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La Stampa Rassegna Stampa
07.09.2015 'Pecore in erba', il film che fa ridere la Biennale di Venezia mettendo l'antisemitismo alla berlina
Alberto Mattioli recensisce la pellicola diretto da Alberto Caviglia

Testata: La Stampa
Data: 07 settembre 2015
Pagina: 1
Autore: Alberto Mattioli
Titolo: «L'antisemitismo incontra la satira, e alla Mostra finalmente si ride»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/09/2015, a pag. 1-28, con il titolo "L'antisemitismo incontra la satira, e alla Mostra finalmente si ride", la recensione di Alberto Mattioli al film "Pecore in erba", di Alberto Caviglia.

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Alberto Mattioli, Alberto Caviglia

E al settimo giorno, Venezia rise. Dopo una settimana di ibernati sull’Everest, tragedie, lutti, preti pedofili, bambini soldato, operazioni che vanno male, soprani stonati e altre calamità, finalmente un po’ di divertimento. Doppio merito perché il film è italiano, triplo perché non lo sembra, quadruplo perché, ridendo e scherzando (ma si sa che nulla è più serio dello scherzo) affronta un tema importante e doloroso come l’antisemitismo. S’intitola Pecore in erba e lo firma un debuttante, Alberto Caviglia. Se andrete a vederlo, state attenti alla mascella: potreste slogarvela. La formula è quella, non nuova, del «mockumentary», il falso documentario che sembra più vero di quelli veri. Siamo nell’estate del 2006.

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Da sei mesi è scomparso nel nulla Leonardo Zuliani, attivista per i diritti civili, genio della comunicazione, fumettista di successo, scrittore, stilista, imprenditore, insomma un’icona nazionale. Un imponente corteo lo ricorda a Roma, in diretta su Sky, con Mentana smitragliante in studio, i manifestanti con il cartelli «Je suis Leonard», le bandiere, gli slogan, la mamma e la sorella acclamate dalla folla, insomma tutto il solito impegno prêt-à-porter e la consueta commozione a favor di telecamera. Uno speciale tivù ricostruisce vita e opere del caro forse estinto, di certo sparito.

Soltanto, e qui sta il colpo di genio, Zuliani è un antisemita. Un antisemita forsennato, compulsivo, genetico, tanto che quando da scout scopre che Cristo era ebreo si riempie di bolle. Grazie a lui, l’antisemitismo diventa politicamente corretto e quella che le anime belle devono combattere è l’antisemifobia, insomma l’anti-antisemitismo. Fra i diritti civili, c’è anche quello di odiare gli ebrei. Zuliani inventa una versione «corretta» della Bibbia dalla quale è espunto ogni riferimento agli ebrei; Zuliani vende il kit da corteo comprensivo di bandiera israeliana e della benzina e dello zippo per darle fuoco; Zuliani inaugura una catena di fast food che cucinano solo ingredienti non kosher; Zuliani lancia il profumo «Eau d’aryen», la linea d’abbigliamento «Baci & breacci», il gioco da tavolo «Ghettopoli»; Zuliani pubblica una nuova guida turistica del Medio Oriente dalla quale sparisce Israele e resta solo la Palestina; Zuliani va ospite da Fazio e dalla Venier; Zuliani viene lodato, commentato, recensito da Freccero, Cazzullo, Elio, Augias, Sgarbi, De Cataldo, Linus, Brass, De Bortoli (tutti «veri», nella parte di loro stessi). Gli viene dedicato un film strappacore, con Vinicio Marchioni e Carolina Crescentini come lui e la sua fidanzata, e rilancia il cinema italiano con titoli come Forni felici, L’usuraio licantropo e In fretta e Führer.

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Una scena del film


Tutti i luoghi comuni dell’antisemitismo sono rivoltati come un calzino. Nelle sue sedute psicanalitiche con il professor Castrucci che tenta di capire gli strani comportamenti del ragazzo, Zuliani dà fondo al repertorio. Gli ebrei hanno ucciso Cristo? Sì, ma anche Confucio, il Buddha e la mamma di Bambi. Gli ebrei controllano la finanza, i media, lo showbusiness. Gli ebrei sono avidi, hanno il naso adunco e la voce acuta.

Come film, Pecore in erba è spassoso. Come satira dell’antisemitismo, efficacissima. Tanto più che gli antisemiti li prende di mira tutti, dai fascisti ai cattolici a quelli di sinistra che nei cortei pro palestinesi equiparano la stella di Davide alla svastica. Lui, Caviglia, è un ebreo romano di 31 anni, fondamentalmente serio e perfino un po’ malinconico come tutti i veri umoristi: «Rido per non piangere». E infatti dice cose serissime, che l’antisemitismo c’è, anche in Italia, che forse non è in crescita ma certamente è vivo, che si manifesta in molte forme diverse, che è un problema culturale e che il suo film è un modo per affrontarlo.

Soltanto, e qui sta la novità, Caviglia difende una posizione giusta e politicamente corretta come la lotta contro l’antisemitismo ma non lo fa con i modi predicatori o ricattatori del cinema «buono» e impegnato che ci viene ammannito anche qui a Venezia. In mezzo a quest’orgia di nobili sentimenti e buone cause progressiste che non puoi non condividere, a questi ditini perennemente alzati per ricordarti che è scorretto fare questo e non si può dire quest’altro, finalmente una sana, liberatoria, consolatoria risata. Molto più efficace, fra l’altro. Come diceva quell’altro allegrone, Giacomo Leopardi: «Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova se munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire». Forza pecore.

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