Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggo, 07/10/2015, a pag. 1-47, con il titolo "Torino dice no all'Arabia Saudita: 'Non invitiamo culture di regime' ", la cronaca di Marco Bardesono; dalla REPUBBLICA, a pag. 51, con il titolo "Il Salone del libro di Torino dice no all'Arabia Saudita. Riad: 'L'Italia non interferisca' ", la cronaca di Diego Longhin, Sara Strippoli.
E' definitivamente caduta la candidatura dell'Arabia Saudita come Paese ospite del Salone del Libro di Torino per l'edizione 2016. Quello che si prospetta, adesso, è un invito non rivolto a un Paese, ma a singoli scrittori sul tema della cultura araba.
Quello che ci auguriamo - se le voci riportate dai quotidiani venissero confermate - è che l'etnia non sia confusa con l'ideologia. Per fare un esempio, alla rassegna di settembre "Torino spiritualità" è stato spesso invitato come ospite d'onore Tariq Ramadan, ideologo dei Fratelli musulmani che vive in Svizzera e che si occupa di diffondere la giustificazione del terrorismo islamico, ma è considerato dall'opinione pubblica autorevole e "moderato" per come viene presentato.
La cultura araba che vorremmo vedere al Salone del Libro di Torino è quella che nei Paesi arabi non può esprimersi liberamente. Perciò vorremmo che al prossimo Salone fossero invitati gli intellettuali dissidenti che, numerosi, vivono in esilio. In questo caso, si tratterebbe di un'opera di alto livello culturale, politico e morale. E se, per soddisfare il masochismo di qualche trombettiere, si vuole invitare qualche voce della propaganda ufficiale di quelle dittature, lo si faccia pure, ma almeno in modo da non superare la soglia del 5% degli invitati totali.
Il nostro è un semplice auspicio: visto il precedente invito all'Arabia Saudita, roccaforte insieme all'Iran dell'estremismo islamico, non abbiamo la certa garanzia che venga recepito.
Ecco gli articoli:
Lo stand dell'Arabia Saudita al Salone del Libro 2015
CORRIERE della SERA - Marco Bardesono: "Torino dice no all'Arabia Saudita: 'Non invitiamo culture di regime' "
Niente Arabia Saudita come ospite d’onore al Salone del Libro di Torino. Sulla scorta delle polemiche nate nei giorni scorsi dopo la condanna a morte del giovane saudita Ali Mohammed Al-Nimr, per aver partecipato a una manifestazione contro il regime di Riad quando era minorenne, il cda della Fondazione che gestisce l’evento ha confermato il ritiro dell’invito: non ci interessa portare a Torino culture di regime, ha spiegato il direttore editoriale del Salone, Ernesto Ferrero. Ospite dell’edizione 2016 non sarà uno specifico Paese, ma in generale la letteratura araba. Tramonta invece l’ipotesi di invitare il Giappone: «I contatti sono avviati» ha detto il presidente del Salone Giovanna Milella, ma forse il turno del Sol Levante sarà nell’edizione successiva.
E tuttavia la stessa formula del Paese ospite ad ogni Salone potrebbe essere superata, ha lasciato intendere Ferrero, per puntare su temi e tipologie di culture. Immediata la reazione dell’ambasciatore dell’Arabia Saudita a Roma, Rayed Khaled Krimly, che ha rivolto un appello all’Italia a non interferire negli «affari interni» del suo Paese e a non dare lezioni in tema di diritti umani. Il diplomatico ha invitato «coloro che mostrano interesse ai diritti umani ad approfondire la conoscenza dei casi particolari che si trovano a criticare». Poi ha citato i 14 reati di cui Al-Nimr è stato dichiarato colpevole, tra cui molti di carattere violento. A questo dissidio si aggiungono problemi che evocano analogie tra il Salone del Libro e il Grinzane Cavour. Nelle settimane scorse Giuliano Soria, ex patron del premio letterario, ha dichiarato: «I fornitori venivano da me a dire: le diamo il 15% come a Picchioni?».
Un’accusa che l’ex presidente del Salone ha rispedito al mittente, annunciando l’intenzione di tutelarsi «in tutte le sedi». Nel frattempo il sostituto procuratore Gianfranco Colace aveva dato seguito all’esposto presentato da Stefano Buscaglia, che indicava Picchioni come la persona che gli avrebbe proposto di emettere fatture alla Fondazione per operazioni inesistenti «allo scopo di ottenere un ritorno economico per entrambi». Una vicenda, torbida e poco credibile, che è stata utilizzata da Colace per esaminare gli archivi del Salone, indagando su numeri, bilanci, rendiconti e scoperchiando magagne vecchie e nuove. Dopo la nomina del presidente Giovanna Milella e del direttore editoriale, Giulia Cogoli, presto dimissionaria («Non ho trovato le condizioni per poter lavorare come avrei desiderato») e sostituita con il ritorno di Ferrero, si è scoperto un buco di bilancio che per il 2015 raggiunge i 500 mila euro e un’esposizione con le banche che sfiora i 5 milioni; nel 2014 il disavanzo avrebbe toccato quota 600 mila. Inoltre è emersa la questione dei dati d’ingresso drogati, su cui lo stesso Ferrero ha compiuto ieri significative ammissioni.
I dati, ha detto «venivano un po’ gonfiati, ma come fanno tutti», aggiungendo che comunque le istituzioni non versavano contributi più elevati in base alla maggiore partecipazione del pubblico. Sta di fatto che nel 2015 Picchioni aveva dichiarato 341 mila presenze. Si scopre invece, che pur sommando tutti gli ingressi ai tornelli, le presenze reali al Salone non avevano superato quota 276.179. Oltre sessantamila in meno. I visitatori paganti sono stati 106 mila, 122 mila se si tiene conto anche dei biglietti omaggio. Tutti gli altri erano pass, abbonamenti, ticket non conteggiati nella prima lista. Nel 2014, le presenze reali si erano fermate a 300 mila, mentre quelle dichiarate erano 339 mila. Nel 2013 i visitatori furono 298.554, ma ne sono stati indicati 330 mila. Intanto il sindaco di Torino Piero Fassino e il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino hanno nominato due nuovi consiglieri d’amministrazione della Fondazione: Piero Gastaldo, della Compagnia di San Paolo, e Massimo Lapucci, della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
LA REPUBBLICA - Diego Longhin, Sara Strippoli: "Il Salone del libro di Torino dice no all'Arabia Saudita. Riad: 'L'Italia non interferisca' "
La schiavitù in Arabia Saudita, oggi
Al Salone del Libro del prossimo maggio l’Arabia Saudita non ci sarà. La decisione è stata confermata nel consiglio d’amministrazione della Fondazione. «Il nostro compito è sempre stato quello di creare occasioni di incontro e di scambio», spiega il direttore editoriale Ernesto Ferrero, il quale ribadisce che non c’era ancora stato un invito formale. Dopo le sollecitazioni del presidente della Regione Chiamparino e del sindato di Torino Fassino, la Fondazione decide così di mandare in soffitta il rito del Paese ospite ma di dedicare un focus alla cultura araba nell’edizione del 2016. «Invitiamo scrittori, non governi», dice Ferrero. Ci sarà dunque una nuova formula: la letteratura araba sarà presente nelle sue molteplici declinazioni, dal Marocco all’Iran.
«Scrittori liberi», chiarisce Ferrero che pensa ad un incontro in forma di dialogo, con uno scrittore di cultura araba che dibatte con un italiano. L’Arabia Saudita non la prende con filosofia. L’ambasciatore Rayed Khalid A. Krimly non scrive ai vertici del Salone, ma diffonde una lettera aperta agli “amici italiani” proprio nel giorno dell’ufficializzazione del cambio di rotta. Una lunga nota polemica in cui si sottolineano gli otto decenni di relazioni bilaterali fra Roma e Riad in diversi settori, dal politico all’economico e al culturale. «Riteniamo spiacevole e sorprendente che tali relazioni in forte sviluppo siano oggetto di attacco da parte di alcuni individui male informati », scrive l’ambasciatore che nei giorni scorsi aveva optato per il silenzio. «Apparentemente il Regno viene criticato perché il suo sistema giudiziario indipendente ha emesso sentenze sulla base di leggi saudite contro dei cittadini sauditi, laddove l’Arabia Saudita sta semplicemente ottemperando a due principi molto importanti ». Il primo è «la supremazia del diritto e del processo nelle dovute forme di legge e il secondo è l’indipendenza della magistratura.
A differenza di molti Paesi in via di sviluppo, il sistema giudiziario saudita non applica lo stato di emergenza o le corti militari o sentenze arbitrarie di tribunali speciali». Nella lettera anche un attacco a chi ha invocato i diritti umani sul caso di Al Nimr: «Dovrebbero approfondire la conoscenza dei casi particolari ». Segue un elenco dei reati di cui viene accusato il ragazzo. «Amici miei, non confondete il dialogo con il monologo», conclude l’ambasciatore. Un appello perché il Salone rinunciasse all’imbarazzante invito era arrivato nei giorni scorsi dalle studiose del mondo arabo Paola Caridi e Lucia Sorbera. Un documento sottoscritto da più di cento artisti, scrittori, arabisti e intellettuali: «Non siamo contro la popolazione saudita che riteniamo vittima di un regime», chiarivano, chiedendo che il Lingotto ospitasse la letteratura araba degli scrittori non piegati alla censura.
L’appello è stato accolto anche dal Salone. «Era già questa la nostra idea», spiega la presidente della Fondazione Giovanna Milella. Le polemiche non si fermano ai confini italiani. Dalla Buchmesse di Fraconforte, l’Iran minaccia di boicottare la Fiera del Libro a causa della prevista presenza dello scrittore Salman Rushdie, l’autore dei Versi satanici colpito 26 anni fa dalla fatwa lanciata dall’ayatollah Khomeini. Il vice ministro della cultura iraniano Seyed Abbas Salehi, riporta il quotidiano inglese Guardian, ipotizza di ritirare l’intera delegazione di Teheran, che lo scorso anno aveva partecipato con 282 case editrici.
Annunciando le novità del 2016, i vertici del Salone del Libro di Torino, cercano di attenuare l’effetto delle polemiche sui dati gonfiati delle ultime edizioni. Soltanto lo scorso anno sessantamila ingressi in più di quelli che adesso compaiono nei dati ufficiali. «Non siamo bancarottieri o falsari. È vero, i dati erano un po’ gonfiati ma così fan tutti: gli editori che mettono le fascette pubblicizzando migliaia di copie vendute, tutte le manifestazione e i festival», si difende Ernesto Ferrero.
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