dovuta alla pratica di Hamas di stipare armi e basi presso abitazioni civili, una pratica condannata da tutte le convenzioni internazionali) sia venuto prima, e Hamas abbia reagito dopo. E' vero esattamente il contrario, come è facile accorgersi leggendo l'articolo di Molinari.

Eccolo:

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Maurizio Molinari

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Terroristi di Hamas

La rivolta dei coltelli porta ad un’escalation di violenze fra Hamas ed Israele, mentre il Movimento islamico arabo-israeliano si dimostra capace di tenere aperto un proprio fronte in Galilea.

Dai razzi ai kamikaze
Il razzo Grad lanciato dal Nord di Gaza contro Ashkelon porta i jet di Israele a colpire due campi di addestramento di Hamas nella Striscia. Una delle esplosioni fa crollare la casa di una famiglia causando la morte di una donna incinta e della figlia di 2 anni. Per Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, si tratta della «dimostrazione della follia di Israele» a cui risponde chiedendo a palestinesi e arabo-israeliani di moltiplicare gli attacchi. A raccogliere l’appello è una donna palestinese di Gerusalemme Est, 31 anni, che fa esplodere un ordigno a bordo della propria auto a ridosso del posto di blocco vicino all’insediamento di Maalei Adumim. Dentro l’auto la polizia trova un secondo ordigno e le indagini portano ad affermare che «c’è Hamas» dietro il primo attentato esplosivo dall’inizio della rivolta. Anche in Cisgiordania sono le cellule di Hamas a dimostrarsi più combattive contro i soldati. A Nablus è battaglia, con almeno 35 palestinesi feriti, ed a fine giornata la «Mezzaluna Rossa» afferma che il bilancio totale è di 332 feriti, fra Cisgiordania e Gerusalemme Est. A Gaza, Hamas continua gli assalti di giovani alla rete di confine al fine di tenere aperti più fronti contro Israele.

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Terroristi di Hamas in preghiera

La telefonata a Kerry
Il presidente palestinese Abu Mazen, più volte al telefono con il Segretario di Stato Usa John Kerry, assicura «impegno energico contro le violenze» ma i risultati sono scarsi perché Al Fatah ha difficoltà a farsi rispettare. Per Naftali Bennett, ministro dell’Educazione israeliano, Abu Mazen fa il doppio gioco: «Da un lato rassicura Washington, dall’altro fa distribuire volantini in cui Al Fatah glorifica i martiri della rivolta».

L’altro fronte
L’altra spina per Israele è in Galilea. È un arabo-israeliano di Umm El-Fahm a compiere l’attacco al coltello nei pressi di Hedera, ferendo quattro persone inclusa una ragazza di 14 anni ed una soldatessa, in gravi condizioni. In serata i disordini si moltiplicano a Kafr Kana, Kafr Rinna, Tur’an e Majdal Krum. È la mappa della Galilea arabo-israeliana, contagiata dalla rivolta. «Il motivo è l’incitamento all’odio da parte del Movimento islamico» afferma il premier Benjamin Netanyahu uscendo da una riunione di governo che ne esamina la messa al bando. Il leader degli islamici arabo-israeliani, Sheikh Raed Salah, incassa la solidarietà di molti deputati arabi alla Knesset e il sindaco cristiano di Nazareth, Ali Salam, li accusa di «voler distruggere la coesistenza in Galilea». Intanto le unità di intelligence israeliane e palestinesi, pur cooperando, incontrano difficoltà nel frenare le violenze perché è un fenomeno con caratteristiche nuove.

La sorpresa dei genitori
Ad evidenziarlo sono le parole di Shafiq Halabi, padre del 19enne Mohannad killer di una coppia di israeliani, che ammette: «Non avevo idea di cosa avrebbe fatto mio figlio». Le famiglie dei giovani palestinesi autori delle violenze quasi sempre vengono colte di sorpresa. «Decine di migliaia di genitori in Cisgiordania non sanno se quando i figli escono di casa vanno a scuola oppure a lanciare molotov» scrive Amira Hass, la reporter di «Haaretz» che vive nei Territori palestinesi. «Ci troviamo di fronte a giovani che la mattina si alzano e decidono di andare ad accoltellare qualcuno, sulla base di decisioni personali, condivise magari con qualche amico» spiega Reuven Ehrlich, analista di terrorismo al Centri di Studi Speciali di Tel Aviv. È un fenomeno che nasce dalla delegittimazione della leadership di Al Fatah perché ad oltre 20 anni dalla sigla degli accordi di Oslo la nuova generazione di palestinesi li accusa di aver sostituito l’obiettivo dello Stato con la gestione di grandi quantità di denaro solo per restare al potere. A sostenerlo sono studenti come Mohammed Hussein, 19 anni, matricola all’Università di Al Quds, secondo il quale «la rivolta nasce da decisioni di piccoli gruppi» innescando un fenomeno «spontaneo» di cui ora Hamas e Movimento islamico stanno tentando di impossessarsi.

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