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La Stampa Rassegna Stampa
09.08.2015 Iran: va tutto bene madama la marchesa
due servizi surreali di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 09 agosto 2015
Pagina: 10
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Iran, in viaggio tra i ragazzi che vogliono aprirsi al mondo»

Riaperti i commerci con l'Iran, i giornali economici, soddisfatti, tacciono. Parlano invece gli altri media in funzione supplettiva, ma come sono contenti i giovani iraniane per la fine delle sanzioni, la STAMPA dedica una mezza prima pagina, con due servizi di Fancesca paci a pag.10-11.


Francesca Paci                     Tutto dimenticato ? non dai giovani iraniani

Certo che i giovani iraniani accolgono con sollievo tutto ciò che può ricollegarli con la civiltà occidentale, sono in gran parte laici, hanno odiato a tal punto il regime degli ayatollah da finire ammazzati nelle strade dalle 'guardie rivoluzionarie' create da Khomeini e tuttora custodi sanguinari della morale publica. L'Occidente li ha abbandonati, per questo non si fanno più ammazzare, in attesa di un aiuto che non verrà certo da Obama nè dalla UE. E allora arrivino almeno i turisti. Come fare a dargli torto ?
Un po' ignobile il servizio sugli ebrei iraniani, cosa si aspettava che dicessero, che raccontassero come stanno veramente le cose ? Suvvia Paci, gli ebrei stavano bene prima dell'arrivo di Khomeini, dopo, chi ha potuto se nè andato, infatti ne rimangono circa 10.000.
Speriamo ci risparmi una intervista a Gianni Vattimo su come stanno bene in Iran gli omosessuali, visti gli elogi che scarica sull'Iran (come fece con Fidel Castro che riempiva le prigioni cubane di omosessuali).

Francesca Paci- " Iran, in viaggio tra i ragazzi che vogliono aprirsi al mondo "

La repressione delle 'guardie rivoluzionarie'

L’Iran deve l’accordo sul nucleare ai suoi giovani che, avendo pagato il prezzo della rivoluzione del ’79, hanno insegnato ai genitori la moderazione». Parla senza remore il cartoonist Jamal Rahmat: dopo vent’anni a sfidare il regime disegnando per i giornali riformisti «Etemaad» e «Shargh», si ritrova dalla parte del governo. Il bavaglio tocca ora ai nemici del nuovo corso come l’appena chiuso «9Dey» e l’ammonito «Kayhan». Jamal versa il tè nello studio a nord di Teheran, la città benestante e illuminata. Sul tavolo, gli schizzi dell’ultima vignetta, il ministro degli esteri Zarif in posa per un selfie con la colomba della pace: «Lo Stato ha deciso di aprirsi al mondo e chi si oppone passa i guai. È sempre la stessa storia? È la nostra storia, quella dell’Iran e la mia. Sono il minore di due fratelli, uno si arruolò con gli ayatollah e l’altro sarebbe morto in cella se non fosse riuscito a fuggire in Germania. Dopo 36 anni sono entrambi moderati. La democrazia è lontana, ma avanziamo». «Addio alla pessima fama» Benvenuti nella Teheran 2015, dove ovunque imperversano le foto di Khomeini e della Guida Suprema Khamenei ma tutti parlano del presidente Rohani e del diletto negoziatore Zarif. «Per 8 anni abbiamo goduto di pessima fama, ora possiamo recuperare» ragiona Amin Mir Mohammad Sadeghi, 30 anni, titolare della Karal, sorta di Lagostina iraniana da 10 milioni di dollari l’anno e 100 dipendenti. Producendo in loco, ammette, ha beneficiato delle sanzioni. Ma, giura, è pronto alla concorrenza. Per dimostrarlo sfrega la spugnetta d’acciaio sulla padella inossidabile: «Un vero imprenditore sa che ogni minaccia cela un’opportunità. Faccio una linea di qualità e sono aperto agli investitori stranieri». Nell’ufficio affacciato sulla metro Olhach ha la foto della figlia di 6 mesi: «Emigrare non è la soluzione. La mia generazione deve provare ai più piccoli che si può vivere bene anche qui». I figli delusi del 1979 A Teheran coabitano due narrative. Quella passatista alimentata dalle onnipresenti immagini dei martiri e l’altra, irriverente, che racconta come la rivoluzione sia riuscita a tenere in piedi le infrastrutture e l’identità del paese ma abbia perso la guerra del soft power. «Accusiamo i nostri genitori di aver partecipato al ’79» afferma il 29enne Abolfazl riordi- nando cd nella bottega gestita con un socio. Sono cresciuti con i classici del cinema iraniano ma anche con il proibito, Leonard Cohen, Bob Dylan, i film di Woody Allen. Chi parla è finito alla polizia per aver venduto la cantautrice israeliana Yasmin Levy: «I miei erano colti e lontani dalla religione eppure hanno creduto a Khomeini, dicevano di vedere la sua faccia nella luna. Oggi sono pentiti, sostengono che ci fosse dietro lo zampino degli Usa gelosi per la potenza iraniana. Ma intanto siamo noi a scontare quell’ingenuità e senza nemmeno l’illusione dell’ideologia». L’amica Ava annuisce: «Abbiamo ereditato la claustrofobia, nel 2009 abbiamo provato a liberarci con l’onda verde ma siamo stati massacrati, non scenderemo più in piazza. Ora ci recitiamo il poeta Hafez, “campo accontentando- mi di così poco che nessuno può togliermi nulla”, e confidiamo nei piccoli passi, viva Rohani». Attraversando Teheran da nord a sud, su e giù per i viali che tracciano la disparità sociale della città, si respira voglia di svolta. Il vicepresidente Jahangiri cita il un sondaggio secondo cui l’80% della popolazione è favorevole all’accordo. Tra i giovani la percentuale vola. C’è chi teme che ci vorrà troppo tempo, come il neo ingegnere informatico Mahmoud ridotto a guidare il taxi. C’è la 18enne Melica che viaggiando nel vagone della metro riservato alle donne vagheggia l’implementazione dell’accordo per «studiare medicina all’estero». C’è la coetanea Taiebe che sogna Londra e vorrebbe dire al mondo come l’Iran non sia «pericoloso ma solo fiero». E c’è il regista teatrale 32enne Afshin Sono felice per l’intesa ma le sanzioni sono state feroci: l’Iran è la nostra madre ma va accudita come un figlio Sefideh grafica, 34 anni Il Paese degli under 30 anni è l’età media nella Repubblica islamica sia per le donne che per gli uomini L’aspettativa di vita media è di 71 anni abitanti in Iran ha meno di 24 anni Il 23% ha tra 0 e 14 anni Solo il 5% dei complessivi 81 milioni di abitanti è over 65 40% 28 favorevoli Secondo il vicepresidente dell’Iran, i giovani che hanno accolto positivamente l’accordo sul nucleare disoccupati Il tasso di giovani fra 15 e 24 anni Le donne senza lavoro arrivano al 33%, gli uomini al 20% 80% 23% che leggendo Brecht al Caffé degli Artisti, a pochi isolati dall’ex ambasciata Usa ancora vergata dalla scritta «down with the Usa», auspica il cambio di stagione: «Qui, con discrezione, puoi fare tutto. Ma la cultura si è impoverita, campiamo di rendita di quanto prodotto prima del ’79. E’ l’ora del rilancio». Il regno di Ahmadinejad Poi c’è la città che votava Ahmadinejad. Giù, nei quartieri di Khianshahr e Khazaneh, dove la rivoluzione ha sostituito le baracche dell’epoca dello scià con case popolari e parchi su cui si affaccia il centro commerciale Ipersun, si brinda meno. Le sanzioni hanno gravato, qui più che altrove. Per questo il 57enne Mahmoud Jaranghide, basji fiero d’essere stato il braccio armato alla rivoluzione, tollera l’attualità. Apre la stanza Sogno di andare a Londra e voglio dire a tutti che l’Iran non è pericoloso ma solo un Paese fiero Taiebe Studentessa diciottenne sul retro della moschea dove dorme in cambio delle pulizie. Serve biscotti: «Avevamo bisogno di respiro, dopo l’accordo il prezzo del cocomero è sceso da 250 a 60 mila rial. Per me però si stava meglio con Ahmadinejad che aiutava i poveri, dava prestiti senza interesse, passava un sussidio da 800 mila rial al mese». Non è solo questione economica: «So che 800 mila rial sono 3 corse in taxi, ma io risparmiando sono andato alla Mecca. A noi interessa Allah, purtroppo in passato le donne si coprivano di più ma tanto, nucleare o meno, non ci arrenderemo all’occidente perché abbiamo sulla testa il sangue dei martiri: questo quartiere ne ha dati 300 alla guerra con l’Iraq». Il tempo delle riforme La guerra con l’Iraq è il respiratore che ha tenuto in vita la rivoluzione, ripetono gli intellettuali sotto lo stesso cielo di Mahmoud. La produttrice cinematografica Fereshteh Taerpour ha 62 anni e il passato sulle spalle: «Siamo stati naif e l’abbiamo pagata. Il 2009 ci ha riconfermato però che non siamo fatti per la rivoluzione, i regimi faticano a riformarsi e si portano dietro la minaccia della guerra civile. Meglio sostenere il filo delle riforme, da Khatami a Rohani». La figlia Gazau, cantante in un paese in cui le donne non potrebbero, tiene a mente quanto la madre, offesa per l’intervista a Khomeini, scrisse alla Fallaci in difesa delle iraniane. Ne è passata di acqua da allora, ma Fereshthe ripete lo stesso concetto di diversamente emancipata: «Abbiamo imparato a nuotare senza bagnarci».

Francesca Paci- "Noi ebrei iraniani fiduciosi dopo anni bui"


Libertà di esprimersi in un paese simile ?

Gli ebrei di Teheran pregano il Talmud nella sinagoga di Yusef Abad, la stessa in cui anni fa si recò in visita il riformista Khatami, primo presidente iraniano a incontrare la comunità che sogna il Muro Occidentale di Gerusalemme. Far-zin Farnooshi insegna ai bimbi l'idioma reinventato da Ben Yehuda alla nascita d'Israele. Chiede i documenti per scongiurare provocazioni poi, affabile, fa strada nella sala decorata di Menorah: «Ho sempre vissuto a Teheran, un tempo pensavo di andar via ma poi sono nati i miei 3 figli. Ci sono stati momenti duri, per questo fu importante la visita di Khatami, segno di considerazione per le altre religioni in un Paese in cui non tutti sono d'accordo su questo. Oggi va un po' meglio. Non sono un politico ma credo che l'accordo sul nucleare apra delle prospettive, anche se secondo me l'amicizia è più difficile da instaurare dell'inimicizia». Uomini e donne entrano e escono, «Shalom». Un gruppo di ragazzi si dondola avanti e indietro tenendo fissato sulla popolazione è musulmana in Iran. Oltre il 90% sono sunniti, mentre gli sciiti sono solo il 5%. Gli ebrei circa lo 0,3% fronte e sul braccio il tefillin alla maniera degli ultraortodossi. Farzin racconta la sua cornunità, la sua vita: «Siamo 10 mila in Iran, tremila a Teheran, l'unica città dove oltre alle sinagoghe ci sono delle scuole ebraiche per i bambini». Per chi dovesse credere che sia un paradiso spiega che non lo è: «Ricordo il '79 perché prima potevamo costruire sinagoghe e dopo non più. Sotto Ahmadinejad poi, abbiamo subito molta propaganda negativa e atti vandalici, i luoghi sacri sono stati danneggiati. Ma in ogni Paese c'è chi la pensa diversamente e nella storia noi ebrei siamo sempre stati minoranza. Avremo sempre paura: so che quando i miei figli finiranno le scuole ebraiche incontreranno le reazioni negative che ho incontrato io all'università dove ho avuto amici musulmani ma anche tanti nemici. Eppure bisogna vivere». Non vuol neppure menzionare i Neturei 'Carta, i rabbini ultraortodossi Usa convinti dell'illegittimità dello Stato d'Israele al punto da abbracciare Ahmadinejiad. Lui è stato una volta a Gerusalemme, la sogna ancora. Ammette il peso dell'antisemitismo, ma qui dove gli ebrei hanno un seggio in parlamento lo sente meno che nel resto del Medio Oriente: «Non vivrei mai al Cairo, sebbene l'Egitto sia in pace con Israele. Nella sua storia l'Iran ha sempre mostrato una cultura maggiore degli arabi verso le altre fedi».

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