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L'Espresso Rassegna Stampa
21.08.2015 'Mein Kampf': in uscita in Germania l'edizione critica, fino a oggi era proibito
Stefano Vastano intervista Andreas Wirsching, curatore dell'edizione critica

Testata: L'Espresso
Data: 21 agosto 2015
Pagina: 86
Autore: Stefano Vastano
Titolo: «Mein Kampf, che scoperta»

Riprendiamo da L'ESPRESSO di oggi, 21/08/2015, a pag. 86-87, con il titolo "Mein Kampf, che scoperta", l'intervista di Stefano Vastano a Andreas Wirsching, direttore dell'Istituto storico bavarese e curatore dell'edizione critica.

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Andreas Wirsching

Ventisette capitoli intrisi di razzismo, feroce antisemitismo e dell'apoteosi della guerra, fine ultimo della politica. "Mein Kampf", insieme autobiografia e programma politico di Adolf Hitler, è uno dei testi più violenti (e noiosi) della storia. Pubblicato nel luglio del 1925, questo furioso "Corano della fede e della guerra", come lo ribattezzò Churchill, è sino ad oggi un bestseller pubblicato in tutto il mondo.Tranne che in Germania. Dove lo Stato bavarese, che dal dopoguerra ne custodiva i diritti, ne ha vietato sinora la pubblicazione.

A 70 anni dalla fine della guerra e della morte dell'autore nel bunker di Berlino, il copyright scade il prossimo 30 dicembre. E a metà gennaio l'institut für Zeitgeschichte di Monaco pubblicherà la prima edizione critica del libro più tristemente famoso del Führer. Un evento editoriale che in Germania sta scatenando un acceso dibattito tra chi, a 90 anni dalla prima edizione, teme l'istigazione alla violenza di "Mein Kampf". «E chi come il nostro istituto», spiega in questa intervista Andreas Wirsching, direttore del prestigioso Istituto storico bavarese, «vuole pubblicarlo, ma con un serio apparato critico per disinnescarne il contenuto ideologico».

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"Mein Kampf": dal 1936 era donato a tutti gli sposi in Germania

Andreas Wirsching, a cosa serve leggere oggi "Mein Kampf? «E una fonte storica importante. Decisiva per capire Hitler e la storia del nazionalsocialismo, dalla scalata al potere sino a ciò che in Germania, e in Europa, è accaduto dopo il 1933».

L'obiettivo della vostra edizione critica qual è: decostrulre le tesi assurde del libro, o toglierci la paura dl Hitler? «Dal prossimo gennaio chiunque potrà pubblicarlo in Germania, e il nostro obiettivo è darne un'edizione di riferimento contro ogni manipolazione. L'edizione avrà oltre 3.500 note al testo, con commenti o correzioni alle varie menzogne o "mezze verità" disseminate nel testo. Insomma, demistificare Hitler inquadrando "Mein Kampf" in una cornice storico-scientifica».

Come mal In Germania ne era vietata la pubblicazione? «Pubblicare o meno "Mein Kampf" è sempre stata anche una questione di politica estera, di immagine della Repubblica Federale. Negli anni '50 e '60, quando vivevano tanti ex-nazisti, sarebbe stato un errore pubblicarlo. È e resta un libro con un nocciolo ideologico esplosivo».

Quali sono I più pericolosi veleni di questo "nocciolo"? «Il veleno più letale è la fusione di razzismo, antisemitismo e guerra in un'ideologia radicale. Che viene spacciata come "soluzione" dei problemi complessi della società moderna. Per Hitler la storia è retta da leggi di natura, sulla cui base lui individua il Nemico da abbattere per la "salvezza" della Germania. Una mistificazione pseudoscientifica e quasi religiosa della politica: ecco il veleno più tossico di "Mein Kampf"».

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Una edizione araba di "Mein Kampf", ancora un best seller

È un libro scritto male: II grande biografo di Hitler, Joachim Fest parlava dl "uno stile pleno di crampi"... «Lo stile legnoso è stato subito criticato dai contemporanei. Per Otto Strasser, uno dei suoi più radicali seguaci, era l'opera di un liceale. Hitler sapeva di non essere un letterato, ma con quel testo mirava alla guida del magmatico arcipelago di ultra-destra. E in questo "Mein Kampf" è pienamente riuscito».

Se il libro è grottesco e pieno di menzogne, perché i tedeschi gli hanno creduto? «Alle elezioni del 1928 il suo partito prese il 2,6 per cento dei voti, e sino al '29 Hitler non era che un'attrazione nelle birrerie bavaresi. Non solo le ripercussioni del "venerdì nero" alla Borsa di New York o l'alleanza con altri partiti d'estrema destra lo resero famoso. Decisivo è stato il contesto della Repubblica di Weimar: solo in un Paese fustigato dalla crisi economica, abbattuto dal crollo della Grande guerra, poteva far presa l'ideologia razzista e fanaticamente decisionista che Hitler ha sintetizzato in "Mein Kampf". La Repubblica di Weimar aveva il fianco scoperto di una tradizione disposta a seguire un nuovo Messia, e Hitler ha soddisfatto le aspirazioni di tanti tedeschi ad esser guidati dall'Uomo forte».

La politica dl Hitler dal 1933 alla disfatta nel '45 è già anticipata in quelle pagine? «Le direttive di una brutale guerra di conquista dello "spazio vitale" all'Est e la sottomissione delle cosiddette razze slave sono programmate in "Mein Kampf". Ma non riduciamo i dodici anni del nazismo a un "hitlerismo" contenuto tutto in un libro. La ricerca storica ha messo in luce, oltre all'importanza del dittatore, il ruolo della società o della tradizionale culturale tedesca nell'adesione al nazionalsocialismo. E poi non dimentichiamo il viscerale opportunismo di Hitler: il patto con Stalin del '39 non è previsto in "Mein Kampf", ed è un ottimo esempio dello spregiudicato tatticismo della politica di Hitler».

In Germania alcuni temono che anche la vostra edizione critica possa portare acqua al mulino del neonazisti... «Capisco queste paure, sollevate anche da superstiti dell'Olocausto. Ma non c'è solo l'alternativa tra l'empatia per le vittime del nazismo, e la fredda elaborazione dei testi nazisti dall'altro. La conoscenza dei documenti ci consente di comprendere gli errori delle ideologie del passato, e ciò è nel pieno interesse e rispetto delle vittime».

Per smontarlo bisogna quindi leggerlo in edizione critica, o non è meglio riderne con Chaplin o Benigni per seppellire iI dittatore? «Charlie Chaplin ha girato il "Grande dittatore" nel 1940. Non so se il suo film sarebbe stato lo stesso quattro anni dopo, sapendo della Shoah. Certo, anche Benigni ha mostrato molti lati scurrili del nazismo. Ma la satira non riesce a spiegare tutti i volti del nazismo e di Hitler, meno che mai la loro estrema ideologia e violenza. Se tutto si riduce a empatia o ironia si rischia di banalizzare gli aspetti più criminali e disumani del nazismo. Ecco perché è importante pubblicare oggi l'edizione critica di "Mein Kampf"».

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