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La Repubblica Rassegna Stampa
30.09.2015 Il velo islamico significa sottomissione, ma H&M lo trasforma in elemento di moda
Commento di Michela Marzano

Testata: La Repubblica
Data: 30 settembre 2015
Pagina: 1
Autore: Michela Marzano
Titolo: «Se una modella con il velo divide il mondo»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 30/09/2015, a pag. 1-36, con il titolo "Se una modella con il velo divide il mondo", il commento di Michela Marzano.

H&M ha proposto una linea di hijab, il velo islamico che, ben lungi da essere un semplice capo di abbigliamento, è un elemento socioculturale che significa sottomissione. Il fatto che esistano numerose donne musulmane che lo rivendichino non è niente di più della conferma che ci sono sempre, tra gli oppressi, coloro che si schierano con l'oppressore. La stessa cosa, per esempio, è accaduta nel 1865, quando in alcune piantagioni gli schiavi neri liberati dall'esercito nordista sparavano contro i propri liberatori. La libertà è un peso, ma l'oppressione lo è di più: per questo il hijab non può diventare un elemento della moda.

Ecco l'articolo:

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Michela Marzano

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Hijab firmato H&M

Non esistono regole nella moda” recita l’ultima campagna pubblicitaria di H&M, il gigante svedese dell’abbigliamento low cost ormai celebre in tutto il mondo. E mostra nello spot “Close the Loop” (chiudi il cerchio) non solo un pugile con una protesi e una persona anziana in minigonna, ma anche una modella che indossa il velo islamico. Lo scopo del marchio sembra quello di invitare chiunque a riciclare i propri abiti e a reinventarsi liberamente il proprio stile di vita indipendentemente dall’età, dalle condizioni fisiche e dalla cultura di provenienza.

Ma è soprattutto la presenza della modella con il hijab ad aver immediatamente suscitato dibattiti e polemiche. È legittimo trattare il velo come uno dei tanti capi d’abbigliamento? Lo si può veramente indossare con nonchalance anche quando non copre completamente i capelli? Non si sta strumentalizzando la moda per far passare un messaggio politico? La giovane donna che posa per il video di H&M non è una modella professionista. È Mariah Idrissi, una giovane donna musulmana di 23 anni che vive a Londra e che, prima di accettare la proposta del marchio, ha chiesto il permesso ai genitori originari del Pakistan e del Marocco.

«Si pensa sempre che le donne che indossano il hijab vengano ignorate quando si tratta di moda. Quindi è sorprendente che un colosso del genere mi abbia scelta», ha ammesso Mariah durante un’intervista concessa a Fusion . Subito prima di spiegare che la decisione di partecipare allo spot pubblicitario era stata legata soprattutto al desiderio di far qualcosa per la causa delle donne musulmane. Non tutti, però, sembrano d’accordo con la scelta di H&M e di Mariah. Certo, ci sono state molte giovani musulmane felici di vedere che, forse per la prima volta in Occidente, l’immagine del velo non fosse più associata solo alla sottomissione e alla religione. Ma c’è stato anche chi ha osservato che, nello spot, il velo non copriva sufficientemente i capelli tradendo il senso profondo dell’utilizzazione del hijab per i musulmani; oppure chi ha accusato H&M di sdoganare il simbolo stesso della dominazione maschile e dell’oppressione della donna.

Quando si parla di moda, tutto è possibile e tutto è da reinventare, hanno insistito gli ideatori della campagna pubblicitaria difendendo la scelta di accostare la modella velata all’anziana signora in minigonna. In un mondo multietnico e multiculturale è bene che anche il mondo della moda si mostri aperto e flessibile, ha chiosato la scrittrice musulmana Remona Aly in un articolo pubblicato da The Guardian, insistendo soprattutto sul messaggio rivoluzionario dello spot di H&M. Ma è veramente politico l’intento del colosso dell’abbigliamento? E se fosse solo una straordinaria operazione commerciale? Se lo scopo del marchio fosse soprattutto quello di attirare nei propri negozi le tante donne musulmane che, pur vivendo in Occidente, restano legate alle proprie tradizioni? In fondo, poco importa lo scopo esatto dello spot.

Se è vero come è vero che tante donne che indossano il velo rivendicano il fatto di portarlo come una scelta personale — vuoi per motivi religiosi, vuoi anche per senso del pudore o per proteggersi dallo sguardo maschile — è interessante che il mondo della moda cominci a rendere visibile il hijab trasformandolo in un semplice accessorio. Un modo come un altro di inventarsi o reinventarsi la propria immagine e di giocare con i colori, soprattutto se abbinato a un piercing al naso e alla matita nera sopra gli occhi, come nel caso di Mariah Idrissi. In un’epoca come la nostra, in cui la questione della laicità va di pari passo con l’aumento non solo degli integralismi religiosi, ma anche dell’intolleranza e del razzismo, quest’operazione commerciale può d’altronde aiutarci a riflettere sul significato dell’espressione “ integrazione”, facendo magari capire anche ai più scettici che il rispetto delle differenze non implica necessariamente una rinuncia ai propri valori. Ogni Paese ha certamente un proprio patrimonio culturale specifico che va di pari passo con il modo di abbigliarsi o di pettinarsi delle proprie donne e dei propri uomini. Ma erigere barriere facendo finta che non esistano altri modi di vivere la propria femminilità o la propria mascolinità non vuol dire anche privarsi della ricchezza che può venire da tutto ciò che noi consideriamo (e giudichiamo spesso con supponenza) “altro”?

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