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L’aspetto politico del problema dei rifugiati Commento di Zvi Mazel (Traduzione di Angelo Pezzana)
Per la maggior parte dei media, le ondate di rifugiati che cercano di raggiungere le coste europee rappresentano soltanto un aspetto umanitario e i paesi che si rifiutano di accoglierli, costruendo muri di separazione, vengono severamente condannati. Se è vero che la grave condizione di centinaia di migliaia di esseri umani perseguitati deve essere affrontata con solidarietà e aiuto, i media e i leader europei non sembrano pronti ad affrontare la situazione. Eppure quanto avviene non rappresenta certo una sorpresa. Da anni i rifugiati cercano di entrare nel vecchio continente e le ragioni sono ovvie. Malgrado ciò, l’Europa non ha fatto nulla, nella errata previsione che una qualche soluzione si sarebbe verificata. L’Onu avrebbe dato una mano e in qualche modo i rifugiati si sarebbero mescolati alle popolazioni locali. Nessun tentativo è stato fatto per risolvere il problema quando si era ancora in tempo ed ora un numero sempre più grande di migranti in cerca di un rifugio raggiungendo le coste minacciano la pace e il tradizionale stile di vita degli europei. Una risposta coraggiosa e di vasta portata deve essere trovata per affrontare quella che è diventata una emergenza, anche a costo di allontanarsi dal solo aspetto umanitario. I rifugiati arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente, due parti del mondo dove conflitti, disastri naturali e fame sono causati dal mancato sviluppo economico, estrema povertà, malattie e disoccupazione. Un’Europa ricca, ancora piena di sensi di colpa per il proprio passato coloniale, ha scelto di non vedere ciò che stava avvenendo e ha lasciato entrare nei passati 50 anni milioni di migranti in cerca di rifugio, in gran parte in cerca di lavoro per una vita migliore , la maggior parte di loro entrata illegalmente. È vero che i paesi europei hanno una bassa natalità: 1.6, mentre dal punto di vista dell’economia dovrebbe essere di almeno 2.11 per sostenere la crescita della popolazione. Per questo cercano disperatamente lavoratori per poter sviluppare le loro economie. Oggi si stima che vi siano circa 30 milioni di ‘rifugiati’, in maggioranza musulmani, che rifiutano di integrarsi nei paesi che li ospitano. Vogliono preservare la loro identità culturale e religiosa, imponendo il loro stile di vita islamico. Inevitabilmente molti non trovano lavoro e finiscono negli ambienti dello spaccio delle droga e del crimine. In alcune aree provocano l’abbandono degli abitanti creando situazioni che non garantiscono più la sicurezza. Spesso i media si rifiutano di pubblicare i nomi di chi è coinvolto in incendi dolosi, dimostrazioni violente e, peggio, evitano di pubblicarne i nomi, definendoli solo ‘giovani’. Con il risultato che i partiti di estrema destra, che si oppongono all’aumento del numero dei rifugiati, si rafforzano, come dimostra il successo nelle ultime elezioni parlamentari di Francia e Svezia, oltre a Grecia e Ungheria. E cresceranno ancora, fintanto che i partiti tradizionali, di sinistra come di destra, non affronteranno il problema. In alcuni paesi, come la Danimarca, sono state approvate alcune leggi per ostacolare l’arrivo di rifugiati. Ma è un caso isolato. Nel frattempo guerre e disastri spingono sempre più persone in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente verso la salvezza in Europa, sicure che nessun paese avrà il coraggio di rimandarli indietro. Campi di rifugiati in Giordania, Turchia e Libano sono sovraffollati e le popolazioni locali protestano perché l’aumento dei rifugiati metterà a rischio la stabilità del regime. I leader europei sono consci della minaccia rappresentata dall’arrivo nei loro paesi dei rifugiati, anche se lo dicono apertamente. Cominciano a capire che è stato un errore rovesciare Gheddafi, dopo che aveva accettato di smantellare il programma nucleare, diventando filo occidentale. Sotto il suo regime nessun rifugiato poteva arrivare in Europa partendo dalla Libia. Per quasi cento anni il potere coloniale ha governato l’Africa e i legami culturali e di lingua sono ancora forti malgrado i poteri del passato non dimostrino più molto interesse aldilà di una assistenza finanziaria e tecnica.
La corruzione è diffusa, i feudi tribali e le guerre si intensificano, alimentati dalla crescita dell’islam estremista che crea problemi in Kenya, Sudan, Nigeria, Costa d’Avorio e Mali. Nel Medio Oriente, il cosiddetto Stato Islamico è impegnato a distruggere gli stati-nazione, come Iraq e Siria, che furono creati dall’Europa dopo la prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero ottomano. Nel frattempo cresce il tradizionale antagonismo tra Siria e l’islam sunnita, con l’Iran che persegue il suo obiettivo di dominare la regione contro la dura opposizione dei paesi sunniti, guidati da Egitto e Arabia Saudita. Sarebbe stato logico per tutti, certamente per i leader europei, che un insieme così fragile e con una povertà così diffusa non poteva essere frenata per sempre e che si sarebbero trovati in prima linea. Eppure nulla è stato fatto. L’Europa si è disinteressata del Medio Oriente dopo la Campagna di Suez del 1956, passando la mano agli Stati Uniti. Ora l’America, sotto la leadership di Obama, ha abbandonato la regione all’Iran, tradendo alleati di lunga data come l’Egitto, Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo, per cui più nessuno è in grado di esercitare alcuna influenza. L’Europa paga il prezzo sotto forma di milioni di gente disperata in fuga. Come trovare una soluzione a un problema che non si vuole affrontare ? La Cancelliera Merkel ha dimostrato solidarietà accettando 800.000 rifugiati, mentre l’Europa dell’Est, un punto di arrivo, costruisce confini e muri. Ma né muri né solidarietà risolveranno il problema, per cui lasciare entrare sempre più persone non farà altro che accelerare l’esodo dal Medio Oriente e dall’Africa. Ci vorrebbe una decisione coraggiosa per arrivare a una soluzione, ma ci chiediamo se l’Europa è pronta per trovarla. Ciò che serve è affrontare la vicenda mediorientale. Mandare truppe in Siria insieme agli Usa, che dovrebbero cambiare la loro politica. In Siria devono essere create delle aree sicure, con la collaborazione della Turchia, in modo che la popolazione possa ricostruire le proprie vite. Nello stesso tempo, l’Europa deve prendere l’iniziativa in Africa, attraverso cooperazione e incentivi, programmi di sviluppo su larga scala che offrano lavoro e speranza alle popolazioni. Impossibile, qualcuno penserà. Eppure è questa la posta in gioco per la sopravvivenza dell’Europa. Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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