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La Stampa Rassegna Stampa
08.09.2015 Le tre guerre che insanguinano la Siria
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 08 settembre 2015
Pagina: 3
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «A ognuno la sua guerra: Occidente, russi e turchi avanti in ordine sparso»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/09/2015, a pag. 3, con il titolo "A ognuno la sua guerra: Occidente, russi e turchi avanti in ordine sparso", l'analisi di Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

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Bashar al Assad con Vladimir Putin

Teheran e Mosca inviano uomini e mezzi per sostenere il regime di Bashar Assad, i Paesi sunniti aumentano la pressione militare aerea contro Isis sostenuti da Francia e Stati Uniti, e la Turchia combatte senza tregua i curdi: in Siria e nel Nord dell’Iraq sono in corso tre differenti interventi militari, espressione degli interessi contrastanti di potenze rivali che minacciano di collidere. Ecco, nel dettaglio, di che cosa si tratta.

Schierati con Assad
L’avanzata dei ribelli islamici dell’«Esercito della Conquista» può spaccare in due quel 25 per cento di Siria ancora nelle mani di Assad. Avanzando nella pianura di Sahl al-Ghab questi gruppi islamici, sostenuti dai razzi anticarro arrivati da Riad ed Ankara, possono tagliare la strada che unisce Homs e Latakia ovvero separare Damasco da Latakia sulla costa alawita. Assad può finire imbottigliato: è per evitarlo che Mosca e Teheran hanno deciso di muoversi in forze.

La tattica è stata decisa nella recente visita a Mosca di Qassem Soleimani, capo della Forza Al Qods ovvero le milizie iraniane che operano all’estero. L’accordo è evidenziato da quanto sta avvenendo sul terreno, descritto da fonti siriane: Teheran fa affluire «ingenti rinforzi» a Damasco mentre Mosca «accresce la cooperazione militare» a Latakia, prendendo in considerazione l’invio di truppe.

La Siria ancora in mano ad Assad viene così divisa in due cantoni: l’Iran invia pasdaran, miliziani sciiti iracheni ed Hezbollah per difendere l’area di Damasco e le strade verso il Libano mentre la Russia è la protettrice della costa alawita dove possiede le basi per la flotta del Mediterraneo. Ciò significa blindare ciò che resta del regime, a prescindere da quanto avviene altrove.

Attacco frontale all’Isis
I Paesi sunniti, guidati da Riad e Ankara, hanno come priorità l’indebolimento dello Stato Islamico (Isis) che al momento controlla quasi il 50 per cento della Siria. Vogliono favorire l’offensiva di terra dell’Esercito della Conquista, che include in alcune aree anche Al Nusra, espressione di Al Qaeda. Da qui l’aumento della pressione dei raid aerei: il Qatar fa arrivare i jet nelle basi turche, Ankara consente ai droni Usa di eseguire più attacchi e Riad ottiene dal Pentagono la tecnologia del puntamento satellitare per colpire da grande distanza, senza rischiare i piloti. I Paesi sunniti vogliono impossessarsi del 75 per cento della Siria, ovvero l’area abbandonata da Assad dove russi e iraniani non si avventurano.

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Quello che rimane di una città siriana


Per l’Italia c’è il nodo libico
L’Occidente sostiene l’intensificazione della campagna aerea sunnita. Per questo Parigi inizia i voli di ricognizione sulla Siria, premessa ai raid. Ma l’accelerazione militare in Siria non trova il sostegno dell’Italia, protagonista di un approccio diverso alle crisi in atto: nel Nord Iraq è per il consolidamento, anche militare, del Kurdistan e in Libia spinge per l’accordo fra le fazioni. Lo fa puntando a creare, o consolidare, aree di stabilità dove ci sono le condizioni. Anche Staffan De Mistura, inviato speciale Onu, preme per soluzioni politiche: «Il conflitto può finire in un mese con un dialogo a quattro fra Usa, Russia, sauditi e iraniani».

Ankara bersaglia i curdi
In tale cornice la Turchia di Recep Tayyp Erdogan intensifica una campagna militare tutta sua contro i curdi, iniziata a metà agosto. Gli aerei di Ankara nelle ultime 36 ore hanno colpito 23 basi del Pkk - i guerriglieri curdi della Turchia – in Siria e Nord Iraq – in risposta all’agguato subito domenica sera a Daglica, ai confini con l’Iraq, dove sono stati uccisi almeno 31 soldati di turchi nell’esplosione di due blindati.

Erdogan sostiene l’accelerazione sunnita contro Isis come copertura tattica per la propria guerra ai curdi grazie a cui vuole scongiurare la nascita del Kurdistan e vincere le politiche del 1 novembre. Ma si espone a rischi: Isis ha rapito il primo soldato turco e recapitato ad Erdogan un video in cui lo accusa di «tradimento» per aver concesso le basi agli aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti.

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