Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/09/2015, a pag. 5, con il titolo "Destra xenofoba e modello in crisi, la Danimarca si sveglia intollerante", cronaca e commento di Francesca Paci.
Anche la Danimarca deve confrontarsi con il problema di mantenere la propria identità di fronte all'ondata di profughi islamici. Negare questa realtà porta a misconoscere la trasformazione che l'Europa sta subendo.
Ecco l'articolo:
Francesca Paci
Profughi in marcia in Danimarca
Come si sente il Paese che con il 7% di disoccupazione e il welfare così efficiente da «stipendiare» gli studenti universitari guida le classifiche globali della felicità a respingere poche centinaia di famiglie in fuga dall’inferno? «È imbarazzante, noi che 70 anni fa abbiamo salvato tanti ebrei dallo sterminio chiudiamo oggi le porte a una manciata di disperati», ragiona lo scrittore 45enne Morten Brask. Sa che almeno la metà dei connazionali condivide il suo sdegno al punto da aver moltiplicato in queste ore i gesti individuali di solidarietà. Ma sono almeno altrettanti quelli che nei giorni scorsi hanno applaudito la scelta del governo di pubblicare sui giornali libanesi un’inserzione in arabo per dissuadere i profughi siriani dal viaggio verso Copenaghen (l’aveva promesso a luglio il ministro per l’Integrazione Stojberg).
Sbloccati i treni per Oslo
La compagnia ferroviaria Dsb conferma ora l’annuncio del capo della polizia Hojbjerg: i collegamenti con la Germania sono stati ripristinati e i treni, fino a ieri bloccati in diverse stazioni con il loro carico di potenziali richiedenti asilo, sono ripartiti alla volta della Svezia, vera meta degli apolidi in cerca di futuro. Ma la frittata è fatta. E non solo perché a ridosso del potente richiamo di Juncker alla solidarietà europea la patria della invidiatissima «flexsecutiry» è parsa assimilabile alla reazionaria Ungheria di Orban. Sono i danesi stessi, nota la volontaria umanitaria Margrethe, a essere pericolosamente confusi: «Due giorni fa la polizia ha bloccato le auto di chi come i tedeschi voleva andarsi a prendere i profughi. Adesso il governo li fa passare purché continuino verso Stoccolma e chiude gli occhi sulle registrazioni con la modalità truffaldina di cui fino a poche settimane fa accusava l’Italia. Ho l’impressione che questa crisi porti al pettine i nodi di un rapporto da sempre controverso con Bruxelles, rifiutando la logica delle quote la Danimarca rifiuta l’“obbedienza” a Bruxelles».
Islamisti bruciano una bandiera danese
Il conto aperto con l’Ue
Ah, l’Europa. Il paradigma del confronto con l’altro per il Paese nordico di 5,5 milioni di abitanti in cui l’assoluto senso di responsabilità di marca protestante cortocircuita con le differenze culturali di chi in assenza di controllore rilutta a pagare il biglietto della metro. La Danimarca è membro dell’Ue dal 1973, ma nel 2000 ha brindato alla bocciatura referendaria dell’euro. Dentro e fuori. Come oggi, che pur partecipando dello spazio Schengen il governo del premier Rasmussen vuole l’ultima parola sulla circolazione delle persone. I numeri restano bassi. Pur essendo in aumento, le richieste d’asilo del 2014 ammontano a 15 mila. Ma già nei mesi scorsi la notizia di un balzo fino al 90% delle domande accettate (nel 2004 ne passavano solo il 10%) aveva azionato l’allarme producendo la legge che limita il permesso di soggiorno per i profughi, dimezza i sussidi e complica il ricongiungimento familiare. L’esodo non si è fermato: da domenica sono arrivati oltre mille rifugiati, di cui meno di 160 intenzionati a restare in Danimarca.
La crisi socialdemocratica
Mads Frese, corrispondente da Roma del quotidiano «Information», legge l’attualità alla luce della politica interna danese in cui pur essendo ormai la seconda forza del Paese il partito popolare rimane all’opposizione per soffiare sul collo del governo il vento gelido del populismo: «Paghiamo il prezzo dell’irresponsabilità di un sistema che negli ultimi 20 anni ha assistito ignavo alla trasformazione del partito popolare da ultraliberista a xenofobo e al diffondersi della convinzione di base secondo cui gli stranieri anziché alimentare il nostro welfare, come in realtà avviene pur tra mille problemi, lo minacciano. Un cataclisma a cui hanno contribuito l’incapacità del partito socialdemocratico di contrapporre argomenti persuasivi e la nuova islamofobia cresciuta nel silenzio degli intellettuali chiusi a riccio in difesa della libertà d’espressione».
La Danimarca migliore è in difficoltà, ammette la 26enne Lin Jensen. Specie mentre candida la sua ex premier Thorning-Schmidt alla carica di Alto rappresentante Onu per i rifugiati al posto di Guterres: «Siamo una società benestante, ma anche piccola e chiusa in cui resiste la paura che mescolandosi si smarrisca la propria identità. Le sinistre hanno grandi colpe, perché non hanno prodotto una corretta narrazione politica». Il risultato è un Paese spaccato, racconta Hanne Leth Andersen, rettore della ultraliberal università Roskilde: «Da giorni si azzuffano alla radio quelli che pagano spazi pubblicitari per dare il benvenuto ai migranti e gli altri ostili ai nuovi ingressi». Come nei film del localmente poco amato regista danese Lars von Trier l’equilibrio è fragile quanto una lastra di ghiaccio. Sotto c’è il buio.
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