Riprendiamo dalla PIOGGIA 24 ORE di ogg, 21/08/2015, a pag. 15, con il titolo "La crociata di Netanyahu, una catastrofe per Obama", il commento di Ugo Tramballi.
Il Sole, o meglio, la Pioggia 24 Ore si conferma, con gli articoli di Ugo Tramballi, il quotidiano più fazioso in Italia negli attacchi contro Israele con il Manifesto e i cattolici Avvenire e Osservatore Romano.
Tramballi:
1) Scrive che i repubblicani, che si oppongono all' Accordo nucleare, il trattato non lo hanno neppure letto: una osservazione del tutto arbitraria del giornalista. Li ha sentiti tutti ?
2) Dipinge l'Aipac a tinte fosche, mentre non cita gruppi e lobbies ebraiche americane che si sono schierate a favore dell'accordo con l'Iran, a partire da J-Street.
3) Sostiene che Israele sia l'unico Paese al mondo a opporsi al trattato. E' una falsità eviente: tutti i Paesi arabi sunniti del Medio Oriente sono tenacemente contrari a un accordo che consente nel medio termine agli estremisti sciiti di Teheran di raggiungere il nucleare, e nel brevissimo termine di incrementare la propria offensiva in Medio Oriente in Yemen, Libano, Siria e Iraq, con l'appoggio diretto a numerose compagini terroriste.
4) Dimentica che fu Begin a firmare la pace con l'Egitto, in cambio dell'intera penisola del Sinai. Perchè scrive il falso ?
A ciò si aggiunge un tono accusatorio che non solo pone Netanyahu sul banco degli imputati, ma Israele tutta. Dimenticando che Israele non fa altro che difendersi dal terrorismo di cui l'Iran è il più grande promotore e sponsor.
Ecco l'articolo:
Ugo Tramballi
"Concittadini americani, contattate i vostri rappresentanti al Congresso", invitava in televisione la settimana scorsa Barack Obama. Com'è tradizione nella democrazia americana, quando il Campidoglio chiude per ferie, deputati e senatori tornano nel loro collegio a incontrare gli elettori. Fra questi ultimi, il presidente chiede che esortino i loro rappresentanti a sostenere l'accordo sul nucleare iraniano.
Il Congresso vota entro il 17 settembre. «Tutti i Paesi del mondo sono a favore, eccetto Israele»: è la controffensiva di Obama alla dura offensiva di Bibi Netanyahu. Per il primo ministro israeliano la fine di quel compromesso è diventata la cause célèbre della sua carriera politica. Ma ormai in gioco c'è molto di più del futuro di un premier. Prima della pausa estiva Ron Dermer, l'ambasciatore di Netanyahu (nel senso che a Washington rappresenta molto più lui degli interessi d'Israele) passava le sue giornate nei corridoi della Camera dei rappresentanti e del Senato, tentando di convincere i democratici a schierarsi contro l'accordo. Qualche colpo importante gli è riuscito. Il senatore Chuck Schumer e il deputato Eliot Engel, entrambi di New York, hanno deciso di votare contro il loro partito e il loro presidente.
Benjamin Netanyahu con Barack Obama
Ma la missione di Netanyahu sembra quasi impossibile. A settembre il Congresso voterà l'accordo che sarà bocciato e al suo posto verrà proposta dalla maggioranza repubblicana una risoluzione per ripristinare le sanzioni economiche all'Iran. I repubblicani voteranno compatti. Il presidente porrà il veto, vanificato solo se un determinato numero di democratici si schiererà con i repubblicani: in Senato ne servono 13. Nella battaglia Netanyahu ha arruolato l'intero partito repubblicano. Non è stato difficile, molti avevano espresso il loro dissenso prima di leggere l'accordo: in genere prima ancora che un accordo fosse raggiunto.
A Washington, il compromesso concluso con l'Iran dai 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna più Germania e più Unione europea), non è una questione di politica estera ma uno strumento di lotta contro Obama. E ormai è parte della campagna presidenziale del 2016. Dopo i repubblicani, Netanyahu ha convinto l'Aipac, la più importante delle lobby politiche ebraiche, a schierarsi contro l'accordo. E' partita una campagna di propaganda milionaria che sta mettendo in difficoltà l'intera comunità ebraica americana, istintivamente perplessa riguardo all'accordo, quando non contraria. Ora però è brutalmente spinta a confrontarsi fra due lealtà - per l'America e per Israele - che prima di questa battaglia non erano in contraddizione. O, come semplifica il giornale israeliano Ha'aretz, incitata «a combattere contro un accordo promosso dal presidente degli Stati Uniti per il quale la grande maggioranza degli ebrei aveva votato».
Cosa accadrebbe se la campagna americana di Netanyahu raggiungesse il suo obiettivo? Difficilmente russi e cinesi ripristinerebbero le sanzioni economiche: Putin incomincerebbe subito a vendere armi all'Iran. Né rinuncerebbero all'accordo gli europei, constatando come Obama che tutti i Paesi del mondo, eccetto Israele e i conservatori americani e iraniani, sono a favore.
Una vittoria di Netanyahu non sarebbe solo una catastrofe per Obama ma per la credibilità americana: molto peggio dei danni provocati dall'invasione dell'Iraq. E riflettendo anche su questo che a favore dell'accordo si sono schierati 36 generali e ammiragli («il mezzo più efficace attualmente disponibile per impedire che l'Iran ottenga la bomba»), 29 fra i più importanti scienziati (un accordo «tecnicamente fondato, stringente e innovativo») e ora anche 26 ex leader delle comunità ebraiche americane («Per quanto imperfetto, è la migliore opzione possibile»).
Sono le stesse riflessioni che in Israele fa l'apparato di sicurezza di forze armate e intelligence, per i quali l'accordo con l'Iran «non è così male». A Netanyahu hanno chiesto di riesaminare il suo rifiuto a nuovi aiuti militari offerti dagli Stati Uniti. L'opinione pubblica è umanamente contraria al compromesso iraniano: pensa a Hezbollah e Hamas finanziati da Teheran. I politici, anche i laburisti, assecondano. Mancano leader capaci di offrire sfide e visioni al Paese come Moshe Dayan e Ezer Weizman per la pace con l'Egitto (l'artefice non fu Begin), Shimon Peres per gli accordi di Oslo, Ariel Sharon per la chiusura delle colonie di Gaza e in Cisgiordania.
Tenendo conto dell'orientamento popolare, Tzipi Livni non ha chiesto che Netanyahu spieghi alla commissione Esteri della Knesset perché ha montato una simile crociata, ma riferisca sulle conseguenze. Se Bibi vince, sarà umiliato il più importante alleato e fonte primaria della sicurezza dello stato ebraico, e a Israele resterà l'appoggio dei repubblicani che forse non vinceranno le elezioni presidenziali. Se Bibi perde, resta isolato e umiliato solo Israele. In ogni caso, non sembra un affare.
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