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La Stampa Rassegna Stampa
08.10.2015 Siria, Putin fa sul serio: missili anche dal mare e truppe di terra
Cronaca, analisi e risposta a una lettera di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 08 ottobre 2015
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Missili anche dal mare e offensiva di terra: Putin si prende la Siria - Cosa c'è dietro l'attacco di Mosca? Ecco la Siria che vuole Putin»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/10/2015, a pag. 2-3, con il titolo "Missili anche dal mare e offensiva di terra: Putin si prende la Siria", cronaca e analisi di Maurizio Molinari; a pag. 28, con il titolo "Cosa c'è dietro l'attacco di Mosca? Ecco la Siria che vuole Putin", la lettera di Ascanio De Sanctis e la risposta di Molinari.

Ecco gli articoli:

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Maurizio Molinari

"Missili anche dal mare e offensiva di terra: Putin si prende la Siria"

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Un aereo militare russo sgancia bombe sulla Siria

È una pioggia di missili russi dal Mar Caspio che apre la strada all’offensiva di terra di Bashar al Assad contro i ribelli. Ad una settimana dall’inizio dei raid sulla Siria, Vladimir Putin lancia l’attacco militare russo più massiccio dalla fine della Guerra Fredda.
Poco prima dell’alba da quattro navi lanciamissili in navigazione nel Mar Caspio partono almeno 26 missili Kalibr, l’equivalente dei Tomahawk americani. Ognuno porta fino a 2300 kg di esplosivo a destinazione su obiettivi distanti circa 1500 km. La rotta che seguono descrive la mappa della coalizione guidata dal Cremlino: sorvolano l’Iran di Ali Khamenei e attraversano l’Iraq di Haider Al-Abadi per piombare sulla Siria Occidentale con una raffica di esplosioni percepita quasi come un sisma nelle province di Idilib e Hama.

Tempesta di fuoco
Il ministro della Difesa di Mosca Sergei Shoigu parla di «11 obiettivi di Isis colpiti, portando a 112 il totale in sette giorni» ma i comandi turchi, che controllano l’area con radar e satelliti Nato, ribattono che «in quell’area lo Stato Islamico non c’è» e i Kalibr ne avrebbero centrati «solo 2». Più tardi il Dipartimento di Stato Usa conferma: «Oltre il 90% dei raid russi non hanno colpito l’Isis o gruppi affiliati ad Al Qaeda».

È una tempesta di fuoco a cui seguono i raid aerei. Sono almeno 37 gli attacchi dei caccia decollati dalle basi lungo la costa alawita. I Sukhoi-30 sono padroni dello spazio aereo, i Sukhoi-24 eseguono gli attacchi a terra. Bersagliano a Jabal al-Zawiya e Jisr al-Shughour le posizioni dei ribelli islamici della coalizione di Jaish al-Fatah, composta da gruppi sostenuti da Arabia Saudita, Turchia e Qatar più Al Nusra, emanazione di Al Qaeda. L’intento non è solo demolire postazioni fortificate, comandi, campi di addestramento e arsenali ma terrorizzare il nemico. Fargli sentire tutta la potenza del fuoco russo. Impossibile una valutazione delle perdite inflitte ma dalle zone più colpite Tajammu Alezzah, comandante di un gruppo filo-Usa, fa arrivare all’Associated Press un sms: «È iniziata l’offensiva di terra».

È il suono dell’artiglieria russa posizionata a Morek, lungo l’autostrada Damasco-Aleppo, che accompagna le avanzate di truppe siriane lungo tre direttive fra Latameh e Kfar Zeita. Siamo nel Nord della provincia di Hama, nelle aree rurali confinanti con la provincia di Idlib, finora saldamente nelle mani dei ribelli. Il comando russo ha deciso di sfondare dove il nemico si sente più forte e manda avanti la fanteria d’assalto siriana. Ahmad al Ahmad, attivista di Idlib, parla di «un fronte di avanzata di 16 km» con «iraniani e russi che affiancano i siriani» preceduti da blindati e tank. «Abbiamo distrutto due carri siriani, ma ne hanno dozzine» dice Ahmad. Mortai dei ribelli cadono a Baalbeck, culla di Hezbollah in Libano, ferendo cinque militari.

L’uso soverchiante della forza nelle avanzate è la tattica degli ufficiali russi, proietta potenza militare e superiorità psicologica. È un rullo compressore per riprendere il controllo dell’autostrada Damasco-Aleppo, bloccata dai ribelli dal 2012, e incunearsi in profondità nelle roccaforti nemiche. I «comitati locali di combattimento» usano i missili anti-tank Usa, forniti dai sauditi, mentre i siriani hanno la copertura degli elicotteri russi. Le operazioni militari sono a tal punto intense che il Pentagono fa invertire la rotta a un suo aereo in Siria per evitare la «zona a rischio». È una decisione che sembra un riconoscimento del nuovo ruolo russo.

Il plauso del Cremlino
È una guerra anche di immagini. Il Cremlino diffonde la foto di Putin con il ministro Shoigu, seduti uno di fronte all’altro nello studio del presidente attorno alle mappe delle operazioni, e poi il video del lancio dei missili con traiettorie e obiettivi su mappe tridimensionali. L’intento è trasmettere l’immagine di una leadership forte alla guida di un esercito hi-tech. Le parole attribuite a Putin sono: «I militari lavorano bene, dimostrano ottima preparazione». È un modo per dire che la Russia è tornata potenza: adopera il Mar Caspio come il Pentagono fece con il Mar Rosso negli interventi in Iraq e Libia, nel 2003 e 2011; lancia un numero di cruise che rivaleggia con il debutto di Iraqi Freedom contro Saddam; dimostra coordinamento con gli alleati di terra.

Ron Ben Ishai, analista militare a Tel Aviv, parla di «Russia con nuovo status militare globale» capace di «evitare i cieli turchi passando sopra Iran e Iraq perché alleati» nonché impegnata a testare «armi e tattiche nuove come fecero i tedeschi con gli Stukas nella guerra di Spagna». Jeffrey White, veterano del Pentagono in forza al Washington Institute aggiunge: «La presenza militare russa in Medio Oriente non sarà facile da rimuovere» in maniera analoga a «Crimea, Ucraina e Georgia». L’unico fastidio operativo sono i jet turchi sui confini siriani e, per il terzo giorno di seguito, l’antiaerea siriana li «illumina» con un avvertimento esplicito sui rischi che corrono.

Baghdad si allinea a Mosca
Mosca si prepara a estendere le operazioni all’Iraq. A Baghdad i partiti sciiti al governo chiedono al premier Haider Al-Abadi di «chiedere ai russi di colpire Isis anche qui». Dietro c’è l’Iran che vuole l’Iraq a pieno titolo nella coalizione. L’altro tassello del mosaico russo è Israele: il vice capo di Stato Maggiore Nikolai Bogdanovsky ha incontrato il parigrado Yair Golan nel ministero della Difesa a Tel Aviv definendo il coordinamento militare per evitare collisioni in Siria. E ancora: Mosca invia ingenti quantitativi di armi ai peshmerga curdi in Iraq. Putin li vuole dentro il patto «anti-Isis» che sta già ridisegnando un Medio Oriente. Come finora riusciva solo agli Stati Uniti.

"Cosa c'è dietro l'attacco di Mosca? Ecco la Siria che vuole Putin"

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Vladimir Putin, Bashar al Assad

Quale Siria vuole la Russia? Il partito Baath al governo in Siria dal 1963, di ispirazione socialista, era ben visto dall’ Urss, ma la Russia di oggi non è socialista e non ha più legami ideologici con il Baath o con il gruppo alawita, interno al Baath, del presidente siriano Bashar al-Assad. Ci sono solo interessi strategici di presenza nel Mediterraneo? Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono ideologicamente contrari al Baath, ma ogni Paese dovrebbe avere il diritto di scegliere il proprio modo di organizzarsi e di vivere se non è contrario alle norme internazionali sancite dalle Nazioni Unite con la Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo. Il problema è come attuare un cambio al vertice della Siria per arrestare la guerra civile: gli Stati Uniti stanno incrementando l’armamento degli oppositori di Assad e sperano che saranno dei democratici che poi daranno il benservito alle basi aeree e navali russe; la Russia è disposta a mantenere al governo il Baath sia pure senza Assad per mantenere la sua posizione nel Mediterraneo. Forse l’Isis sarà sconfitta, ma finirà la guerra civile siriana?


Ascanio De Sanctis Roma

 


Caro Ascanio, la sua lettera pone la domanda-chiave di queste ore: quale Siria vuole Putin? Gli elementi della verosimile risposta vengono dalle tre caratteristiche dell’intervento militare iniziato il primo settembre.

Primo: le basi si trovano nella costa alawita, sul Mediterraneo, e ciò significa che Mosca ne vuole mantenere il controllo a prescindere dalla sorte di Assad e della stessa Siria. Se il mondo arabo implode, gli Stati scompaiono e nessuno può dire cosa li sostituirà: Putin si impossessa di una fascia di territorio e la blinda, perché la vuole trasformare nella sua piattaforma militare di lungo termine nel Mediterraneo Orientale.

Secondo: l’intervento russo avviene come se fosse uno show di Hollywood. Video dei raid, post su Facebook dei soldati, Putin dal podio dell’Onu e le tv russe con le previsioni meteo per i campi di battaglia. L’intento è trasmettere la percezione che la potenza russa è tornata e tutti dovranno fare i conti con lei. Terzo: gli obiettivi colpiti sono basi non solo di Isis ma anche di gruppi ribelli sostenuti da Usa, Arabia Saudita, Turchia e Qatar.

Dunque, Mosca sta facendo capire, senza troppi complimenti, agli altri attori regionali che devono farsi da parte, rivedendo i propri piani. In ultima istanza la sorte della Siria, e di Assad, conta per Putin soprattutto perché gli consente di esaltare il ritorno della Russia a status di grande potenza.

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