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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
19.08.2015 LaPioggia24Ore: ecco la nuova testata del foglio di Confindustria
Ospiterà Tramballi, Negri e altri, tutti ostili a Israele, nel coro 'Business is Business'

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 19 agosto 2015
Pagina: 11
Autore: Ugo Tramballi
Titolo: «Squilibri sociali minaccia per l'hi-tech israeliano»

Riprendiamo dal SOLE24ORE di oggi, 19/08/2015, a pag.11, con il titolo " Squilibri sociali minaccia per l'hi-tech israeliano ", il commento di Ugo Tramballi.


Ugo Tramballi

Che Ugo Tramballi sia interessato unicamente a ciò che giudica negativo nello Stato ebraico è assodato da sempre. Non ricordiamo un solo articolo dove raccontasse almeno un fatterello, piccolo piccolo, positivo. Con un minimo sforzo, l'avrebbe sicuramente trovato. Ma Tramballi no, evidentemente al giornale su cui scrive va bene così. Il foglio della Confindusria dovrebbe avere almeno una pagina con la testata modificata, per esempio in LAPIOGGIA24ORE, tra Tramballi, Negri e altri di supporto, evidenzierebbe la propria linea politica anti-Israele. Non che sia già chiara da sempre, i lettori non sono tutti rincoglioniti dai petrodollari, qualcuno che ragiona c'è di sicuro.

Ecco l'articolo:

C'è stata un'innegabile preoccupazione quando, circa un paio di mesi fa, Avago ha rilevato Broadcom per 37 miliardi di dollari. E si è sfiorato il panico alla notizia che anche Intel aveva comprato Altera per 16,8 miliardi. La prima era la più grande fusione mai realizzata nel settore dei chip; e quella dell'Avago di Singapore è la più grande acquisizione mai fatta da Intel. Quasi una rivoluzione nell'industria dei semiconduttori. Perché mai nella "Repubblica di Tel Aviv", in riva al mare, c'è stata preoccupazione fino ad avvicinarsi al panico per questo e non per l'accordo sul nucleare iraniano raggiunto dall'America con Teheran, come invece è accaduto sulle colline, a Gerusalemme? Perché quasi tutte le più importanti imprese dei semiconduttori del mondo hanno in Israele, soprattutto sulla piana costiera, i loro più importanti centri di ricerca e sviluppo, intorno ai  quali è cresciuta una solida industria locale. Fino a che le manovre non si chiariscono, acquisizioni e fusioni di quel genere possono significare riduzione d'investimenti e posti di lavoro. Tutto questo alle soglie del prossimo capitolo della rivoluzione digitale: la connessione di oggetti a Internet usando componenti a basso costo e sprecando pochissima energia. Israele è in prima linea. Sono queste le cose che preoccupano la "Repubblica di Tel Aviv": dove non esiste intolleranza per le diversità sessuali né "terrorismo ebraico", e solo chi non si muove con una bici elettrica è guardato con sospetto; dove il conflitto con i palestinesi sembra svolgersi in un altro continente, nonostante la distanza in linea d'aria sia d'una ventina di chilometri, fra la costa e le colline; dove la qualità della vita supera quella della West Coast americana prima della grande siccità, e della Scandinavia.
Anche l'ultima ricerca di Rand Corporation, dovrebbe interessare. L'autorevole think tank di Santa Monica quantifica il valore economico per Israele di una pace con i palestinesi: 123 miliardi di dollari nei primi dieci anni dopo la firma di un accordo di pace, la metà del prodotto israeliano del 2014.
Il dividendo per l'economia palestinese nello stesso periodo sarebbe di 50 miliardi, tre volte il Pil dell'anno scorso. Ma sono cifre ipotetiche: immaginarie non tanto nel calcolo fondato su basi scientifiche, quanto nella realtà. Un anno fa in questi giorni i missili di Hamas lanciati dalla striscia di Gaza cadevano sulla periferia meridionale di Tel Aviv, e a Nord Hezbollah libanese ha un arsenale ancora più potente. Le prospettive economiche hanno sempre aiutato a risolvere i conflitti politici. Non qui, in Medio Oriente. La pace non c'è e non ci sono segnali che possa esserci in un tempo prevedibile. A Tel Aviv il business è adesso. E dunque oltre alle acquisizioni internazionali dei semiconduttori, preoccupa che sorprendentemente nel settore dell'hi-tech i salari medi delle donne continuino a essere più bassi di quelli degli uomini: 2.300 contro 4.140 dollari al mese. Lo stesso squilibrio che esiste nell'industria tradizionale. E ancora più pericoloso per il futuro dell'economia israeliana è il fardello dei due settori cronicamente più deboli e svantaggiati della società: gli ebrei ultra-ortodossi e gli arabi cittadini d'Israele. Sono il 10 e il 20% della popolazione del Paese e saranno il 50 entro la fine degli anni Cinquanta del secolo. Il 60% dei primi e  il 54 dei secondi vive al di sotto della linea di povertà. Secondo l'ufficio del Chief economist dello stato, se non sarà data una risposta al problema, lo squilibrio sociale delle due  comunità spingerà il bilancio nazionale a un deficit di 26 miliardi di dollari l'anno, il 9% del Pil, entro il 2050. Gli ultra-ortodossi, gli haredim, cioè i timorati di Dio, vivono in comunità isolate, non seguono i curriculum scolastici statali ma in gran parte le loro yeshiva, le accademie di studi religiosi nelle quali non è previsto l'insegnamento della matematica. Per i pochi che entrano nel mercato del lavoro, gli stipendi sono estremamente bassi come quelli degli arabi. Ma, spiega Ha'aretz, «gli haredim guadagnano così poco perché non lavorano molte ore, mentre gli arabi guadagnano così poco perché ricevono salari molto bassi per le ore che lavorano». Gli arabi non si isolano dalla società israeliana quanto gli ultra-ortodossi: si diplomano nel sistema scolastico statale e sono parte integrante del mercato del lavoro. Al Technion di Haifa, l'equivalente israeliano del MIT, il Massachusetts Institute of Technology, i119% degli studenti sono arabi. Ma anche loro - per discriminazione, come gli haredim invece per scelta - fanno parte della "Non-startup Nation" israeliana.

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