Riprendiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 23/09/2015, a pag. 16, con il titolo "Israele, il forte legame tra cultura del rischio e boom di start up", il commento di Benedetta Arese Lucini.
Leggendo il pezzo abbiamo dovuto controllare se era veramente sul Fatto, i cui servizi di politica estera sono sempre al di sotto di qualsiasi minimo interesse. Non questo articolo, che invece pubblichiamo, augurandoci di rivedere ancora e presto la firma della giornalista.
Benedetta Arese Lucini
Tel Aviv
In trent'anni, Israele, un Paese con 7 milioni di abitanti, sempre in guerra e circondato da nemici, ha visto oltre 250 start up innovative quotarsi sul Nasdaq, un record superato solo da Usa e Cina. Dopo la seconda guerra mondiale, immigrati ebrei scappati dall'Europa nazista e dall'Urss hanno trovato rifugio in Israele: oggi 9 cittadini su 10 sono immigrati di prima o seconda generazione.
A Tel Aviv, una città grande come Firenze, si è sviluppata una cultura di propensione al rischio: quando suona la sirena di allerta missile, ci sono 90 secondi. Se un bunker non si trova, si aspetta sperando di non essere colpiti. Forse anche per questo il posto fisso non è contemplato: dopo tre anni di scuola militare, finita l'università, tanti aprono una start up.
Come Alon, che dopo l'esperienza nell'Intelligence, ha sviluppato una società di cyber security che aiuta le aziende a difendersi dagli hacker. O Yoram, che dopo aver fondato altre due startup, ha brevettato una tecnologia che, da una foto, permette di identificare le opere d'arte di tutto il mondo in una app. Nascono oltre mille nuove startup all'anno, nel 2014 hanno creato cinque miliardi di dollari in valore portato da acquisizioni. Rothschild Boulevard, il centro di Tel Aviv, durante i giorni della conferenza internazionale Digital life design (Did) si trasforma in una fiera dell'innovazione: nuove soluzioni per fare e ascoltare la musica, stampanti 3D e robot che muovevano mani come quelle umane.
Nei giorni scorsi sono arrivati in città oltre 3,000 rappresentanti internazionali e decine di venture capitalist alla ricerca del prossimo "unicorno", una start up che raggiunge un miliardo di dollari nel mercato provato. E infatti Israele ha il più alto investimento pro capite del mondo, il doppio di quello americano. Nel 2013 ha ricevuto oltre 11.5 miliardi di investimenti diretti dall'estero. Oggi la guerra a Tel Aviv non c'è e noi europei ci troviamo davanti a un'immigrazione che non sappiamo gestire. Forse aprendoci alle diversità costruiremo un contesto per un popolo di innovatori.
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