Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/08/2015, a pag. 20, con il titolo "Autobomba al Cairo, l'Is mette nel mirino l'Egitto di Al Sisi", la cronaca e commento di Alberto Flores d'Arcais; dalla STAMPA, a pag. 11, con il titolo "Militari divisi, istituzioni fragili: l'Egitto è in rivolta permanente", l'intervista di Francesco Semprini a Robert Baer, ex agente della Cia.
Ecco gli articoli:
Attentato islamista al Cairo
LA REPUBBLICA - Alberto Flores d'Arcais: "Autobomba al Cairo, l'Is mette nel mirino l'Egitto di Al Sisi"
Alberto Flores d'Arcais
Un autobomba nella notte al Cairo con decine di feriti, quattro militanti di Hamas rapiti nel Sinai, poi le inevitabili rivendicazioni e in serata quattro razzi lanciati dalla Siria su Israele. In difficoltà in alcuni campi di battaglia della Siria e dell’Iraq, con i militanti braccati dalle milizie curde e dai raid aerei (americani e non solo), lo Stato Islamico rilancia con la strategia del terrore nelle metropoli arabe e in quelle terre di nessuno dove le sue bande riescono ad agire impunemente. L’esplosione, avvenuta nel nord della capitale egiziana, è stata talmente forte che è risuonata in molti quartieri del Cairo.
Obiettivo dell’autobomba la sede della Sicurezza Nazionale, nei pressi della quale un uomo ha parcheggiato l’auto imbottita di esplosivo prima di darsi alla fuga in motocicletta con un complice. La facciata dell’edificio è parzialmente crollata e lungo la strada si è aperto un grande cratere. La maggior parte dei feriti (tra cui otto poliziotti) è stata dimessa dopo poche ore, negli ospedali restano solo quelli più gravi. L’Egitto viene di nuovo colpito ( è la terza volta in questa estate) perché è sulle sponde del Nilo che il Califfo — o i gruppi che ruotano attorno agli uomini di Al Baghdadi — vuole aprire l’ennesima partita che si gioca in un Medio Oriente dilaniato da guerre civili, terrorismo e crimini di ogni genere. Compiuti in nome di un Allah che divide (sunniti e sciiti in primis) in modo trasversale e sempre più complicato il mondo musulmano. E non è un caso che l’attentato sia avvenuto a pochi giorni dal varo delle nuove severe leggi anti-terrorismo volute dal presidente Al Sisi e definite da diversi osservatori (occidentali ma non solo) “liberticide”.
La prima rivendicazione non è arrivata dal califfato ma dai “Black Bloc” (un gruppo islamico apparso sulla scena due anni fa in contrapposizione ai Fratelli Musulmani), ma poco dopo lo Stato Islamico si è appropriato dell’azione terroristica. «Grazie ad Allah i soldati del Califfato sono riusciti a raggiungere la sede della sicurezza nazionale nel cuore del Cairo con un’autobomba parcheggiata nei pressi dell’edificio. Questa operazione è la vendetta per i nostri fratelli e tutti i martiri musulmani.
Tutti coloro le cui mani si sono macchiate del sangue dei mujahiddin dovranno attendere il loro turno e aspettarsi il peggio». Vera o verosimile che sia, la rivendicazione dell’Is è l’ennesima conferma che gli “uomini neri” del Califfo dopo la conquista dei territori in Iraq e Siria e dopo la più recente avanzata in Libia, si sono posti come obiettivo la periferia dell’Egitto. Nel comunicato c’è un riferimento a un gruppo di sei uomini impiccati lo scorso maggio dopo uno sbrigativo processo in un tribunale militare, accusati di far parte della cellula di terroristi dello Stato Islamico che agisce nel Sinai (territorio dell’Egitto). I quali proprio ieri (forse non a caso) hanno rapito quattro militanti di un gruppo paramilitare di Hamas, l’organizzazione armata palestinese che regna nella Striscia di Gaza.
Ieri Hezbollah ha lanciato quattro missili contro Israele
E sempre ieri, dalla Siria (in una zona controllata dai lealisti di Assad e dai filo-iraniani, secondo un portavoce militare israeliano) quattro razzi sono stati lanciati contro Israele, due caduti sulle alture del Golan, due in Alta Galilea. Immediata la reazione di Gerusalemme che ha bombardato oltre confine con l’artiglieria.
LA STAMPA - Francesco Semprini: "Militari divisi, istituzioni fragili: l'Egitto è in rivolta permanente"
Francesco Semprini
«La democrazia vacilla in Egitto, rivolte e violenza stanno prevalendo, questo anche a causa del caos che regna nella vicina Libia. Tutto ciò porta destabilizzazione, rischia di allargare la fascia dei conflitti mediorientali e provocherà un’accelerazione dell’ondata migratoria nel Mediterraneo». L’analisi è di Robert Baer, ex operativo della Cia a cui è ispirato il film Syriana, ed esperto di terrorismo islamico.
Robert Baer
L’Egitto è di nuovo sull’orlo di un collasso?
«La democrazia vacilla di nuovo in Egitto. Con la fine della presidenza Morsi, la fratellanza musulmana è tornata all’opposizione e ha ripreso a predicare e praticare la violenza. Con l’aggravante che il Paese è infiltrato da altre formazioni terroristiche, compresi jihadisti che hanno come riferimento lo Stato islamico. Per di più, l’esercito egiziano non si può certo considerare una forza unitaria. L’Egitto in questo momento è un Paese in rivolta e il caos sta prevalendo».
Ritiene che la situazione in Libia abbia un ruolo in quello che sta accadendo nel Paese confinante?
«Assolutamente sì. I confini tra i due Paesi sono porosi, in certi punti completamenti aperti, e lì transitano armi, esplosivi, denaro, merci di contrabbando e terroristi. Il governo egiziano ha paura di pattugliare i confini con gli elicotteri perché c’è il rischio che vengano abbattuti con i lanciarazzi dagli jihadisti».
Prima dello Stato islamico, un fantomatico gruppo «black bloc» ha rivendicato la paternità dell’attentato, di chi si tratta?
«Non penso che sia un elemento rilevante, ci sono tanti gruppi terroristici in Egitto, o che aspirano ad esserlo, ma alla fine non sono altro che una forma di franchising dello Stato islamico».
Quindi si presume che lo Stato islamico stia dichiaratamente allargando il proprio orizzonte?
«L’Egitto è stato sempre un obiettivo appetibile, per tutti, è la cerniera col Medio Oriente, ma anche con l’Africa orientale. Non credo che crollerà. Ci sarà sicuramente una escalation di violenze, e Isis punterà a indebolire il suo esercito. Ma sarà un processo lungo. Ragionando su orizzonti più ampi, dobbiamo dire che la strategia di “spill-ovver” dell’Isis comprende tutti i Paesi confinanti, Algeria, Egitto, Niger e Mali».
Ritiene che ci sia una complicità della Fratellanza musulmana alle azioni dello Stato islamico?
«La Fratellanza musulmana, a mio avviso, è solo un nome generico, nel senso che non ha più l’autenticità che aveva una volta. Penso che si tratti di elementi radicali che cambiano nome in Stato islamico e in altra organizzazione, per aver maggiore credibilità o visibilità. Il punto è che l’Islam sta diventando un veicolo per le insurrezioni, e viene strumentalizzato da alcuni per fare violenza. In Egitto, sta avendo presa, perché è un Paese in difficoltà economica, sovrappopolato, a corto d’acqua e con un fermento sovversivo radicato nel tessuto sociale».
Sempre più persone rimettono in discussione le Primavera arabe...
«Guardando certi paesi come la Siria si direbbe che non abbiano funzionato, si è passati dal progetto di un Islam democratico a una rivalità settaria, poi c’è la Libia e ora l’Egitto. Quando i cambiamenti portano a tanta violenza non è mai buona cosa».
Quali sono i rischi di un nuovo caos egiziano?
«La destabilizzazione dell’area, un allargamento del conflitto in atto in Medio Oriente, e un’accelerazione delle ondate di migranti in fuga verso Italia, Balcani e Grecia. E ciò deve essere fermato oppure si rischia il collasso dell’Europa».
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