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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.09.2015 Sergio Romano assolve la stampa italiana del ventennio fascista
E dimentica le leggi razziste antiebraiche del 1938

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 settembre 2015
Pagina: 53
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Stampa e regime nell'Italia fascista»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/09/2015, a pag. 53, con il titolo "Stampa e regime nell'Italia fascista", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Antonio Merlo.

Sergio Romano conclude il suo articolo scrivendo che "il ritorno alla normalità fu più facile per quei giornali, fra cui il Corriere, che non avevano completamente smarrito il sentimento della loro identità e delle loro tradizioni". Dimentica di sottolineare, però, l'appoggio pieno dato dal Corriere - e da molti altri quotidiani - al nazi-fascismo. L'archivio storico del quotidiano lo prova. Solo un esempio, le leggi razziste che nel 1938 hanno colpito gli ebrei: ecco la prima pagina del Corriere.
Egregio Romano, attento alla Storia, meno alla piaggeria.

Ecco l'articolo:

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Sergio Romano

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Il Corriere della Sera annuncia le Leggi razziste del 1938 contro gli ebrei. Lo stesso per tutti gli altri quotidiani, prima pagina, nove colonne.

Ho guardato con interesse la serie dei dvd dedicati alla Seconda guerra mondiale edita dal Corriere e introdotta da Paolo Mieli. In ogni dvd è inserito un piccolo fascicolo introduttivo con all’interno una pagina del Corriere . Mi ha colpito la completa adesione alle scelte politiche e militari del giornale al regime, con titoli retorici e roboanti tesi a enfatizzare gli eventi e le azioni dei tedeschi e dei fascisti, anche dopo il 1943. Com’è possibile che un giornale con la storia liberale del Corriere , capace addirittura con Albertini di condizionare l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, fosse così platealmente in accordo con le scelte politiche di Mussolini e dei tedeschi e non vedesse e fosse a conoscenza degli errori e orrori compiuti da quei regimi?

Antonio Merlo
antonio_merlo@icloud.com

Caro Merlo,
Non credo che lei debba esserne sorpreso. Il regime fascista non fu «totalitario», nonostante la parola sia stata coniata da Mussolini. Su alcune materie lasciava margini di commento e discussione difficilmente immaginabili nel Terzo Reich e nei regimi sovietici. Ma la politica internazionale era dominio riservato del capo del governo, un terreno in cui raramente ascoltava consigli. Aggiungo che Mussolini era nato giornalista, dedicava una buona parte della sua giornata alla lettura della stampa nazionale e internazionale, discuteva la preparazione del Popolo d’Italia ogni sera con la redazione milanese del giornale e se ne serviva spesso per pubblicare corsivi anonimi o recensioni di cui tutti intuivano la paternità. I giornali dovevano conformarsi alle direttive quotidiane del ministero della Cultura popolare, ma soprattutto sapevano di avere a Palazzo Venezia un «redattore-capo» molto autoritario che, per di più, conosceva il mestiere.

In tempo di guerra i margini di libertà dei giornali erano ulteriormente ridotti. La grande maggioranza degli italiani avrebbe preferito la non belligeranza, ma le regole civiche e morali degli Stati europei, non importa se democratici o autoritari, volevano allora che l’intero Paese facesse quadrato patriotticamente dietro la patria in armi. Molti intellettuali non avevano dimenticato il caso di Benedetto Croce alla vigilia della Grande guerra. Il filosofo napoletano non approvava l’intervento e aveva preso posizione fermamente contro l’ondata interventista che sommerse il Paese in quei mesi. Ma quando la guerra fu dichiarata, mise a tacere tutte le sue obiezioni e riserve.

Nel 1940 questo clima culturale esisteva ancora e si rifletteva nei toni e negli accenti della stampa nazionale. Durò grosso modo sino alla fine del 1942. Gli umori e i sentimenti della pubblica opinione cambiarono sotto la spinta di alcuni avvenimenti: i bombardamenti sulle città italiane, l’evoluzione della situazione militare nei Balcani, la battaglia di El Alamein e, qualche mese dopo, quella di Stalingrado. Divenne molto più difficile da allora, per i giornali, descrivere la guerra ai loro lettori. E fu ancora più difficile sopravvivere con qualche autorevolezza nei lunghi mesi dell’occupazione tedesca e della guerra civile. In ultima analisi, tuttavia, il ritorno alla normalità fu più facile per quei giornali, fra cui il Corriere, che non avevano completamente smarrito il sentimento della loro identità e delle loro tradizioni.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


lettere@corriere.it

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