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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
07.10.2015 Siria: la Russia prepara l'invio di truppe di terra; quale ruolo per l'Italia?
Analisi di Maurizio Molinari, Carlo Panella

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Carlo Panella
Titolo: «La Nato e il Pentagono: 'Mosca pronta a schierare truppe di terra in Siria' - La guerra italiana»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/10/2015, a pag. 5, con il titolo "La Nato e il Pentagono: 'Mosca pronta a schierare truppe di terra in Siria' ", l'analisi di Maurizio Molinari; dal FOGLIO, a pag. 1-2, con il titolo "La guerra italiana", l'analisi di Carlo Panella.

Ecco gli articoli:

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Bashar al Assad con Vladimir Putin

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "La Nato e il Pentagono: 'Mosca pronta a schierare truppe di terra in Siria' "

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Maurizio Molinari

Truppe di terra in Siria, sconfinamenti aerei in Turchia e la possibile estensione dei raid all’Iraq descrivono un allargamento delle operazioni militari del Cremlino in Medio Oriente a cui la Nato reagisce alzando il tono della polemica, genesi di un duello a distanza con Mosca che vede Ankara esposta in prima linea. È il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, a parlare di «truppe di terra russe collegate con la loro base aerea» nella cornice del «sostanzioso schieramento di forze in corso». In questa maniera la Nato dà risalto alle dichiarazioni dell’ammiraglio Vladimir Komoyedov, capo della commissione Difesa del Parlamento a Mosca, secondo il quale «volontari russi potrebbero combattere in Siria» anche in assenza di un’approvazione formale del Cremlino come avvenuto in Crimea nel 2014.

L’opzione «volontari»
I portavoce del Cremlino, Smitry Peskov, e del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, smentiscono: «Niente truppe di terra» e «nessun invio di volontari». Ma fonti del Pentagono danno sostanza alle affermazioni di Stoltenberg: «Vi sono almeno 800 soldati di terra russi già in Siria» nell’ambito di un contingente di 1400 uomini la cui missione è far volare 28 jet Sukhoi. I Marines del Mar Nero appartengono, spiega l’analista Jeffrey White, alla 810ª Brigata di fanteria navale di Sebastopoli e alla 363ª Brigata di fanteria navale. Al momento sono impiegati per proteggere le basi russe sulla costa alawita - Latakia e Humaymin - ma possono rapidamente trasformarsi in consiglieri dell’offensiva di terra che Damasco prepara, grazie al continuo arrivo di truppe iraniane e Hezbollah.
L’opzione dei «volontari» resta valida perché Ramzan Kadyrov, capo della Repubblica cecena russa, dice alla radio di essere «pronto a mandare i miei uomini contro i terroristi islamici, se Putin me lo chiederà». Tantopiù che, secondo Interfax, guadagnerebbero «50 dollari al giorno». Mettendo l’accento sulle «truppe di terra» Nato e Pentagono fanno capire di non credere alla versione di Vladimir Putin sulla «guerra aerea al terrorismo» nello stesso in giorno in cui Bruxelles e Mosca duellano sugli sconfinamenti aerei.

Violazione di spazi aerei
La tesi dei comandi russi sull’«errore causato dal maltempo» che sabato ha portato un Sukhoi a violare lo spazio aereo turco non convince Stoltenberg: «Non sembra un incidente perché è durato a lungo» e dunque Mosca «non ha fornito una reale spiegazione». A rafforzare tale interpretazione arrivano le rivelazione di Ankara su altri due episodi: domenica un Mig-29 siriano ha «illuminato» sei F-16 turchi «per 5 minuti» e domenica batterie anti-missile in Siria hanno «agganciato» jet turchi «per 4 minuti e mezzo». Più che incidenti sembrano avvertimenti con cui Mosca e Damasco vogliono intimare alla Turchia di cessare il sostegno ai ribelli anti-Assad nella provincia di Idlib. Recep Tayyp Erdogan, presidente turco, avverte Putin: «Attaccare noi significa attaccare l’intera Nato, se la Russia perde un amico come la Turchia, con cui coopera su molti terreni, ha molto da rimetterci». Stoltenberg gli dà manforte: «Le violazioni russe sono inaccettabili».

Ma ciò che conta per Putin è procedere nelle operazioni militari, estendendo al contempo la propria presenza in Medio Oriente. I raid dei Sukhoi si intensificano - descritti ogni mattina dai bollettini della tv Al Manar di Hezbollah - mentre il vicecapo di Stato Maggiore Nikolai Bogdanovsky arriva a Tel Aviv per inaugurare la cellula di «coordinamento militare» con gli israeliani e a Baghdad i partiti sciiti chiedono al governo di «invitare i russi a colpire i jihadisti di Isis» aprendo «in fretta» ai jet di Putin anche i cieli dell’Iraq.

IL FOGLIO - Carlo Panella: "La guerra italiana"

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Carlo Panella

L’Italia può bombardare in Iraq i tagliagole dello Stato islamico per dare copertura aerea ai tagliagole delle milizie sciite al comando dell’Iran? L’Italia può partecipare attivamente a una guerra i cui capisaldi strategici sono crollati? Su queste due questioni va incardinata la decisione dell’Italia sull’opportunità di bombardare l’Iraq con la coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico in Iraq e Siria. Molteplici e autorevoli sono le denunce dei crimini delle milizie sciite irachene. La più alta autorità religiosa sunnita, al Tayeb, grande imam di al Azhar, mesi fa ha proclamato: “Al Azhar esprime le sue preoccupazioni per le decapitazioni e le aggressioni contro pacifici cittadini iracheni, del tutto estranei allo Stato islamico, commesse dalle milizie sciite alleate con l’esercito iracheno a Tikrit e nell’Anbar. Queste milizie hanno bruciato moschee sunnite e ucciso donne e bambini sunniti. Condanniamo fermamente i crimini barbari che le milizie sciite commettono nelle zone sunnite che le forze irachene hanno iniziato a controllare”. Il giudizio è stato ribadito da Massour Barzani, capo dei servizi segreti del Kurdistan: “Le milizie sciite sono un pericolo maggiore dello Stato islamico”. Eloquente è il report di Amnesty International dell’ottobre del 2014: “Agghiaccianti resoconti di attacchi settari compiuti dalle milizie sciite a Baghdad, Samarra e Kirkuk. Decine di corpi non identificati rinvenuti in tutto il paese, ammanettati e con fori di proiettili alla nuca, secondo uno schema di uccisioni deliberate nello stile di un’esecuzione”.

Definitivo – e pesante – è il giudizio del generale David Petraeus, l’unico che ha sconfitto militarmente Abu Bakr al Baghdadi e lo ha costretto a fuggire dall’Iraq. “Le milizie sciite e l’Iran che le sostiene rappresentano a lungo termine per l’Iraq e per gli equilibri regionali una minaccia più grave dell’Is – ha detto Petraeus – E’ una Chernobyl geopolitica che continuerà a diffondere instabilità radioattiva e ideologia estremista nell’intera regione fino a che non sarà bloccata”. Veniamo al fallimento della strategia irachena di Barack Obama, basata sulla fine della politica settaria di Baghdad nei confronti dei sunniti, causa del consenso – il termine è questo – allo Stato islamico da parte della maggioranza delle tribù sunnite dell’Anbar, e sull’affidamento sul solo esercito iracheno del contrasto di terra. Ma il nuovo governo di Baghdad non ha incluso nel governo i sunniti e ha favorito la fuoruscita dall’esercito iracheno (sempre più inefficiente) di migliaia di militari, per riversarli nelle milizie sciite, comandate dal generale dei pasdaran Qassem Suleimani.

Le indispensabili informazioni da terra fornite ai nostri bombardieri saranno ora filtrate dalla nuova centrale operativa dei servizi e delle operazioni militari di Baghdad, che comprende solo Iraq, Iran e Russia. Rischiamo dunque di colpire obiettivi scelti da un comando in cui giocano un ruolo decisivo Mosca e Teheran. L’unica scelta saggia è dunque continuare nel sostegno militare e politico del Kurdistan iracheno (che esiste solo grazie alla “deprecata guerra di George W. Bush”), non comprometterci nel supporto aereo delle operazioni di terra di un governo e di milizie sciite settarie. E soprattutto attendere che sia elaborata una non fallimentare strategia di contrasto allo Stato islamico. Sfidare ulteriormente Von Klausewitz, impegnandosi in guerre senza politica è un non senso.

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