Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/09/2015, a pag.13, con il titolo " Gli ebrei italiani premono su Israele contro Nirenstein ambasciatrice ", la cronaca di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari è, tra i giornalisti che hanno riportato la polemica, quello che ne riferisce con precisione ed equilibrio. Lontano dai pettegolezzi di Fabio Scuto su REPUBBLICA. Leggendo il pezzo di Molinari, ne traiamo le seguenti osservazioni:
1. Il titolo è sbagliato, non sono gli ebrei italiani, ma tre esponenti della Comunità ebraica romana, pur essendo nomi più che autorevoli, è scorretto interpretare le loro opinioni confondendole con quelle degli ebrei italiani.
2. L'attività parlamentare di Fiamma Nirenstein è sempre stata, lo sottolineiamo, improntata alla massima trasversalità in tutte le iniziative cui ha dato vita, ampiamente riconosciuto da tutte le forze politiche. Per questo Forza Italia l'aveva candidata, per avere un esponente autorevole che agisse con intelligenza e capacità sulla questione mediorientale. Come è avvenuto.
3. La questione della doppia identità italiana e israeliana, è talmente di lana caprina, che non viene mai sollevata da nessuno per nessuno, meno che mai per esponenti politici italiani. Solo per Nirenstein sì ? e perchè ?
4. Tra chi si oppone al suo incarico c'è pure Moni Ovadia, basterebbe questo per dire sì senza esitazione.
5. Concludiamo con il finale del pezzo di Molinari, che ci auguriamo cancelli questa sgradevole e inutile polemica, iniziata forse più per motivazioni personali : "Rassicurata da numerose attestazioni di solidarietà e sostegno che le giungono tanto da ebrei italiani che da esponenti politici del nostro Paese, di diverso orientamento politico: documenti che la rassicurano sull’infondatezza delle tesi sollevate contro la sua designazione"
Ecco la cronaca:
Ripensate la nomina di Fiamma Nirenstein ad ambasciatrice d’Israele in Italia: a recapitare questo messaggio al presidente Reuven Rivlin è stato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, durante un incontro privato a cui erano presenti il presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, e il presidente della Comunità di Roma, Ruth Dureghello. Arivelare i contenuti del colloquio è il quotidiano «Haaretz » con un racconto dettagliato firmato da Barak Ravid, commentatore politico, citando fonti israeliane testimoni di quanto avvenuto. Il colloquio si è svolto nella sala privata della Sinagoga di Roma, a margine del discorso pubblico rivolto da Rivlin alla comunità locale. In quella sede, a porte chiuse, Di Segni ha fatto presenti due obiezioni che «Haaretz» riassume così. Primo: «Grande preoccupazione per l’impatto negativo per la Comunità ebraica e le relazioni fra Israele e Italia» per la sovrapposizione fra le due identità di Nirenstein. Secondo: «Nirenstein è quasi del tutto identificata con la destra in Italia e ciò può avere conseguenze negative perché il governo è di sinistra». Dietro le tesi espresse da Di Segni, affiancato da Gattegna e Dureghello, ci sono alcune recenti prese di posizioni pubbliche molto critiche. Su «Moked », il portale dell’ebraismo italiano, l’anglista Dario Calimani ha espresso «il dubbio che una persona che ha avuto un ruolo attivo e assai visibile nella vita politica italiana, con incarichi istituzionali, ricopra in Italia un ruolo di rappresentanza di Israele». E Alberto Heimler, su «Pagine Ebraiche», si è chiesto: «È compatibile la fedeltà completa a un altro Paese da parte di qualcuno che fino a ieri rappresentava il popolo italiano in Parlamento?». Il ruolo della Diaspora Rivlin ha declinato la richiesta di intervento diretto sulla nomina di Nirenstein, fatta dal premier e ministro degli Esteri Benjamin Netanyahu nel novero delle scelte di «ambasciatori politici», facendo presente che «non possiedo autorità né responsabilità per intervenire su tale materia». Ma chi ha ascoltato il discorso di Rivlin nella Sinagoga di Roma ha recepito attenzione per le istanze sollevate, lì dove ha affermato che «lo Stato di Israele deve tenere conto delle opinioni delle Comunità della Diaspora» perché «è finito il tempo in cui, quando io ero bambino, Israele decideva e la Diaspora doveva limitarsi a eseguire». Se «Haaretz» ha dato risalto alle obiezioni dei rappresentanti degli ebrei italiani è perché nel processo di selezione di un ambasciatore il ministero degli Esteri di Gerusalemme tiene, per tradizione, conto delle opinioni della Comunità locale. Non è un obbligo di leg-ge e non sono vincolanti ma è una convenzione creatasi nel tempo che a volte è stata decisiva: per esempio nel 2004 il ministro degli Esteri Ehud Olmert voleva designare ambasciatrice a Londra, con nomina politica, Dalia Itzik, primo presidente donna della Knesset, ma le proteste della Comunità ebraica londinese spinsero il premier Ariel Sharon a preferirle il diplomatico di carriera Zvi Heifetz. Netanyahu va avanti A confermare che «Haaretz», giornale progressista molto critico del premier, punti a sfruttare la nomina di Nirenstein per indebolire Netanyahu ci sono le fonti interne al ministero che descrivono la giornalista italo-israeliana come «identificata con l’ala destra del Likud» avversaria di Rivlin. Nirenstein non replica ad accuse e polemiche, lavora nella sua casa di Gerusalemme su procedure, documenti e briefing relativi al processo di nomina, in vista dell’approvazione formale da parte del comitato ad hoc del ministero degli Esteri. Rassicurata da numerose attestazioni di solidarietà e sostegno che le giungono tanto da ebrei italiani che da esponenti politici del nostro Paese, di diverso orientamento politico: documenti che la rassicurano sull’infondatezza delle tesi sollevate contro la sua designazione