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Cristiani, cattolici, Vaticano & Israele 30/09/2015

Gentilissima Redazione,
mi dispiace veramente leggere su IC tante inesattezze in un commento solo.
Non so quale attacco ad Israele ravvisiate nel dare notizia della fine dello sciopero delle scuole cristiane, ma Vi prego di considerare che;
1) non è vero che Avvenire non dia notizia delle persecuzioni contro i cristiani: lo fa con regolarità e, per di più, da anni nella home page del suo sito è richiamato il Dossier “Cristiani perseguitati”, nel quale restano consultabili, dopo la normale pubblicazione nella stessa home page, gli articoli attinenti a persecuzioni contro i cristiani in ogni parte del mondo. Proprio oggi, Avvenire dà notizia dell’incendio di una chiesa di Betlemme da parte di estremisti islamici (sul sito ha ampio risalto, per titolo, sottotitolo, posizione nella home page e testo, assolutamente inequivocabile, inclusa la denuncia dell’incitamento all’odio nelle moschee);
2) le 47 scuole cristiane, di ogni ordine e grado, che hanno scioperato dal 1° al 27 settembre sono prevalentemente, ma non tutte, cattoliche (in parte sono ortodosse e protestanti) e, quindi, non tutte ‘dipendono dal Vaticano’;
3) soprattutto, la vicenda è diversa da quello che il Vostro commento può suggerire al lettore medio italiano. Per scrupolo, in queste settimane non ho letto solo Avvenire o le agenzie di stampa cattoliche italiane, ma ho cercato notizie sui siti israeliani o ebraici in lingua inglese, essenzialmente sul Jerusalem Post e sul Times of Israel, che sono gli unici (a parte, forse, Haaretz, cui non sono abbonata) che ne hanno scritto diffusamente. Ho così appreso che: - le 47 scuole cristiane, di cui tutti riconoscono e lodano l’alto livello dell’istruzione che impartiscono ed il conseguente contributo che danno al successo professionale o lavorativo ed economico dei loro 33.000 allievi (prevalentemente arabi israeliani), sono scuole definite (in inglese) “of recognized, but unofficial status”, distinte da quelle meramente private; - al pari delle altre scuole (tra cui quelle haredi) incluse nella suddetta categoria “of recognized, but unofficial status”, esse ricevevano, da molti anni, in forza di una previsione normativa israeliana, un finanziamento statale pari al 75% del costo dell’istruzione e, d’altro canto, la legge pone ad esse un limite nella retta che possono far pagare ai genitori degli allievi; - da alcuni anni, riducendo il numero delle ore di studio finanziate (per mantenere formalmente il limite del 75% fissato dalla legge), il Ministero competente (non so se quello dell’Istruzione o quello dell’Economia) ha drasticamente ridotto l’effettivo ammontare del contributo statale alle scuole cristiane, che quest’anno copriva il 29% del loro bilancio, con il risultato che tali scuole hanno accumulato debiti, se ben ricordo, per 200 milioni di shekel; - sulle cause della decisione i citati articoli sono meno chiari, ma mi è parso di capire che si sia trattato dell’effetto della volontà di ridurre il finanziamento pubblico delle scuole non statali (non so se per ragioni ideali o necessità di bilancio dello Stato), peraltro non attuata nei confronti delle scuole haredi “of recognized, but unofficial status”, cui i partiti religiosi sono riusciti (non ho ben capito se con accordi di coalizione o grazie ad una legge di cui ottennero in passato l’approvazione) a conservare il finanziamento nella misura del 75% (o addirittura ad elevarlo al 100%: sul punto gli articoli discordavano), nonostante le polemiche sulla qualità dell’istruzione impartita da una parte di esse; - di fronte al rischio di dover chiudere per fallimento ed alla disparità di trattamento rispetto alle scuole haredi, le scuole cristiane hanno invano trattato con il Ministero dell’Istruzione per un intero anno o forse più, ricevendo la proposta di entrare a far parte delle scuole statali (il che, però, minerebbe la loro autonomia educativa) e, alla fine, sono ricorse allo sciopero ed a pubbliche manifestazioni, ottenendo la solidarietà non solo delle scuole statali del settore arabo, ma anche degli insegnanti delle scuole statali ebraiche (che hanno scioperato solo per due ore, ma hanno, con questo gesto, amplificato enormemente la ‘visibilità’ del problema per l’opinione pubblica israeliana e, quindi, per i membri della Knesset e per il Governo); - il risultato è quello succintamente indicato da Avvenire: uno stanziamento di fondi che copre in parte i precedenti tagli e l’avvio di un riesame congiunto della materia del finanziamento statale alle scuole cristiane. Naturalmente, la Knesset può sempre modificare le norme sul finanziamento statale alle scuole non statali. Sul punto si affrontano, in Israele come altrove, i sostenitori del finanziamento alle sole scuole statali e quelli del sostegno pubblico all’effettiva libertà di scelta educativa dei genitori. A ciascuno Stato spetta la scelta, ma, se lo Stato è democratico, come indiscutibilmente Israele è e vuole restare, una disparità di trattamento economico fra scuole della medesima categoria giuridica (quelle cristiane e quelle haredi) è una spiacevole anomalia, ancor più grave allorché la contemporanea esistenza di un limite di legge all’importo delle rette a carico delle famiglie renda economicamente insostenibile l’attività delle scuole meno finanziate dallo Stato. Sono, perciò, molto contenta che il problema appaia in via di soluzione, non solo per le scuole cristiane, ma anche per Israele nel suo complesso (che ha senz’altro interesse a preservare non solo l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma anche scuole che costituiscono un importante fattore di sviluppo economico-sociale, in particolare degli arabi israeliani), e mi auguro che una soluzione soddisfacente a lungo termine venga effettivamente trovata nei prossimi mesi.

 Molto cordialmente,
Annalisa Ferramosca

Riportiamo integralmente la sua mail, che riteniamo interessante per quanto contiene. Le rispondiamo seguendo il suo ordine numerico:
1. Leggiamo anche noi quotidianamente Avvenire, proprio per questo riteniamo che il quotidiano dei vescovi dovrebbe caratterizzarsi - anche per distinguersi dagli altri giornali che pubblicano le stesse cronache - con un taglio molto più significativo, non soltanto cronache. Così come lo siamo verso i viaggi del Papa, che si è ben guardato dall'andare in uno dei tanti stati arabo-islamici dove i cristiani vengono perseguitati e uccisi. Troppo facile predicare la pace nei paesi democratici, le parole non hanno mai salvato nessuno.
2. Che le scuole cristiane non dipendano tutte dal Vaticano non sposta il problema, la S.Sede è la principale presenza religiosa cristiana in Israele, se poi invece di 47 sono 45 o 40, non fa grande differenza. La chiesa protestante non è conosciuta per emettere comunicati né per polemiche di altro genere. La cattolica sì.
3. Non siamo mai entrati in merito alla qualità dell'insegnamento nelle scuole cristiane, tema che non riguarda il nostro giornale. Non abbiamo nulla contro le scuole private, ci opporremmo se non fossero legali, ma siamo da sempre - non solo in Israele, anche in Italia - contro il loro finanziamento da parte dello Stato. Le famiglie sono libere di mandare i propri figli nelle scuole che desiderano, ma è quella statale che deve essere mantenuta dallo Stato ad un livello ottimale, diciamo pure concorrenziale, per questo il denaro pubblico riteniamo debba andare investito nell'educazione pubblica, non privata.
In quanto alle scuole religiose israeliane, è vero, ottengono finanziamenti statali come lei scrive, ma questo è stato sempre dovuto al fatto che il sistema proporzionale vigente in Israele - che ha una ragione storica di tutto rispetto, dovendo dare la rappresentatività politica a cittadini di tante provenienze - consente governi formati da coalizioni, dove il voto dei partiti religiosi, di per sé di poco peso numerico, diventa decisivo per la formazione di un governo. Ecco perché governi a maggioranza laica continuano a finanziare le scuole ortodosse.

La ringraziamo per seguire con interesse il nostro,ma,come si suol dire, si metta nei nostri panni, cerchi di essere più concisa, altrimenti rischiamo entrambi di perdere l'attenzione di chi ci legge.

IC Redazione


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