Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/09/2015, a pag.34, con il titolo "Nel deserto del Negev i segreti dei maghi anti-hacker" il reportage di Alberto Flores D'Arcais, di grande interesse non solo per chi segue l'informazione elettronica.
In alto: il marchio dell'azienda CyberArk
In basso: Alberto Flores D'Arcais
Lo chiamano commjacking , si tratta molto semplicemente delle manipolazioni e intercettazioni di reti wi-fi e cellulari. Quello che ha in mano lei adesso, ma anche quelli di coloro che credono di essere molto più protetti». Dror Liwer è il “chief security officer” della CoroNet, piccola e supertecnologica azienda israeliana che ha creato un prodotto particolare: un software in grado di identificare (e disabilitare) un “intruso” che ha hackerato il nostro smartphone o la rete wi-fi di casa. I cyber-lab della Jerusalem Venture Partners (Jvp) si trovano in un modernissimo palazzo di Be’er Sheva, in quel deserto del Negev che è diventato il cuore pulsante della “start up nation”, l’Israele hi-tech le cui aziende finiscono sempre più spesso nella borsa della spesa dei colossi della Silicon Valley. A pochi chilometri da qui, nei villaggi beduini sparsi lungo il deserto, la storia e le tradizioni sembrano ferme a secoli fa, in un contrasto tra passato e futuro destinati a fondersi più velocemente di quanto si possa credere. «Un esempio? La società recentemente creata da Ibrahim Sana, un beduino laureato alla Ben Gurion University del Negev, che dopo avere lasciato la Cisco ha lanciato la sua Software Tester Enterprise». Dror torna a spiegare il progetto della CoroNet, pronto a essere commercializzato «entro la primavera 2016». Snocciola qualche cifra sugli hackeraggi commerciali degli ultimi mesi («cinquemila hotel in Asia, oltre due milioni di Bmw in tutto il mondo, 300mila router di case private solo in Europa, in maggioranza in Inghilterra ») e spiega come «tutti i dati rubati sono finiti in Russia». Con il progetto CoroNet chiunque di noi potrà, in un futuro prossimo, avere una app in grado di bloccare gli intrusi. Nel mondo di oggi la cyber-sicurezza è uno dei più grandi problemi ed è quasi inevitabile che Israele sia una eccellenza in questo campo. Nel Negev stanno per essere portate anche delicatissime strutture dell’apparato militare e di intelligence, ma per le aziende civili è già da tempo la nuova Silicon Valley del mondo globalizzato. «Il mondo è il nostro mercato, qui funziona un ecosistema hi-tech con tre linee direzionali: militare, creativo-culturale e accademico ». Yoav Tzruya è uno dei partner dei cyber-lab e illustra con soddisfazione la “start up nation”: 5mila società attive, 290 multinazionali, seconda solo alla Silicon Valley originale «tra i grandi hub globali innovativi di tutto il pianeta». «Molte società straniere vengono qui dopo aver già acquistato una start up israeliana (celebre il caso di Google con Waze)», aggiunge Gadi Tirosh, altro partner Jvp. «L’85% degli investimenti iniziali arrivano grazie a fondi governativi. Se un’azienda fa profitti, ne restituirà una buona parte, se fallisce non ha penali. Percentuale di successo? Più o meno 50%, che è quanto ci aspettiamo proprio perché il carattere altamente innovativo e le idee altrettanto innovative o visionarie hanno inevitabilmente una parte di insuccessi». Con 550 milioni di persone colpite da cyber-attacchi nel mondo e un costo complessivo di 491 miliardi di dollari per aziende e privati hackerati, le società che si occupano di sicurezza informatica hanno ovviamente un futuro garantito. Come la CyberArk, specializzata nella difesa delle aziende, ha 1900 clienti nel mondo e una crescita del 70 per cento nell’ultimo anno, o la Navajo System (sicurezza del cloud). C’è la Argus, con il suo peculiare management: è stata fondata ed è diretta dai veterani della Unit 8200, famosa unità dell’intelligence dello Stato ebraico. Civili, militari, accademia. Tre mondi che come accade in (quasi) tutti gli altri campi della vita israeliana si incontrano e s’intersecano come in nessun altro paese del mondo. «La questione è semplice», spiega Deron Davidson, vicepresidente di SecBi altra azienda di punta nel cyber-deserto del Negev: «I nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno una leva obbligatoria da tre (per i primi) a due anni (per le seconde) e i militari, le unità d’élite in primo luogo selezionano i migliori “cervelli” da usare ad esempio nell’intelligence. L’esercito è una grande palestra per le start up e non è un caso che sono moltissimi i giovani imprenditori o i genietti dell’hi-tech che arrivano proprio da lì ».
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