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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Francesca D’Aloja - Anima viva - 27/08/2015

Anima viva
Francesca D’Aloja
Mondadori euro 19,00

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Attrice, sceneggiatrice e regista, Francesca D'Aloja da circa dieci anni ha deciso di dedicarsi prevalentemente alla scrittura: in queste settimane arriva nelle librerie il suo secondo romanzo 'Anima viva', pubblicato da Mondadori, come il primo 'Il sogno cattivo' del 2006. Anche qui, come nella prima opera, la scrittrice, parte da una storia intima, particolare, per raccontare un pezzo di storia universale, che nel caso del 'Sogno cattivo' erano gli anni di piombo e in 'Anima viva' è l'Olocausto, o meglio, come tiene a sottolineare "le conseguenze dell'Olocausto nella storia di una ventenne che vive ai giorni nostri".

"Anche questa volta ho scelto un tema forte -spiega- sono attratta dai temi forti. Questa volta ho affrontato il male con la M maiuscola. 'Anima Viva' è la storia di una ragazza di vent'anni, Angelika, che vive negli anni 2000 a Parigi una vita normalissima insieme al padre, fino a che nel giorno del suo compleanno il padre muore in modo assurdo. Da quel giorno Angelika rimane sola e mentre elabora il lutto, aprendo l'armadio del padre si accorge che c'è una cassaforte che custodisce il segreto della sua famiglia: non è francese ma tedesca ed è nipote di un criminale nazista, che è stato comandante crudele del campo di concentramento Majdanek. Questo sconvolge l'idea che ha di sé e del mondo. E decide di fare qualcosa per dare una svolta, quasi per espiare questo passato, seguendo un segno che trova sempre tra quei cimeli".

L'autrice scandaglia un tema bruciante da un'angolazione particolare: chiedendosi che cosa provino i figli e i discendenti dei carnefici, incolpevoli eppure lambiti dall'ombra dell'orrore. E lo fa attraverso un personaggio molto fresco, una ventenne di oggi, allegra, piena di progetti, inconsapevole. Ed un racconto disseminato di colpi di scena. Nel suo precedente romanzo, anche per motivi anagrafici, la presenza di riferimenti autobiografici al periodo della lotta armata era forte (anche grazie al documentario 'Piccoli ergastoli' realizzato con Valerio Fioravanti nel 1997). Ma anche questa volta non sono mancati personaggi reali che hanno ispirato l'autrice: "Il contatto più diretto che io ho avuto con l'Olocausto è stato quello con Edith Bruck, scrittrice e poetessa sopravvissuta ad una lunga deportazione ad Auschwitz, a Dachau, a Christianstadt e Bergen-Belsen, alla quale il libro è infatti dedicato. L'ho conosciuta in quanto moglie di Nelo Risi, fratello di Dino, che per molti anni è stato mio suocero (Francesca è stata a lungo sposata con Marco Risi, figlio di Dino ndr.). Per me Edith è sempre stata un esempio di coraggio. Poi sono stata ad Auschwitz e lì è scattato qualcosa: il vuoto di oggi fa orrore quanto le immagini dell'epoca del nazismo.

Ma questo non è un libro sull'Olocausto, è un libro ambientato nel presente, è un libro sulle conseguenze. Mi sono sempre interessate le conseguenze delle azioni mosse dal male". Rimasta delusa dalla mancata trasposizione cinematografica del suo primo romanzo ("ero partita con l'idea di fare io la regia perché lo sentivo molto mio, avevo lavorato alla sceneggiatura, con più stesure, sapevo che era un film costoso perché ambientato negli anni '70 e quindi in costume ma eravamo ad un passo dalla produzione quando le porte si sono chiuse ed è stata una cosa piuttosto traumatica perché ci avevo creduto moltissimo"), Francesca non esclude che 'Anima viva' possa diventare un film ma non con la sua regia.

"Se devo pensare al regista che mi piacerebbe lo girasse penso a Roman Polanski. E poi - spiega - questo è un film fattibilissimo, a basso costo. Quasi tutti interni. Ci sono pochissimi esterni. Due protagonisti. Se dei produttori dovessero interessarsi ad una trasposizione mi piacerebbe partecipare alla sceneggiatura ma non ambirei alla regia. E il regista ideale sarebbe Polanski, a cui mi sono ispirata anche nel libro ascoltando una sua intervista in cui raccontava la sua infanzia a Cracovia. E poi sarebbe un film già internazionale nell'ambientazione: Francia, Inghilterra, Germania. Poi per carità ci sono tantissimi registi italiani bravi. Adorerei anche Bellocchio". Prima di scegliere la scrittura come espressione artistica in cui si sentiva più a suo agio, Francesca D'Aloja ha recitato in oltre 20 film tra la metà degli anni '80 a due anni fa, lavorando con grandi maestri del calibro di Ettore Scola ('La cena' del 1998) e partecipando ad esordi importanti come quello di Ferzan Ozpetek ('Il bagno turco' del 1996), solo per citare due esempi, poi si è via via allontanata dai set. "Intanto perché - spiega D'Aloja - nei film italiani i ruoli interessanti per le donne che hanno passato la trentina non abbondano. Carriere come quelle di Meryl Streep o Diane Keaton, che restano icone anche avendo superato una certa età, non ne vedo. In più io ho una fisicità molto particolare: un regista si deve proprio innamorare di me. Costruirmi il personaggio addosso. E nelle commedie italiane che vediamo negli ultimi anni non ci sono probabilmente ruoli che mi si addicono. Poi in fondo la verità è che io ho una tendenza all'isolamento che si abbina meglio alla scrittura che al set. Per carità se mi chiamassero per un ruolo interessante ci andrei". E proprio parlando dei suoi esordi, all'indomani del quindicesimo anniversario della scomparsa di Vittorio Gassman, Francesca D'Aloja ci tiene a ricordarlo, dal momento che con lui ha lavorato in teatro all'inizio della sua carriera e lo ha conosciuto bene anche fuori dalle scene essendo stata a lungo fidanzata con il figlio Alessandro quando erano molto giovani: "Passavamo molto tempo a casa loro. Abbiamo fatto anche delle tournée insieme. Per me è stato una figura paterna importante, anche perché mio papà era scomparso quando io avevo 14 anni. E lui gli somigliava molto anche fisicamente. Spesso mi sono illusa di essere sua figlia. Una volta gliel'ho proprio detto se poteva farmi da papà. Ho proiettato su di lui i miei bisogni. E quindi oltre all'attore, all'artista che è patrimonio di ognuno di noi, io penso sempre a lui come uomo, che era l'opposto di quell'istrione che si poteva immaginare: in realtà era timido, fragile, di un'intelligenza molto sofisticata e di un senso dell'umorismo straordinario. Una grandissima persona".

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