E' morto Oliver Sacks (1933-2015). Riprendiamo dalla STAMPA e da REPUBBLICA due articoli, il primo di Paolo Mastrolilli, a pag.23, il secondo di Roberto Calasso, il suo editore italiano, a pag.46
L'editore Adelphi, che ha pubblicato tutti i suoi libri, annuncia la prossima uscita di " In Movimento ", l'autobiografia. Il 28 agosto REPUBBLICA ne ha ripreso un capitolo, che IC ha pubblicato, ecco il link: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=59286
in alto, una immagine recente di Oliver Sacks
in basso la copertina della autobiografia, in uscita a ottobre da Adelphi, con il titolo " In Movimento"
La Stampa-Paolo Mastrolilli: " L'immortalità ? Se esistesse, ci farebbe un grave danno "
Paolo Mastrolilli
«Non credo nell’immortalità e penso che, se esistesse, farebbe un grave danno al genere umano. Io mi accontento di vivere ancora qualche anno in buona salute, per provare le mie gioie, e poi togliere il disturbo». Così parlava Oliver Sacks alla fine del 2012, presentando il suo libro Allucinazioni, e non ci sono motivi per pensare che abbia cambiato opinione. Due settimane fa infatti aveva pubblicato un articolo dedicato allo Shabbat, lui ebreo non credente, in cui spiegava che «ora, debole, col fiato corto, i miei muscoli un tempo solidi sciolti dal cancro, trovo i miei pensieri concentrati non sul soprannaturale o lo spirituale, ma su cosa significhi vivere una vita buona e degna, ottenendo un senso di pace con se stessi. Trovo i miei pensieri che vanno alla deriva verso lo Shabbat, il giorno del riposo, il settimo giorno della settimana, e forse anche il settimo giorno nella vita di un essere umano, quando uno può sentire che il suo lavoro è compiuto, e può, in buona coscienza, riposare». Allucinazioni era il libro che Sacks aveva dedicato alle sue esperienze allucinogene, molto prima di sapere che le metastasi del melanoma sofferto a un occhio lo stavano condannando a morte. Aveva confessato che negli Anni Sessanta, quando era scappato in California dalla madre ortodossa, che lo considerava un abominio per il fatto di essere gay, aveva provato Lsd, cannabis, e anche iniezioni di morfina, al punto di sfiorare la tossicodipendenza. Eppure queste esperienze non gli avevano offerto alcuna rivelazione religiosa. Anzi, nel libro aveva smontato Dostoevskij, che scambiava le sue crisi epilettiche per visioni di Dio, e soprattutto un collega neurologo, che dopo le allucinazioni subite a causa di un incidente aveva scoperto Dio: «Mi spiegò che gli parlava direttamente, senza fare uso del suo cervello. Una negazione della scienza, che mi lascia molto perplesso. Fatico a comprendere uno scienziato che nega se stesso, e va contro le sue conoscenze più radicate e dimostrate». Questo era Sacks, oltre i veleni degli invidiosi che lo accusavano di «aver scambiato i suoi pazienti per una carriera letteraria». Uno scienziato fuggito dalla fede per la durezza con cui la interpretavano i suoi genitori ortodossi, determinato a spiegare con la scienza anche le allucinazioni religiose. Fino al giorno del suo Shabbat.
La Repubblica-Roberto Calasso: " Si chiedeva cosa poteva fare anche per le piante o i minerali "
Roberto Calasso
Una domenica di qualche anno fa, a New York, Oliver ebbe l'idea di andare al parco della Botanical Society. Uno dei suoi luoghi prediletti e uno dei luoghi paradisiaci nel mondo. I visitatori non erano numerosi. Oli-ver aveva una maglietta con una scritta che si riferiva al sistema periodico ed era un uomo felice. Soprattutto quando arrivammo al grandioso reparto delle felci. Oliver aveva per le felci un profondo affetto, come verso familiari muti e fedeli, sempre presenti. L'idea che i sentimenti fossero qualcosa che si rivolge solo a esseri umani, o anche ad animali, ma non al mondo vegetale o anche all'inanimato gli era del tutto estranea. In uno dei suoi ultimi scritti parlava con tenerezza di un cilindro e di una sfera fatti di bismuto che teneva sul suo tavolo. Per lui, agivano come talismani. Erano frammenti di «un metallo grigio, modesto, spesso poco stimato ignorato, persino dagli amanti dei metalli». Il bismuto, come le felci, gli era vicino, non meno dei suoi colleghi e dei suoi pazienti. Ricordo un giorno di parecchi anni fa, a Spoleto. Uscivamo da un ristorante qualsiasi e, davanti alla porta, Oliver vide una felce impolverata e sicuramente trascurata da sempre. Intorno, c'erano soltanto pietre e asfalto. La guardò come un essere in difficoltà, con grande simpatia. Si domandò che cosa si poteva fare per quella pianta, che cosa avrebbe potuto aiutarla. Era la domanda che Oliver si poneva e si sarebbe posta innumerevoli altre volte. Da quella domanda nasceva la sua opera.
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