Riprendiamo da LIBERO di oggi, 30/09/2015, a pag. 11, con il titolo "La strategia americana perde anche in Afghanistan", l'analisi di Carlo Panella.
Carlo Panella
Kunduz, Afghanistan
La conquista da parte dei Talebani di Kunduz è il secondo colpo in faccia, da Ko, che Barack Obama ha ricevuto, o meglio si è procurato, nell'arco di due giorni. La città afgana, situata 160 chilometri a nord di Kabul, ha una importanza strategica vitale. Dista poche decine di chilometri da Mazar El Sharif, fondamentale città santa, e il suo possesso permette il controllo delle comunicazioni via terra con il Tagikistan. Ma il fatto più grave, che ha dell'incredibile, è che Kunduz era sotto assedio da settimane, che la sua conquista non è stata affatto conseguenza di un blitz talebano improvviso e che gli assedianti erano poche centinaia. Kunduz è quindi caduta per il semplice fatto che è stata lasciata cadere dal totale disinteresse per la sua sorte del comando Usa (e Isaf) e dall'incompetenza dell'esercito afgano.
Ora, troppo tardi, l'aviazione Usa effettua quei bombardamenti intensi contro i Talebani che non ha operato nelle settimane scorse e prepara la riconquista di Kunduz. Perfetta replica dunque degli errori americani che hanno portato alla conquista da parte del Califfato di Mosul e Ramadi in Iraq e di Raqqa e Idlib in Siria negli ultimi due anni. Città fondamentali per un Califfato che ormai controlla un territorio più grande della Gran Bretagna con una decina di milioni di abitanti. Città che trionfalmente i generali di Obama hanno assicurato di poter riconquistare in pochi mesi, fallendo platealmente - e vergognosamente - su tutti i fronti.
E proprio sulla Siria e sull'Iraq Obama si è preso due giorni fa il primo uppercut al mento da un Vladimir Putin trionfante nella assemblea dell'Onu, in cui ha presentato una sua strategia vincente - per ora - e in cui ha addirittura sfidato gli Usa a «aderire a una coalizione contro l'Isis come quella che sconfisse Hitler». Non basta: Putin si è presentato all'Onu e al mondo come il leader di una grande potenza che ha appena stretto un patto militare - e dei servizi segreti - non solo con l'Iran e la Siria, ma anche con l'Iraq. Putin cioé, ha letteralmente «scippato» l'Iraq all'influenza degli Usa che ora si vedono relegati, come in Siria, al molo di «utili idioti» che bombardano dall'alto mentre Damasco e Baghdad decidono strategie politiche e militari sotto il comando congiunto dei Pasdaran iraniani e dei generali di Mosca. Un quadro sconfortante per Obama che ormai deve sorbire il dileggio dei media americani.
Ma non basta, mentre Putin inanella alleati in Medioriente (anche lo strategico Egitto) Obama li perde perché è in rotta di collisione ormai non solo con Israele e Arabia Saudita (a causa dell'accordo con l'Iran), ma anche con la Turchia. Al solito, però, il presidente Usa scappa dalla realtà dei propri fallimenti e si rifugia nella retorica «Sono ottimista. In Iraq e Siria l'Isis è circondato da forze che vogliono distruggerlo e abbiamo visto che può essere sconfitto». L'ottimismo degli incoscienti.
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