Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/10/2015, a pag. 24, con il titolo "Klinghoffer, trent'anni dopo lo sdegno delle figlie: 'Quei terroristi sono liberi per colpa dell'Italia' ", l'intervista di Federico Rampini a Ilsa e Lisa Klinghoffer.
Federico Rampini
Ilsa e Lisa Klinghoffer con la foto del padre Leon
«Perché 30 anni fa i dirottatori dell’Achille Lauro uccisero proprio nostro padre? Perché volevano dimostrare di non avere pietà. Scelsero il più indifeso, un invalido in sedia a rotelle, un anziano malato che non poteva reagire. Che razza di umanità è?». Ilsa e Lisa Klinghoffer ricordano la loro tragedia, l’esecuzione del padre Leon l’8 ottobre 1985 a bordo della nave da crociera italiana, dirottata da quattro terroristi palestinesi. E poi la scelta di Bettino Craxi, allora premier, che di fatto ne impedì l’estradizione negli Stati Uniti. In questa intervista esclusiva ritornano su quell’evento rivelandone aspetti inediti, che domani racconteranno al pubblico qui a New York.
Domani sera la commemorazione al Center for Jewish History. Da dove partirete? Anzitutto bisogna ricordare la storia.
Ilsa: «Nostro padre Leon Klinghoffer aveva 69 anni, ex imprenditore, ebreo newyorchese, era partito in viaggio con nostra madre Marilyn per festeggiare l’anniversario di matrimonio, e anche la guarigione della mamma da un tumore. Il 7 ottobre i quattro presero il controllo della nave salpata da Alessandria d’Egitto. Chiesero il rilascio di 50 palestinesi dalle prigioni israeliane. Quando la Siria negò il permesso di fare scalo al porto Tartus i dirottatori uccisero Leon e costrinsero due membri dell’equipaggio a gettarne il corpo in mare. Fu ritrovato una settimana dopo dai siriani, che ce lo restituirono perché potessimo celebrare il funerale. Domani, nel 30esimo anniversario, per la prima volta l’archivio Klinghoffer diventa pubblico. Doniamo all’American Jewish Historical Society tutti i documenti che abbiamo sul dirottamento e le sue conseguenze, incluse le tante manifestazioni di solidarietà che arrivarono da tutto il mondo. C’è una medaglia d’oro donata da alcuni cittadini italiani con un’iscrizione semplice: alla memoria di Leon Klinghoffer, in solidarietà per la pace nel mondo. Vogliamo che il suo sacrificio sia ricordato e che la memoria di quell’evento possa contribuire a educare altri, a creare una nuova consapevolezza sulla realtà del terrorismo».
Avete una testimonianza inedita, dalle parole di vostra madre?
Lisa: «Quando tornò a casa mi raccontò quella storia terribile, tutta intera. Incluso quello che molti ignorano: le torture. Mia madre non seppe subito che suo marito era stato ucciso. Ma lei stessa con altri passeggeri subì un trattamento orribile, li fecero stendere sul ponte per ore sotto il sole, gli bastonarono i piedi. Poi li torturarono psicologicamente, dicendo: possiamo ammazzarvi in qualsiasi momento».
Di quella storia vi rimane un conto in sospeso con l’Italia, per come si comportò il governo di allora, sotto la guida di Bettino Craxi? L’aereo egiziano che trasportava i dirottatori fu intercettato dai jet della U.S. Air Force, ma all’atterraggio forzato nella base Nato di Sigonella, i carabinieri impedirono agli americani di catturarli. Al capo Abu Abbas fu consentita la fuga in Jugoslavia.
Lisa: «Per ricordare quell’episodio assurdo, domani sera ci sarà anche uno dei piloti militari americani che intercettarono in volo l’aereo egiziano. Verrà a raccontare un’impresa top secret: i nostri piloti militari ebbero l’ordine di aprire il fuoco se l’aereo non avesse obbedito, ma ignoravano chi c’era a bordo. Il risultato delle scelte che fecero allora i vostri governanti è che oggi i terroristi dell’Achille Lauro sono quasi tutti liberi. Salvo Abu Abbas che venne catturato dagli americani, ma molto più tardi, nel 2003 in Iraq. Certo che proviamo ancora risentimento verso quel che fece l’Italia. È un paese che abbiamo sempre amato: io studiai storia dell’arte a Roma negli anni Settanta, avevo imparato anche un po’ di italiano. Non potevamo rassegnarci, non potevamo cre- dere che il vostro paese trattasse così quei terroristi. Volevamo che Abu Abbas subisse un processo negli Stati Uniti. Anche tra i suoi compagni, quelli che furono giudicati e condannati in Italia, alcuni riuscirono a fuggire approfittando di permessi. È una lezione che va meditata, oggi che il terrorismo ha avuto ben altri sviluppi. Non ci devono essere lassismi, compromessi, zone di tolleranza. Devono esserci dei prezzi per chi pratica l’assassinio di civili innocenti e inermi».
La morte di Leon può sembrare lontanissima. Appartiene a un’epoca in cui il terrorismo infuriava, ma i bilanci delle sue vittime erano più limitati. E poi quello sostenuto dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) era un terrorismo di matrice politica, laica, non era subentrata la dimensione religiosa della jihad. C’è una lezione dell’Achille Lauro che serva ancora oggi?
Ilsa: «Certo negli anni Ottanta nessuno poteva immaginare gli sviluppi successivi, i 3mila morti dell’11 settembre. L’escalation ha portato ad un altro livello di pericolosità. Il fanatismo si è moltiplicato con la dimensione religiosa, e anche perché Internet offre una grande piazza virtuale in cui radunare idee e slogan, fare proseliti. Però dalla morte di nostro padre vogliamo estrarre questo avvertimento: può accadere a chiunque e a tutti noi. È utile dare un volto e una storia alle vittime del terrorismo; e ricordare quanto siamo tutti vulnerabili. Quello che accadde su una nave italiana 30 anni fa può ripetersi e colpire ogni essere umano in qualsiasi momento e qualsiasi luogo del mondo».
Nei pochi mesi che le restarono da vivere, vostra madre ebbe un impatto cruciale: la sua deposizione al Congresso fu decisiva per l’approvazione dell’Antiterrorism Act del 1990, la prima legge a consentire di trascinare in tribunale Stati e organizzazioni straniere che sponsorizzano il terrorismo. Come andò?
Lisa: «Le parole della mamma al Congresso suonano davvero attuali. Parlò del terrorismo come l’estremo crimine contro l’umanità. Marilyn disse che possiamo sconfiggerlo solo se tutte le nazioni negano protezione e rifugio ai terroristi. Non dev’esserci più un angolo del mondo in cui possano nascondersi. Il terrorismo prolifera quando ci sono nazioni a proteggerlo. Questa battaglia non sarà vinta finché tutti gli esseri di buona volontà non stringono i ranghi, si compattano. La mamma si sentì investita di una missione. La sua salute si deteriorava rapidamente ma trovò l’energia per mobilitare il mondo politico. Collaborò perfino alla produzione di un film sulla morte di papà, con Burt Lancaster che venne a chiederle consiglio. Fece processo all’Olp e alla fine quel processo fu vinto, anche se lei non c’era più. L’indennizzo versato dall’Olp è servito a creare la nostra Fondazione, che tra l’altro forma membri delle forze dell’ordine all’antiterrorismo. Includendo in questa definizione tutte le forme di terrorismo, dal fondamentalismo islamico ai suprematisti bianchi».
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