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La Stampa Rassegna Stampa
20.08.2015 Stato islamico: la 'pulizia culturale' che avanza
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 20 agosto 2015
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La 'pulizia culturale' del Califfo, business da centinaia di milioni»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/08/2015, a pag. 1-3, con il titolo "La 'pulizia culturale' del Califfo, business da centinaia di milioni", l'analisi di Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

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L'archeologo Khaled Asaad; a sinistra, le rovine di Palmira

Centinaia di milioni di dollari in traffici illeciti, la campagna jihadista contro l’«idolatria» e la guerra segreta contro gli archeologi che tentano di ostacolare saccheggi e distruzioni in Iraq e Siria: sono i motivi convergenti che celano la genesi dell’orrenda esecuzione a Palmira di Khaled al-Asaad da parte dei miliziani dello Stato Islamico (Isis).

A fotografare le dimensioni delle distruzioni di antichità è un rapporto dell’Unesco, pubblicato in luglio, che il direttore Irina Bokova ha riassunto con l’espressione «pulizia etnica culturale» perché «Isis controlla il 20 per cento dei 12 mila siti archeologici dell’Iraq» e il 90 per cento di quelli in Siria, generando proventi che possono essere solo stimati prendendo ad esempio casi come al-Nabuk, risalente a 8000 anni fa, da dove i jihadisti hanno ottenuto, solo nel 2014, almeno 36 milioni di dollari.

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Terroristi dello Stati islamico a Palmira

I saccheggi
È un saccheggio sistematico che, in Iraq come in Siria, vede i miliziani del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi assumere il controllo di un sito archeologico «idolatra», effettuare alcune distruzione simboliche e poi consentire ai trafficanti di arte antica di insediarvisi ed effettuare scavi per asportare ogni oggetto, imponendo una tassa pari al 20 per cento del valore di mercato. Per il ministro del Turismo iracheno in questa maniera sono stati saccheggiati già 4500 monumenti nazionali mentre i danni maggiori si ritiene che siano già avvenuti in Siria, dove i siti archeologici si trovano quasi tutti in zona di combattimento.

Per il Consiglio internazionale dei musei di tratta di una «situazione di emergenza senza precedenti» che vede i trafficanti adoperare i porosi confini della Turchia e del Libano per far uscire illegalmente gli artefatti sottratti dai territori controllati nello Stato Islamico in Siria ed Iraq. Si tratta di un giro di affari che, per le stime del Dipartimento del Tesoro Usa, si conta in centinaia di milioni di dollari l’anno costituendo - dopo la vendita di greggio - la più importante fonte di entrate del Califfato, superiore all’entità di sequestri di stranieri o pedaggi e tasse imposte alla popolazione locale. La scelta di Khaled al-Asaad di ostacolare il saccheggio di Palmira, partecipando prima all’occultamento di antichità uniche e rifiutandosi poi di rilevarne i nascondigli, è stata considerata da Isis una minaccia diretta a questa fonte di entrate, soprattutto per il rischio di emulazione da parte di altri archeologi, siriani o iracheni. E qui il «business» si sovrappone all’ideologia jihadista perché negli editti del «Principe dei Credenti» la lotta al peccato di «shirk» (idolatria) è un dovere di «tutti i musulmani» che si richiama alle «distruzioni di idoli» avvenute da parte di Abramo e Maometto.

Giustificazioni religiose
«L’obiettivo primario di queste distruzioni è ogni sito estraneo all’Islam sunnita salafita e, più in generale, risalente al periodo pre-islamico» spiega Michael Danti, docente di archeologia alla Boston University e co-direttore dell’«Iniziativa per l’eredità siriana» che si propone di documentare ed arginare le devastazioni compiute dai jihadisti. Come spiega «Dabiq», il magazine di Isis, nel numero sulle devastazioni nel museo nazionale di Mosul «gli infedeli hanno tentato nelle ultime generazioni di sostenere che statue e oggetti idolatri sono parte dell’eredità islamica» e questo è il motivo che legittima la crociata per distruggerli o venderli senza remore, al fine di alimentare le casse del Califfato.

«Rescue Archeologists»
Ma non è tutto perché tale operazione di «pulizia etnica culturale» oltre a vantaggi finanziari e motivazioni jihadiste ha un terzo tassello: la guerra segreta dell’Isis con i «Rescue Archeologists» ovvero il team di «archeologi di soccorso» che il governo britannico ha deciso quest’anno di formare, assieme a «Blue Shield» della Croce Rossa Internazionale, per inviarli in Siria ed Iraq al fine di ostacolare le devastazioni.

Addestrati dalle truppe speciali del Regno Unito e sostenuti dall’esperienza di archeologi occidentali veterani degli scavi in Medio Oriente, i «Rescue Archeologists» possono operare con efficacia soprattutto per il sostegno di una rete di archeologi ed esperti locali come Khaled al-Asaad. Che sono dunque entrati nella «lista nera» del Califfo: i jihadisti gli danno la caccia, considerandoli fra i nemici più pericolosi.

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