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Come garantire il futuro alle minoranze dell’Iraq Analisi di Mordechai Kedar (Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz) Il mondo intero resta sconvolto davanti alla tragedia che ha colpito gli yazidi nell'Iraq del Nord: un gruppo etnico la cui cultura esiste da migliaia di anni, che è sopravvissuto a una storia irta di difficoltà, e oggi sta subendo lo sterminio per mano dello Stato Islamico, che continua a uccidere gli uomini e vende donne, ragazze e bambini al mercato degli schiavi. Il mondo vede e se ne sta per la maggior parte in silenzio; non esistono parole abbastanza forti per descrivere lo sgomento e il disgusto che suscita lo sterminio di questa gente. E il mondo sta facendo ben poco: escono articoli, qualche rara inchiesta, raramente una dimostrazione pubblica. Si son fatti pochi sforzi per offrire loro una protezione vera, perché il mondo intero trema di fronte ai jihadisti dello Stato Islamico. L’unica forza che si trova ovunque vicino agli yazidi in Iraq sono le milizie curde, i Peshmerga, ma il vero dramma è che nell’Iraq del Nord c'è un’intesa, forse persino un accordo, tra ISIS e Peshmerga, secondo cui i curdi potranno vivere in pace solo se non difendono gli yazidi. Nei cui confronti i curdi non sono meno crudeli degli islamisti. Da ciò possiamo trarre due conclusioni: Qualsiasi soluzione al problema delle minoranze in Iraq deve partire dal presupposto che l’Iraq non è in grado di proteggere nè il territorio nè i cittadini. Una possibile soluzione - a mio parere, l’unica - per i gruppi etnici perseguitati in Iraq, che potrebbe porre fine alla sofferenza di tutte le minoranze non musulmane, consiste nel creare un’entità politica in un’area dell’Iraq del Nord, in cui tutte le minoranze possono trasferirsi per essere protette da una forza internazionale. Chiamo questa zona “Mesopotamia”, l’antico nome dato dai Greci per l’area tra il Tigri e l'Eufrate. Molte domande possono sorgere in seguito alla creazione della “Mesopotamia”. Ecco un elenco parziale: A mio avviso, le risposte a queste domande devono essere decise in una conferenza che dovrebbe aver luogo presso le Nazioni Unite e che comprenda rappresentanti di tutti i gruppi di cui sopra insieme con rappresentanti di Europa, Stati Uniti, Turchia, Iran, Iraq e qualsiasi altro Paese interessato a fondare “Mesopotamia”. Non si può eludere un confronto tra la situazione attuale delle minoranze irachene e quella degli ebrei un centinaio di anni fa, quando fu proclamata la Dichiarazione Balfour. La disintegrazione dell'Iraq è simile al crollo dell'Impero Ottomano, mentre la persecuzione delle minoranze non islamiche in Iraq corrisponde a ciò che gli ebrei hanno sofferto durante i 2000 anni di esilio. Questa settimana a Gerusalemme ho incontrato Giuliana Taimoorazi, una donna cristiana la cui origine etnica è siriaca. Ha fondato un'organizzazione chiamata “The Iraqi Christian Relief Council” ( Consiglio di aiuto per i cristiani iracheni) , il cui compito è quello di offrire un aiuto umanitario. Su questo temal mondo deve prendere decisioni immediate, per affrontare le catastrofi che colpiscono il Medio Oriente e quelle che stanno per verificarsi nel prossimo futuro. Ogni ritardo nel trovare una soluzione fa aumentare il numero di uomini, donne, bambini che saranno assassinati, feriti, o che tenteranno di raggiungere l'Europa su fragili zattere, oppure saranno venduti come schiavi e costretti ad abbracciare l'Islam, unendosi alle milizie criminali di ISIS. Più tempo ci vorrà per decidere un piano, tanto più difficile sarà portarlo a compimento e più alto sarà il prezzo pagato. In Medio Oriente come altrove, se un problema non viene affrontato subito, diventa di dimensioni non più affrontabili. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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