IC7- Il commento di Davide Romano
Dal 13 al 19 settembre 2015
Profughi siriani: accoglienza deve fare rima con integrazione
Profughi siriani
Sono terribili le immagini che vediamo quotidianamente ai telegiornali: file interminabili di profughi che migrano “in diretta” sui nostri teleschermi. Famiglie rimbalzate a confini che vengono progressivamente chiusi, bimbi che urlano, adulti che protestano, manganelli che roteano. C’è di tutto, come spesso accade in situazioni difficilmente gestibili. In questo dramma umano è sempre più visibile una sorta di “pensiero corto” - legato all’immediato e senza memoria del passato - che non capisce e quindi non sa risolvere le cause dei problemi che ci troviamo a affrontare.
I commentatori che si susseguono in queste settimane soffrono spesso di tale superficialità, che prevede di prendersela solo con gli effetti e mai con le cause del problema. Oggi sono infatti tutti pronti a condannare l’Europa perché non abbastanza solidale. E’ vero, non riusciamo a fare fronte a questa fiumana di profughi. Ma vogliamo dire anche un’altra verità? Dov’erano questi commentatori quando c’era da prendere posizione per fermare la guerra in Siria e Iraq? Non sono gli stessi che dicevano che non bisognava intervenire militarmente contro i tagliagole dell’Isis? Uno dei campioni di questo pensiero fu proprio il Nobel per la Pace Barack Obama, che ancora nel gennaio 2014 paragonava lo Stato islamico a una squadra di basket di dilettanti che voleva giocare in serie A, chiudendo così ogni possibilità a un intervento militare.
Quale integrazione per i musulmani europei?
Questa cecità, sommata a quella di una guerra siriana che è iniziata nell’indifferenza generale nell’ormai lontano 2011, sono tutti elementi che fanno sorridere quando si sentono le voci di chi parla oggi di “emergenza” quando vede masse di siriani fuggire. No, signori, l’emergenza è cominciata almeno quattro anni e mezzo fa. E non guardare alla guerra in corso non ti salva né la coscienza né dalle conseguenze a cui essa porta.
Ma questo “pensiero corto” non si applica solo al passato, ma anche al futuro. Queste centinaia di migliaia di profughi che arrivano andranno integrati. Cosa stiamo predisponendo? Siamo coscienti di quale cultura si portano dietro, e di come renderla compatibile con la nostra? Gli improvvisatori dell’oggi pensano solo a accogliere le quantità, non alla qualità dell’accoglienza. Non tutte le moschee in cui andranno a pregare sono – come le chiese - luoghi di integrazione. In alcuni casi questi disperati si troveranno di fronte a moschee poco raccomandabili, con imam che inciteranno all’odio. Con le tragiche conseguenze che abbiamo già visto in tutta Europa, a partire dalla Francia. E poi: abbiamo un sistema scolastico adatto? I programmi, gli insegnanti, sono pronti? Cosa fare di fronte a quanto avviene sempre più spesso anche in Italia, dove alcuni studenti di origine islamica si rifiutano di assistere alle lezioni sulla Shoah?
Di fronte a questi atteggiamenti dobbiamo prepararci per tempo, in Europa come in Italia. Bene ha fatto in questo senso il leader dei verdi tedeschi Cem Ozdemir (di origini turche) quando ha detto che ai nuovi arrivati bisognerà insegnare loro cosa è stato lo sterminio degli ebrei avvenuto durante la II guerra mondiale e quanto sia centrale nella nostra storia (ricordiamo infatti che in molti Paesi arabi la Shoah viene negata o taciuta apertamente, nelle scuole come nei mass media). Aggiungendo peraltro: “Non abbiamo bisogno di un islam turco o arabo, ma di un islam europeo.”
Senza programmazione, senza un minimo di “pensiero lungo”, queste masse di profughi potrebbero pagare una seconda volta il prezzo della nostra indifferenza, con una mancata integrazione. Ma anche in questo caso le conseguenze, inutile dirlo, ricadrebbero ancora una volta sull’Europa. Senza integrazione avremo infatti nuove rivolte come quelle delle banlieues, nuovi attentati. Davvero vogliamo continuare in questo terribile circolo vizioso?
Davide Romano
Portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, conduttore televisivo, scrittore, autore di opere teatrali, collabora con La Repubblica - Milano