Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/09/2015, a pag. 27, con il titolo "Goering, questo è il catalogo dell'arte predata", l'analisi di Leonardo Martinelli.
Leonardo Martinelli
Hermann Goering e Adolf Hitler di fronte a un quadro
I primi quadri li comprò in una galleria d’arte, la Sangiorgi, a Roma, nell’aprile 1933. E per l’occasione tirò fuori una bella somma, pagata di tasca propria. Hermann Goering, già allora numero due di Hitler, anima da militare ma passione per l’arte, ripartì per Berlino con un ritratto del busto di Venere di Jacopo de’ Barbari e con Diana e Callisto, dipinto di Johann Rottenhammer. Durante la Seconda guerra mondiale, a colpi di razzie tra i musei di mezza Europa, occupata dai nazisti, e le collezioni di ebrei spogliati dei loro capolavori, arriverà a quota 1376.
Un testo pubblicato oggi dalla casa editrice francese Flammarion ripercorre quella triste vicenda. Si tratta proprio del Catalogue Goering, il catalogo costituito da lui stesso, con i dettagli degli acquisti e delle requisizioni. Il grosso della collezione se la procurò a Parigi. Passava al Jeu de Paume, palazzetto antico ai margini delle Tuileries, che allora era un annesso del Louvre. Gli presentavano una scelta di dipinti e lui si serviva. La refurtiva veniva poi spedita nel palazzotto principesco che si stava costruendo un’ottantina di chilometri a Nord di Berlino, la Carinhall, studiata nei minimi particolari da lui e dalla seconda moglie, Emmy Sonnemann, attrice raffinata e capricciosa. Che, visto quanto era defilata Eva Braun, svolgeva praticamente il ruolo di first lady del Terzo Reich.
Il testo era finito (e lì è rimasto a lungo dimenticato) negli archivi diplomatici del ministero degli Esteri francese. Ed è stato proprio Laurent Fabius, il ministro, discendente di una famiglia di ebrei, mercanti d’arte perseguitati dai nazisti, a volerne la pubblicazione, «per mostrare quanto fossero sistematici i nazisti nel predare queste opere d’arte», ha sottolineato al Figaro. Fu Rose Valland a scovare il catalogo alla fine del conflitto. Era una storica d’arte e bazzicava dalle parti del Jeu de Paume, anche quando si presentava Goering a «fare la spesa». In realtà faceva già parte della Resistenza e in tanti piccoli quaderni segnava ogni furto. Nel dopoguerra riuscì a far ritornare a casa loro oltre 4500 opere d’arte rubate dai nazisti in Francia.
A curare la pubblicazione del catalogo è stato Frédéric du Laurens, ex direttore degli archivi diplomatici. «Goering non era un vero esperto d’arte ma un collezionista compulsivo», ricorda. «All’inizio privilegiò i pittori tedeschi classici del ’500, i Cranach in particolare. E poi amava gli artisti olandesi del ’600». Si incaponì su un Vermeer, che gli rifilarono ma era un clamoroso falso. Durante la guerra iniziò ad accumulare un po’ di tutto, anche pittori «degenerati», come un Gauguin che la moglie volle per camera sua. Oppure tre Picasso che scambiò con altri dipinti antichi. Alla fine nella dimora di Carinhall esponeva da Botticelli a Rubens, passando per gli impressionisti francesi.
Mentre i russi incalzavano, nel 1945, lui imbarcò tutto (opere d’arte, tappezzerie, mobilio) in otto treni diretti verso il Sud. E fece saltare in aria la magione. Ma alcuni convogli furono assaltati da tedeschi, che a loro volta rubarono diversi pezzi. Altri vagoni rimasero distrutti sotto le bombe degli Alleati. «Di varie opere non si è saputo più nulla», conclude Du Laurens. «Chissà se la pubblicazione del catalogo servirà a ritrovarne alcune».
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