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La Stampa Rassegna Stampa
19.08.2015 Matisyahu, cacciato perchè ebreo dal festival antisemita di Valencia
Cronaca di Francesco Olivo

Testata: La Stampa
Data: 19 agosto 2015
Pagina: 29
Autore: Francesco Olivo
Titolo: «E'contro lo stato palesinese, e Matishahu non va al festival»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2015, apa.29, con il titolo " E'contro lo stato palesinese, e Matishahu non va al festival", la cronaca di Francesco Olivo.


Matisyahu

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Francesco Olivo

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Filippo Giunta, fondatore e direttore del Festival antisemita

Finalmente un articolo sulla esclusione del cantante ebreo americano Matisyahu dal Festivale musicale spagnolo Rototom di Valencia. Che la notizia appaia solo oggi, e su un solo quotidiano, dà la misura di come l'antisemitismo sia ormai uan realtà accettata, che non desta non solo scandalo, ma neppure interesse. Da notare la dichiarazione vergognosa del fondatore del festival, l'italiano Filippo Giunta "ci siamo trovati tra due estremismi. Da una parte un’associazione, che con toni e ragionamenti violenti incitava al boicottaggio contro di noi. E dall’altra un artista che, davanti alla nostra legittima domanda di condanna della guerra, non ha risposto"
Su IC ne ha scritto ieri Deborah Fait, Ugo Volli oggi, nella sua Cartolina.

Ecco la cronaca:

Per poter esibirsi al Rototom, il festival reggae più importante d’Europa, può non bastare esserne invitati. Al cantante americano Matisyahu è stato chiesto (preventivamente) qualcosa in più: una dichiarazione a favore della creazione di uno Stato di Palestina. Matisyahu è un ebreo di New York, proviene da una famiglia molto religiosa e nel passato si è dichiarato a favore della politica di Israele. Fatti inaccettabili per alcune organizzazioni antisioniste della zona di Valencia, in testa la  Bds (alla guida del boicottaggio contro lo Stato ebraico), che ha protestato con vigore contro la presenza del musicista, minacciando proteste clamorose nel giorno del concerto. La petizione partita dai social network ha trovato adesioni anche tra altri artisti, pronti a disertare la rassegna pur di non dover dividere la scena con il collega ebreo. Appoggio politico anche da Compromís, il partito che esprime il sindaco di Valencia. Per uscire dalla tenaglia, il Rototom invia una lettera al cantante chiedendo «una dichiarazione scritta o video nella quale si esprima in modo chiaro che i palestinesi hanno diritto a uno Stato e di essere a favore della pace tra il popolo israeliano e quello palestinese». Matisyahu rifiuta di sottoporsi al questionario e il concerto viene cancellato, sostituito dall’esibizione di una cantante giamaicana. Sulla sua pagina Facebook l’artista americano risponde agli organizzatori con la domanda: «Avete chiesto dichiarazioni politiche ad altri artisti invitati?» Se gli antisionisti festeggiano («Lacrime di felicità», scrivono sui social), la polemica scoppia durissima e arriva fino agli Stati Uniti. Il Congresso ebraico mondiale parla di antisemitismo: «Un artista ha diritto alle proprie opinioni». Solidarietà a Matisyahu anche dalla Regione di Valencia. «È una sconfitta di tutti - dice il fondatore del Rototom, l’italiano Filippo Giunta - ci siamo trovati tra due estremismi. Da una parte un’associazione, che con toni e ragionamenti violenti incitava al boicottaggio contro di noi. E dall’altra un artista che, davanti alla nostra legittima domanda di condanna della guerra, non ha risposto». A quel punto - continua Giunta la decisione di annullare «un concerto che avrebbe generato un conflitto certo. Non abbiamo detto no a Matisyahu in quanto ebreo o sionista». Non c’è pace per il Rototom , da più di vent’anni il più grande evento del movimento reggae in Europa. La storia nasce in Friuli Venezia Giulia nel 1994, ma il successo è sempre stato accompagnato dall’ostilità più o meno esplicita di politici e autorità locali. Perquisizioni, controlli, divieti: Giunta fugge nel 2011 da «una persecuzione», come dice lui, e porta la sua creatura a Benicàssim, nella regione di Valencia, in Spagna, un luogo più tollerante verso il popolo reggae. Poi, però, la politica invade di nuovo i cancelli della musica.

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lettere@lastampa.it

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